WOMAD 40, Charlton Park, Malsbury, Wiltshire, Inghilterra, 28-31 Luglio 2022

WOMAD – acronimo di World of Music, Arts and Dance – è senza ombra di dubbio il fiore all’occhiello dei festival di world music, un appuntamento imperdibile per tutti gli appassionati del genere. Nonostante la prima edizione organizzata da Peter Gabriel nel 1982 sia stata un fallimento commerciale, di strada il Festival ne ha fatta, diventando un brand che nel tempo ha toccato tutti i continenti. Quest’anno WOMAD compie quarant’anni e continua a crescere col proposito di ritagliare uno spazio per una celebrazione di musica e arte senza confini geografici e culturali. Il Festival precede addirittura la creazione della “world music” come categoria commerciale, ed è difficile che l’evento non abbia in qualche modo contribuito a rendere fertile il terreno da cui la scena delle “musiche del mondo” è potuta fiorire. Nel Regno Unito, dal 2007 il festival si tiene nel suggestivo Charlton Park di Malsbury, contea del Wiltshire. Le sedi precedenti sono state Reading, che ha ospitato l’evento dal 1990 al 2006, e svariate località inglesi come Mersea Island, Clevedon, Bracknell, Bristol e Carlyon Bay. Per un’edizione così speciale non si poteva che preparare un evento ricco di ospiti altrettanto importanti che rendessero il palinsesto di WOMAD 40 degno di tale anniversario. Nonostante qualche cancellazione last minute per problemi di visto o di salute, la manifestazione ha potuto procedere senza maggiori problemi, offrendo uno spettacolo memorabile a circa 40.000 persone. Da programma WOMAD ha allestito ben dodici zone di intrattenimento tra palchi e tende per i seminari. 
Sui quattro palchi principali – Open Air Stage, Siam Tent, Charlie Gillet Stage e D&B Soundscape (con impianto surround) – e sul secondario Ecotricity Stage sono andati in scena i concerti più importanti, legati allo spirito del festival, mentre il Molly’s Bar e Disco Bear si sono concentrati su musica moderna, elettronica e indie. All singing All Dancing e World Rhythms hanno invece ospitato numerosi seminari strumentali e di canto tenuti dagli artisti, mentre sul Taste the World sono stati allestite sessioni che hanno connesso musica e cucina. Infine, World of Words e Hip Yak Poetry Shack hanno visto performance di poesia e spoken word. Tutto ciò era facilmente accessibile dalla vastissima area campeggio, estesa dalla magione del parco fino al bosco, dove è stata allestita un’installazione artistica con una riproduzione della luna sospesa tra gli alberi. Negli ultimi mesi mi sono familiarizzato con il Festival e la sua storia lavorando nell’archivio sonoro della British Library, che dal 1985 registra almeno un’edizione del Festival all’anno. Per me, quindi, questo WOMAD è stato speciale per più motivi: in primis, è stato musicalmente estasiante, in secondo luogo mi ha dato modo di assistere a esibizioni dal vivo di artisti strettamente legati alla storia della rassegna che avevo ascoltato nei documenti dell’archivio. Tra questi spiccano sicuramente Kanda Bongo Man, cantante congolese di soukous (genere derivato dalla rumba congolese), Joji Hirota, percussionista giapponese dalla versatilità spiazzante e, soprattutto, Rizwan-Muazzam, l’ensemble di
musica Qawwali (musica devozionale Sufi dall’Asia Meridionale) dei nipoti di Nusrat Fateh Ali Khan, Rizwan e Muazzam. Alcuni di questi artisti, come Kanda Bongo Man, devono la loro fama internazionale proprio al festival, altri sono ospiti regolari da moltissime edizioni e la loro presenza è ormai quasi obbligatoria. La prima giornata, il giovedì, è di fatto dedicata all’arrivo del pubblico e all’allestimento del campeggio. Le performance sono poche ma nondimeno interessanti e le ho perse a malincuore arrivando di venerdì mattina. Proprio in questa giornata inaugurale batte bandiera italiana, con l’esibizione degli Amaraterra e del Malmesbury School Project, seguiti poi da The Selecter e la leggendaria Fatoumata Diawara. Da venerdì a domenica i nomi diventano molti di più e si è costretti a rinunciare a molte esibizioni perché più palchi sono attivi allo stesso tempo. Nella giornata di venerdì mi sposto prevalentemente tra Open Air Stage e Siam Tent. Joji Hirota & The London Taiko Drummers aprono le danze verso l’una con un’esibizione tanto scenografica quanto musicalmente accattivante. L’ensemble di tamburi è guidato dal percussionista giapponese ed esegue una serie di composizioni ritmiche dagli intrecci intricati e inaspettati. Ci spostiamo poi sottopalco nella Siam Tent per l’esibizione di Yazz Ahmed, trombettista, flicornista e compositrice bahreinita accompagnata da altre quattro trombe, due violoncelli, e sezione ritmica con tastiere, basso, batteria e percussioni. 
Si torna poi al palco principale per i canti Sufi di Rizwan-Muazzam Qawwals, dove la voce dei due fratelli è accompagnata da due tabla, due harmonium, battiti di mano e altre voci. Purtroppo, il concerto avviene in contemporanea con l’esibizione di Joseph Tawadros, egiziano copto naturalizzato australiano e maestro dell’oud. Riesco però a rifarmi presto e vedere un po’ di Egitto con l’esibizione di Mazaher e la loro ritualità musicale Zār, dove le donne hanno un ruolo centrale. Uno dei set migliori della giornata è senza dubbio quello di Cimafunk, musicista cubano che mescola funk e hip-hop con musica cubana e afrocaraibica. Mi sposto per la prima volta sotto il Charlie Gillet Stage per l’esibizione di Electric Jalaba, il progetto Londinese di Simo Langnawi che contamina la musica Gnawa con stili di popular music come rock, elettronica, reggae e hip-hop. Nell’ora successiva faccio avanti e indietro tra Open Air Stage e D&B soundscape per il soul/funk dell’americano Fantastic Negrito e il jazz dei britannici (e giovanissimi) Seed.. (il doppio punto intenzionale è parte del nome della band, ndr). Ci spostiamo in Anatolia con la musica della cantante curda Olcay Bayir, poi in Benin per il fantastico concerto di Angélique Kidjo, evento clou della serata. Non poteva mancare la kora, protagonista nell’esibizione della jeli Sona Jobarteh con suo figlio Sidiki al balafon come ospite speciale. La serata si conclude con un set solista di Abel Selaocoe, violoncellista sudafricano che ha recentemente fatto parlare di sé per le fantastiche performance con il Manchester Collective. 
Non c’erano dubbi sulle sue capacità violoncellistiche che abbattono i confini della musica classica incorporando influenze contrabbassistiche e sudafricane. La padronanza vocale (ampio registro, falsetto, canto gutturale) e la sua grande creatività compositiva sono state benvenute, ma non erano certo aspettate. Siamo a sabato e il palinsesto è ricco tanto quanto quello del venerdì. Partiamo con due performance di musiche asiatiche con la suonatrice di pipa Cheng Yu col suo ensemble Silk Breeze, seguita dalla cantante afghana Elaha Soroor con l’ensemble Kefaya. Di Elaha Soroor e Kefaya abbiamo parlato più volte su queste pagine, ma l’eccellente acustica di questa situazione ha donato ancora più lucentezza a questo set, uno dei migliori del festival. Si passa poi a un nome storico dell’afro-rock, Osibisa, band londinese con membri di origine ghanese e caraibica, e al jazz con influenze afrobeat dei Nubyan Twist. Particolarissima e decisamente irriverente è l’esibizione degli ADG7 (Ak Dan Gwang Chil), band sudcoreana che rimodella musica rituale gut e la tradizione minyo (folk) per creare musica pop con strumenti tradizionali. Le tre cantanti sanno decisamente come tenere un palco! Torniamo in Africa per il blues marocchino di Bab L’Bluz, la band capitanata da Yousra Mansour con un repertorio che mescola blues, musica gnawa e altri stili popular nordafricani. Non conoscevo i Fulu Miziki Kolektiv, di gran lunga il set più particolare del festival. La band di Kinshasa (Republica Democratica del Congo) utilizza
strumenti creati con spazzatura e materiali di recupero ricreando le sonorità e la ballabilità del soukous Congolese. La mia serata si conclude nel D&B Soundscape con un set di rimpiazzo. A sostituire i Taxi kebab, troviamo Beardyman, produttore e beatboxer inglese e incredibile intrattenitore. Beardyman lavora solo con sample generati dalla voce, e anche se molti di questi sono stati pre-programmati, buona parte dello show è improvvisata. Sample creati dalle ultime parole dette al microfono parlando col pubblico, altri facendo passare il microfono tra il pubblico stesso, il risultato era sempre una fantastica canzone su cui ballare. L’ultimo giorno parte sulle note del già citato Kanda Bongo Man, leggendario cantante di soukous congolese e inventore della danza kwassa kwassa. La seconda ora presenta una scelta molto difficile tra la musica mariachi dei Mariachi Las Adelitas, la musica messicana dei Son Rompe Pera, e Comorian, recente progetto prodotto da Ian Brennan con musicisti delle isole Comore. Opto per i Son Rompe Pera, un ensemble messicano fuori dagli schemi e guidato dalla marimba. Mi sposto sotto l’Open Air Stage nonostante la pioggia per l’esibizione di The Dhol Foundation, formazione di music bhangra con influenze popular ed elettroniche creato Johnny Kalsi. Proseguo poi con il set che ho più atteso per tutto il festival: Dudu Tassa & The Kuwaitis. Dudu Tassa è israeliano, ma suo nonno e suo prozio erano tra i migliori musicisti dell’Iraq: il progetto ricostruisce e ricolloca i loro brani in
un contesto moderno tra il rock e l’hip-hop. L’ensemble è quindi ibrido, unendo il qanun e il cello a una sezione ritmica occidentale, accompagnata da backing tracks. Si lascia la Siam Tent e si torna a ballare con i groove degli Onipa ensemble londinese ma con un cuore africano che combina nu jazz, hip-hop e afrobeat. A chiudere la serata sono di nuovo le melodie qawwali di Rizwan-Muazzam Qawwals, che riempiono e fanno cantare la Siam Tent chiudendo, almeno emotivamente, il festival. Non credo che serva rimarcare la varietà di questo festival, ma ci tengo a sottolineare la qualità di ogni singolo set a cui abbia assistito. Non ci si può aspettare che ogni singola band accontenti i gusti di tutti, ma le performance sono state tutte ineccepibili, aldilà del gusto di ognuno. In tre giorni e mezzo di musica, WOMAD ha accolto e raccolto artisti da decine di regioni del mondo, portando sul palco le nuove leve e i giganti del passato della world music. L’industria si espande e con essa crescono le realtà che la popolano. Festival come WOMAD e la fiera WOMEX sono all’avanguardia in un genere che appare tale solo sulla carta, perché basato sulla sua diversità interna. C’è tanto da esplorare e tanto da scoprire, WOMAD è sicuramente un valido punto di partenza per chiunque voglia toccare con mano cosa voglia dire fare musica oltre i confini del mappamondo. 


Edoardo Marcarini

Foto di HelloContent da facebook.com/womadfestival

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