Le Susanne degli eroi musicali - Seconda parte

Susan Elizabeth Rotolo (detta Suze) (New York, 20 novembre 1943 – 24 febbraio 2011) era una ragazzina americana diciassettenne nel 1961, che studiava mantenendosi con lavoretti occasionali. Sono gli anni che precedono i movimenti hippies, le contestazioni sessantottine, lei è una figlia di immigrati di seconda generazione, papà illustratore e mamma giornalista. Sono convinti assertori della controcultura newyorchese, crescono le figlie con una educazione comunista durante il maccartismo. Sabato 29 luglio si reca con la sorella maggiore Carla ad una festa-concerto in una stazione radio di Manhattan, organizzata dalla Riverside Church. Le giovani conoscono quasi tutti i musicisti del Village, il palco è a disposizione sia di artisti folk affermati che di debuttanti, vi partecipano tra gli altri Dave Van Ronk e Jack Elliott. L’evento andrà avanti per dodici ore. Uno dei primi a salire sul palco viene semplicemente annunciato come “Bob Dylan, un ragazzo di Gallup, Nuovo Messico”. Ha vent'anni, è un po’ impacciato e tenero, tiene l’armonica su un attaccapanni di ferro adattato del tutto posticcio e canta appoggiando l’accento su sillabe che di solito non ce l’hanno, ne farfuglia altre che paiono non interessargli, non assomiglia a nessun altro. Ad un certo punto inizia a suonare Poor Lazarus di Woody Guthrie “Vivo o morto è una strada difficile…” ma si ferma subito e chiede se qualcuno abbia un coltello, inizia ad armeggiare goffamente senza risultato con quell’attaccapanni che non regge ferma l’armonica. Chiarisce al pubblico “Non sono un comico”, poi scoraggiato presenta l’amico Danny Kalb alla chitarra e lo accompagna con lo strumento a bocca in una canzone ferroviaria, imitando il suono del motore del treno, mentre scrosciano gli applausi del pubblico. Quando inizia la parte riservata alla musica straniera Suze si alza e va a sedersi sulle ginocchia di Bob mentre qualcuno scatta delle foto, poi indossa il suo berretto, ridono e stanno insieme fino alle quattro del mattino e da quella notte prendono a frequentarsi. Lei è in vacanza estiva, lui non ha un lavoro, tempo a disposizione ne hanno. La madre di Suze a marzo aveva disdetto l’appartamento in cui vivevano perché avevano in programma di partire per Perugia dove la ragazza vorrebbe iscriversi a studiare arte. Un incidente automobilistico in cui restano entrambe ferite, le trattiene ancora a New York. Ai primi di agosto Bob si reca a Cambridge per una esibizione, poi torna e va ad abitare con le due sorelle Rotolo, poco dopo incide il primo disco a suo nome. 
Nel frattempo, la madre di Suze è riuscita a trovare un nuovo appartamento in Sheridan Square e la figlia la raggiunge. Il rapporto tra Bob e Suze è pieno di tenerezza ma lui, a detta di molti, è talmente dipendente da comportarsi letteralmente come un bambino. Forse è tutta una finzione, lei comunque sta al gioco e lo accudisce in tutto e per tutto. “La chiromante della mia anima” la definisce Bob. È lei a parlargli di Picasso e di Cézanne, delle poesie maledette di Rimbaud, della storia del piccolo Emmett Till brutalmente assassinato per il colore della sua pelle nella cittadina di Money, Mississippi. La madre di Suze non è propriamente contenta della situazione, lo definisce un “barbone”, non gli piace che menta perfino sul proprio nome e nemmeno la sorella apprezza lo stato delle cose ma su una cosa concordano tutti: quel ragazzo ce la farà a sfondare nel mondo della canzone. Comunque, Suze non è il tipo di donna disposta ad annullarsi per amore, ha talento nel dipingere, una mente creativa, cultura poetica. Dylan iniziava già a credersi al centro di tutto e le sue arroganti pretese crescevano, si era impadronito dell’arrangiamento di Dave Van Ronk di “House Of The Rising Sun” per inciderla nonostante non glielo avesse concesso. Lei era contro il bigottismo, il razzismo, non voleva essere posseduta o pilotata da altri, non sopportava i comuni atteggiamenti maschilisti, non si sentiva inferiore a nessuno. I due vanno a convivere e il radicale impegno sociale di Suze inizia a permeare la scrittura delle canzoni di Bob, lo sprona a seguire il percorso di Pete Seeger, a favore dei diritti civili. L’aria di ribellione si respirava dovunque in quei tempi. Nell’aprile del 1962 Dylan scrive “Blowin’ in the wind”. La conflittualità con Suze però aumentava, si sentiva soffocata, repressa, in più circolavano voci di una relazione tra Bob e Joan Baez, sempre più celebre ma che lui dichiarava di non sopportare. Così Suze, assieme alla madre, ricominciò a progettare di partire per l’Italia e il giorno otto di giugno prese il volo. Appena giunta a Perugia ricevette un telegramma di Bob che la implorava di tornare. Poi molte lettere disperate seguirono ma non le fecero cambiare idea, nonostante sembrassero testi di canzoni: “non succede molto qui, i cani aspettano di uscire, i ladri aspettano una vecchietta, i bambini aspettano di andare a scuola, la guardia aspetta di picchiare qualcuno, quegli sporchi barboni aspettano i soldi, Grove Street aspetta Bedford Street, chi è sporco aspetta di essere pulito. 
Tutti aspettano un tempo più fresco e io semplicemente aspetto te…”.
Suze si era innamorata della sua nuova vita e stava imparando l’italiano, ad un certo punto non rispondeva più nemmeno alle lettere, i mesi passavano, lui si trascurava sempre più, non mangiava, era sudicio, impasticcato anche se continuava a scrivere meravigliose canzoni. Alcuni riferimenti a lei si possono leggere nelle strofe di “Down the highway”, “Don’t think twice it’s all right”, “Farewell”, “Restless Farewell”, “Tomorrow is a long time”. Quando fu invitato a suonare a Londra negli studi della BBC e ai primi di gennaio del 1963 decide di passare da Perugia con Odetta Holmes dove viene a sapere che, come per una beffa, Suze era ritornata a New York da appena due giorni. Si sposta allora a Roma dove a notte inoltrata ha l’occasione di esibirsi al Folkstudio di via Garibaldi nel suo primo concerto italiano. C’erano una quindicina di persone nel locale che non lo conoscevano, venute per qualcun altro e che lo ascoltarono distrattamente. In quei giorni scrisse due canzoni, “Boots of spanish leather” interamente dedicata a Suze e “Girl from the north country” che gli frullava in testa da un anno ma che riuscì ad uscire solamente dopo la delusione di non averla trovata a Perugia. Quando infine tornò in America la rivide, sette mesi di lontananza avevano trasformato entrambi ma ripresero a vivere insieme e a litigare per gli stessi motivi di sempre. A ottobre c’era stata la Crisi dei Missili di Cuba e per reazione il Dipartimento degli Stati Uniti aveva imposto il divieto di recarsi nell’isola. L’episodio era stato il momento della Guerra Fredda in cui si sfiorò di più quella nucleare. 
La Rotolo aveva solo diciannove anni ma fu l’unica ragazza che si unì ad un gruppo di protestatari per i diritti civili per recarsi all’Avana, si trovò perfino seduta allo stadio a fianco di Fidel Castro che le parlava in spagnolo mentre lei non capiva. Suze non avrebbe mai potuto vivere nell’ombra della fama montante di Bob. Quelli erano anni in cui la lingua mondiale che si parlava era di curiosità, ricerca, rivolta contro il precostituito o l’imposto. La cultura era politica, la proprietà un furto, la nuova generazione non era guidata dalle logiche del mercato, i giovani pretendevano di capire, di determinare, non di vendere o comprare. E Suze era una di loro. Il secondo disco di Bob Dylan era oramai pronto con tutte le sue canzoni memorabili, ancor oggi a distanza di sessant’anni suonate in ogni parte del mondo e in tutte le lingue. Lui fu categorico nel voler inserire in copertina una foto con Suze mentre camminano tenendosi a braccetto per la 4th Street, felici e innamorati, lei con i capelli lunghi, il cappotto verde comperato in Italia e gli stivali nella neve della strada, pieni di freddo. Tutte le ragazze nel vederla la invidiarono, lui stava diventando il folk singer più famoso d’America. Verso Ferragosto ci fu l’ennesima lite che durò tutta una notte al termine della quale lei prese le sue cose e con la madre e il nuovo patrigno lasciò New York diretta nel New Jersey. Mancavano pochi giorni alla Grande Marcia su Washington del giorno 28 nella quale Martin Luther King Jr. pronuncerà al Lincoln Memorial lo storico “I have a dream”. Oramai si parlava di Bob Dylan e di Joan Baez come del Re e della Regina della musica folk quando a metà settembre 
Suze tornò a vivere al Village. Nonostante l’opposizione di sua sorella Carla, per la quale Dylan scriverà la rancorosa “Ballad in Plain D”, Bob si trasferì da lei ma le cose peggiorarono sempre più man mano che la sua fama cresceva mentre tra loro due regnava l’apatia, lui, sempre più egocentrico, megalomane, distruttivo, truccava la verità, si inventava di tutto. Venerdì 22 novembre avvenne in diretta TV la tragedia di Dallas. A marzo lei crollò del tutto e la storia con Bob finì per sempre, le loro vite oramai divergevano irrimediabilmente, per un anno la implorerà di tornare e di sposarlo ma lei resterà irremovibile. Un giorno del 1972 Suze sposerà invece Enzo Bartoccioli, operaio della Perugina conosciuto in uno dei suoi soggiorni italiani e avrà un figlio, Luca, che diventerà un chitarrista. Lei sarà pittrice ed insegnate e morirà a sessantasette anni a New York di tumore, nella notte tra il 24 e il 25 febbraio del 2011.

Dedicato a Beppe Montresor (1960-2022)

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