Pasquale Ziccardi – Via Pia 37 (SoundFly/Self, 2022)

Bassista, chitarrista e cantautore casertano, Pasquale Ziccardi è una delle figure storiche della scena musicale campana non solo per la lunga militanza nelle fila della Nuova Compagnia di Canto Popolare, ma anche per il suo articolato percorso artistico nel quale spiccano la breve ma intensa esperienza con Mediterranea, trio prog-rock nato dall’incontro con il compianto Fausto Mesolella e il batterista Agostino Santoro, la sua attività di autore per Mina, per la quale ha firmato “Dint’o viento” dall’album “Olio” del 1999, Peppino Di Capri, Gianni Lamagna e le collaborazioni con Musica Nuda, Maria Nazionale, Alessio Arena e Riccardo Ceres. A distanza quasi trent’anni dall’Ep “I giorni di festa”, pubblicato dopo la vittoria nell’edizione 1991 di Musicultura, lo ritroviamo con “Via Pia 37” opera prima che raccoglie undici brani autografi, scritti in un ampio arco temporale e che, nel loro insieme, rappresentano le pagine di un personale diario in cui sono racchiusi spaccati di vita, riflessioni e sogni. Insieme al musicista casertano abbiamo ripercorso la sua carriera per soffermarci, poi, sulla genesi, le ispirazioni e i temi di questo prezioso lavoro. 

Hai mosso i tuoi primi passi nelle scena musicale casertana…
La mia storia è comune a quella di tanti miei coetanei. Nei primi anni Sessanta ho iniziato a suonare la chitarra da autodidatta. Non sono mai stato in Conservatorio e, forse, è stato un errore, ma pian piano ho imparato bene e ho cominciato anche a scrivere canzoni. Poi arrivarono i primi ingaggi prima ogni due o tre mesi per accompagnare qualche artista locale famoso, poi per suonare ai matrimoni che erano un po’ il banco di prova. 
I musicisti più esperti ci tenevano d’occhio, osservavano come ci muovevamo sul palco e se avevamo problemi ad esibirci in pubblico. Se le cose non avessero funzionato, sarebbe stato difficile essere richiamati una seconda volta. Ad un certo punto, arrivarono anche le serate in piazza e, poi ancora gli ingaggi per suonare negli alberghi di Rivisondoli e Roccaraso. Un impresario locale organizzava un pullman in cui venivano imbarcati quattro o cinque gruppi e man mano si fermava nei vari alberghi. 

Soffermiamoci sulle tue prime canzoni. Quali erano le tue ispirazioni?
Cominciai a comporre i primi brani, semplicemente guardandomi intorno. Volevo raccontare le storie che succedevano intorno a me in un piccolo centro come San Clemente (frazione di Caserta ndr) nei primi anni Settanta. Era un dono che facevo a me stesso e agli altri, ma non c’era alcuna velleità di diventare famoso, né tantomeno pensavo che poi avrei avuto una carriera come musicista professionista. Nei cassetti sono rimasti ancora una quindicina di brani che i miei coetanei di San Clemente conoscono bene. Mescolavo blues, rock e dialetto napoletano, come fece poi, qualche tempo dopo, anche l’immenso Pino Daniele. Di fatto questi brani mi divertivano e generavano sensazioni positive.

Nel 1978 hai fondato il trio Mediterranea con Fausto Mesolella e Agostino Santoro con cui avete pubblicato uno splendido album nel 1981…
Alla fine degli anni Settanta cominciai a collaborare con Fausto Mesolella e Agostino Santoro, nacque poi questo trio con cui arrivammo alla Ricordi, grazie ad una segnalazione di Umberto Napolitano che quell’anno si era piazzato terzo a Sanremo con il brano “1979”. 
Lo avevamo accompagnato per diversi concerti e lui suggerì alla casa discografica il nostro trio. Eravamo tre capelloni, contro tutti e contro tutto, ma ci ricevette Nanni Ricordi in persona. Riuscimmo a pubblicare “Ecce Rock” nel 1981 che oggi è molto raro nella prima versione in vinile. Gran parte dei brani erano firmati da Fausto che era la mente del trio, mentre io e Agostino contribuimmo come autori di altre due composizioni, ma insieme lavorammo molto sul sound. Il nostro era un esperimento uno dei primi tentativi di mescolare il rock con alla tradizione musicale campana e la world music. Eravamo in anticipo sui tempi e, probabilmente, per questo motivo non ci fu un grande riscontro di vendite. Qualche anno fa la AMS Records, etichetta specializzata in musica prog-rock lo ha ristampato e a questa cosa è legato un aneddoto divertente. Ci contattarono per chiederci se avevamo le foto della versione italiana in vinile e questa richiesta ci sorprese. Chiedemmo se esistevano sul mercato altre edizioni e, a distanza di quasi quarant’anni, scoprimmo che era stato stampato anche in Giappone. Non è un caso che la ristampa presenti proprio la copertina della versione giapponese. All’epoca ci dissero che il disco avrebbe potuto funzionare sul mercato orientale, ma non ci demmo peso, né firmammo alcun contratto. Poi il trio si sciolse, Fausto raggiunse il successo con gli Avion Travel, io decisi di fare della musica il mio lavoro, mentre Agostino Santoro fu assunto al Comune di Caserta dove ha lavorato fino a qualche anno fa. Di quella esperienza ricordo tante risate, i viaggi nel furgone arancione, la prima volta a Milano e tanti momenti magnifici trascorsi insieme. 

Nel 1991 hai vinto Musicultura con “I giorni di Festa”…
È stato un po’ uno spartiacque nella mia carriera perché mi consentì di entrare nel mondo della musica come professionista. Dopo aver vinto il premio, firmai il contratto con la BMG per far uscire l’Ep “I
Giorni di festa” in cui oltre alla title-track c’erano quattro brani: “Mio nonno”, “La giornata” e “Il vento dell’Africa”. Quella è stata l’ultima volta che ho cantato in una tonalità molto intima e, già allora, ebbi qualche complimento per la mia interpretazione…

Raccontaci della tua collaborazione con Mina…
“Dint'o viento” la scrissi con Ferdinando Ghidelli e la mandammo a Mina. Non ricordo precisamente se era il 1995 o il 1996, ma la sua chiamata arrivò molto tempo dopo. Anche in questo caso c’è un aneddoto divertente. Premetto che abitualmente faccio molti scherzi. Una volta ricordo che ad un mio collega lo spedimmo a Milano a ritirare un premio, ma non era vero niente. Pensa che aveva prenotato il treno, l’albergo… Insomma, il livello era questo. Sicché quando Mina mi chiamò pensavo fosse uno scherzo. Per altro, quando lei scegle un brano si diverte molto proprio nel modo di comunicarlo ai vari autori, famosi o non famosi che siano. Segue sempre la stessa prassi. Lei chiama e, spesso, accade che nessuno le creda, visto che da anni vive lontano dai riflettori e si limita ad incidere e pubblicare dischi. Quando chiamò me, ovviamente risposi anche in modo che sembrava essere anche offensivo. Lei rideva tantissimo, perché mi esprimevo un po’ in dialetto e un po’ in italiano e io pensavo a come qualcuno si stesse divertendo alle mie spalle. Piano piano, cominciai ad escludere un po’ di gente ma non ci credevo ancora. Poi mi disse il titolo del brano e restai senza parole pensando alla figuraccia che avevo rimediato. Fu, però, una bellissima esperienza. 

È in quel periodo che sei entrato stabilmente nella line-up della Nuova Compagnia di Canto Popolare…
Cominciammo a collaborare per l’album “Tzigari” e poi entrai stabilmente nel gruppo con cui lavoro ancora oggi. 
Sono approdato in un altro mondo in cui sono stato bene per venticinque anni e non ho mai più abbandonato. Insieme abbiamo fatto diversi dischi, concerti e esperienze magnifiche.  Quando abbiamo lavorato con Tullio De Piscopo facemmo prove e concerti a stretto contatto. Vedevo questo settantenne con un energia invidiabile e riflettevo se in altri campi ci fosse gente con quella forza e quell’entusiasmo. Non è facile stare sul palco dietro ad una batteria. La scelta di fare il musicista di professione non è semplice. Devi avere proprio la febbre dentro dal momento in cui ti alzi al mattino. Il premio più grande è, però, è fare quello ci piace veramente. Quando sei stanco e non ce la fai più durante i viaggi, gli spostamenti, basta pensare ad un passaggio del concerto che ti è piaciuto particolarmente e, all’istante, si recuperano tutte le energie. Questa cosa bisognerebbe augurarla a tutti. 

Il tuo percorso si è incrociato, ad un certo punto, anche con Pino Daniele quando con la Nuova Compagnia di Canto Popolare vi volle sul palco accanto a lui…
Facemmo le prove a Roma insieme e trascorremmo molto tempo con lui. Fu molto piacevole lavorare insieme. Era la prima volta che lo incontravo, mentre Corrado Sfogli e Fausta Vetere lo conoscevano bene ed erano suoi amici. Loro si vedevano tutte le sere, si conoscevano da trent’anni, ma non sapevo che ci fosse questo legame così profondo. Quando ho visto il loro abbraccio, dopo tanti anni, è stato molto emozionante. La musica riserva anche queste belle cose. Magari condividi un rapporto fraterno per anni, poi le strade improvvisamente si dividono, ci si allontana e anche una telefonata sembra inutile. 
All’improvviso, poi, ci si ritrova ed è molto bello. 

Veniamo a “Via Pia 37”, la tua opera prima…
Pubblicare il primo disco a sessantatré anni sembra una cosa un po’ comica. In passato mi sarei fatto delle risate e all’autore avrei consegnato un premio al giorno (ride). L’aver pubblicato questo disco mi fa star bene e non provo alcun disagio nel fatto che lo abbia pubblicato solo ora, né tantomeno mi sono mai posto il problema. Penso semplicemente che era arrivato il momento giusto per pubblicarlo. 

I brani li hai scritti nell'arco di quasi vent'anni…
Non risalgono tutti allo stesso periodo. Ci sono un paio di brani che risalgono a venticinque anni fa, mai registrati prima e mai raccolti tutti insieme. È un piccolo riassunto di quello che ho fatto in questi anni. Volutamente, però, ho lasciato fuori i brani più famosi come “Dint'o viento” incisa da Mina, “'A vita è 'nà taranta” e “Gli occhi di Salgado”, entrambe pubblicate con la Nuova Compagnia di Canto Popolare. Li avrei messi anche volentieri ma ho voluto far conoscere questi brani che erano stati abbandonati da tanti anni e mi sembrava giusto pubblicarli.

Quali sono le ispirazioni alla base di “Via Pia 37”?
Non ho fatto un disco per guadagnarci, ma per raccontare delle esperienze di vita vera, reale. Non c’è nulla di inventato. Spero che questa cosa arrivi chi ascolta, anche perché sono delle sensazioni che a molti possono anche scivolare addosso. Spero di regalare un attimo di pausa in un momento difficile della nostra storia. Un disco non significa nulla, ma prendersi tre minuti per ascoltare una canzone vera e sentita può essere un grande piacere. 

Come hai scelto i musicisti che ti hanno accompagnato in questa avventura?
Non c’è stato nulla di pianificato a priori e la scelta è stata fatta in modo naturale cercando tra gli strumentisti che erano più adatti ad incarnare la sensibilità del brano. Accanto a me ci sono alcuni musicisti casertani come Mimì Ciaramella, Franco Faraldo, Michele Signore, Peppe Vertaldi e Anastasia Cecere, ma anche diversi della scena napoletana come Elisabetta Serio, Giosi Cincotti, Lorenzo Lamagna, 
Greta Zuccoli. La verità è che negli ultimi venticinque anni ho frequentato più Napoli, dove ho una famiglia musicale molto numerosa. 

Come si è indirizzato il lavoro sugli arrangiamenti…
In passato pretendevo che tutto fosse programmato nei dettagli, in questa occasione è stato diverso. Ho pensato agli arrangiamenti dei brani mentre da Caserta raggiungevo Napoli in treno che è una cosa strana per me. Chi mi conosce sa bene che guiderei per ore ed ore. Tra treno e Cumana arrivavo a cinquanta metri dallo studio e, al di là della comodità, tutto questo mi è piaciuto molto, anche perché erano anni che non andavo in treno. Ho scelto arrangiamenti piuttosto scarni perché non volevo ricamarci più di tanto e tutti sono stati elaborati in base a quello che ascoltavo e succedeva in treno la mattina. Con i musicisti ci vedevamo, ascoltavamo i brani e suonavamo insieme. Nel caso di “Prima o poi” addirittura lo abbiamo registrato in presa diretta io, Mimì Ciaramella alla batteria e Giosi Cincotti al piano. Il disco è venuto proprio come speravo, senza fronzoli perché anche qui è un fatto di anima.

Ti sei riscoperto cantante…
Dopo l’esperienza a Musicultura, come ho detto, non ho più cantato. Corrado Sfogli e Fausta Vetere hanno sempre insistito nel farmi cantare di più, ma nei gruppi c’è un equilibrio che non va intaccato. Quindi accade che canti un brano per intero, per poi fare solo degli interventi quando a cantare sono gli altri. Ho ritrovato il piacere di cantare e quando mi ascoltavo in cuffia pensavo a vent’anni prima. In questo senso, 
ha inciso molto l’atmosfera serena e tranquilla delle sessions di registrazione.

Ecco, veniamo alle sessions. Ci puoi raccontare come hai lavorato durante le registrazioni?
Ho registrato il disco presso Kammermuzak Studio che è il peggiore di Napoli (ride), ma anche il più bello. Praticamente è un corridoio dove c’è la regia e un bagno con il poster di Higuain. Là impazzisco proprio, ma si lavora benissimo. È gestito da Carlo Di Gennaro che è una persona veramente illuminata perché mi ha dato tutta la libertà che volevo. Oggi nessuno ti permette di lavorare su tre brani all’anno o altri tre in un mese solo. Penso che il posto in cui nasce un disco sia importante per la sua riuscita, come è accaduto anche in questo caso.

Da dove nasce il titolo del disco?
È la domanda più frequente che ricevo da tutti. Non è il mio indirizzo di casa a San Clemente, perché sarebbe stato troppo scontato. Non è neppure il luogo ideale delle mie ispirazioni. Ho scelto di non spiegarlo perché se lo facessi cadrebbe un po’ l’idea base del disco. Probabilmente non lo so neppure io con precisione perché non si può raccontare o spiegare. Penso che ognuno debba crearsi il suo viaggio attraverso i brani del mio disco.

Nel booklet ad ogni brano è abbinata una breve suggestione, un frammento di poesia…
In effetti ogni brano è accompagnato da un testo introduttivo che, per motivi di spazio, non abbiamo 
potuto includere nel libretto; tuttavia, è mia intenzione pubblicarli man mano sulla mia pagina facebook quando presenterò i vari brani. Per ora ho pubblicato solo “Libertà” a cui seguirà “Prima o poi” che è un brano notturno, per questo lo lancerò di sera.

Tra i brani che mi hanno colpito di più c’è “Libertà” che è una specie di testamento spirituale, un congedo che, però, apre il disco…
Ho cominciato a scrivere questo brano nel 2017 e, inizialmente, era concepito per stare proprio al centro della tracklist. È un canto o un urlo che può appartenere a chiunque o a qualsiasi cosa, anche alla Terra. Penso, però, che le canzoni non vadano spiegate affinché chi ascolta possa dare la sua interpretazione personale. Spiegare un testo è come vedere un film con i sottotitoli. Non so quanto serva dire tante cose di una canzone. Per altro, non uso neppure un linguaggio criptico e dovrebbero essere di facile comprensione. 

Il disco si chiude con uno strumentale “Monastiraki”….
Anche qui ho scritto una introduzione al brano e dentro ci sono tutti i ricordi legati alle diverse volte che sono stato ad Atene per suonare con la Nuova Compagnia di Canto Popolare. Soggiornavamo sempre tra Piazza Omonia e Monasteraki dove c’è un punto bellissimo: una piazzetta piccola che si incontra proprio all’uscita della metropolitana. C’è una gelateria che ora penso abbia chiuso dopo il Covid. Al centro c’è una fontana e quando mi sedevo là venivo invaso da un mondo antico. Era piacevolissimo trascorrerci del tempo specialmente la sera.

Nelle note di copertina scrivi: “Non devo ringraziare proprio nessuno”…
Ci rido da una vita su questa cosa. In ogni disco che mi è capitato tra le mani negli ultimi anni ci sono minimo sette o otto righe di ringraziamento che poi sono sempre gli stessi la famiglia, i figli, la moglie che magari non sanno nulla di come è nato il disco. È una cosa artefatta e l’ho fatto pure io nell’Ep pubblicato dopo Musicultura. Gli amici musicisti, il produttore li ho già ringraziati ma di persona…

Come sarà “Via Pia 37” dal vivo…
Per ora non ho ancora pensato di suonarlo dal vivo, anche se mi sta sollecitando Bruno Savino della SoundFly che è una persona molto attenta a quello che succede nel territorio e sta mettendo insieme un catalogo molto serio. Lui non pubblica dischi, tanto per pubblicarli, ma li produce se gli piacciono. Mi ha chiesto di preparare uno spettacolo ma io non ho fatto uscire il disco per questo motivo. Certo ci sto pensando e con Michele Signore abbiamo anche fatto qualche prova. Suonare da solo con la chitarra i brani non renderebbe l’idea del disco. Per ora è tutto in divenire. 



Pasquale Ziccardi – Via Pia 37 (SoundFly/Self, 2022)
#CONSIGLIATOBLOGFOOLK

Debuttare con un disco solista in età matura, dopo aver compiuto un lungo cammino attraverso esperienze artistiche differenti, rappresenta spesso il soddisfacimento dell’esigenza di raggiungere, un traguardo personale e, solo raramente, ci si trova di fronte a lavori realmente ispirati. Non è semplice riannodare i fili del tempo, riprendendo un percorso interrotto, magari dopo trent’anni, così come non lo è riuscirci mettendo in luce una brillante vitalità artistica. È il caso di “Via Pia 37” opera prima come solista del bassista e cantautore casertano Pasquale Ziccardi nel quale ha raccolto brani originali che sintetizzano il lavoro compiuto come autore in oltre vent’anni. E’ questo il frutto di una vena compositiva, quasi febbrile che non ha mai conosciuto fasi di stasi, come dimostrano le tante collaborazioni susseguitesi negli anni, senza contare l’attività con la Nuova Compagnia di Canto Popolare (lo ricordiamo, in tempi più recenti, protagonista di “Napulitane”, scritta con l’indimenticato Corrado Sfogli e Michele Signore, e che apriva magnificamente “Cinquant’anni in buona compagnia”). L’ascolto svela canzoni che racchiudono frammenti di vita, riflessioni profonde sulla vita, pensieri notturi, crepuscolari bozzetti introspettivi, ma anche sogni, desideri e dolci canzoni d’amore. Dal punto di vista sonoro, il disco si muove attraverso coordinate diverse dalla canzone d’autore alla world music, il tutto permeato dalla tradizione musicale napoletana e da una originale cifra stilistica. Registrato e mixato presso il Kammermuzak Studio di Napoli da Carlo Di Gennaro (batteria) e Michele Signore (archi e mandoloncello), l’album vede la partecipazione di un folto gruppo di strumentisti che si alternano al fianco di Ziccardi: Elisabetta Serio (piano), Mimmo Di Domenico (body percussion), Giosi Cincotti (piano), Paolo Licastro (launeddas, flauto e sax), Mimì Ciaramella (batteria), Alexander Celté Belda (basso tuba), Marino Sorrentino (bombardino, flicorno), Lorenzo Lamagna, Andrea Russo (fisarmonica), Jonny Parillo (fisarmonica), Gianni Varone (chitarra elettrica), Peppe Vertaldi (batteria), Antonio Di Francia (violoncello), Anastasia Cecere (flauto), Franco Faraldo (percussioni). Roberto Trenca (charango), Pina Selillo e Greta Zuccoli (cori). Ad aprire il disco è l’intenso e dolente epitaffio di “Libertà” con i fiati che accompagnano il crescendo ed impreziosiscono la profondità delle liriche. Si prosegue con i dolci echi latin di “Meu Core”, già ascoltata in “Cinquant’anni in buona compagnia” della Nuova Compagnia di Canto Popolare e qui riportata alla sua essenza poetica in un arrangiamento per pianoforte, chitarra e violoncello. Se “Afro” ci conduce sui sentieri della world music con il suo ritmo speziato e la sua melodia sinuosa, la successiva “Prima o poi” è una ballad pianistica appassionata, una canzone d’amore densa di poesia che si è fatta largo tra le ispirazioni poco prima di prendere sonno. Altra piccola perla acustica è “Rosa bella” intessuta tra le corde della chitarra e sostenuta dalle impunture ritmiche della batteria. Si prosegue con la bella sequenza in cui l’amore ritorna in controluce nelle diverse declinazione con la solare “Viva la musica”, la pianistica “Reflex” dalla brillante linea melodica e la trascinante “’A figlia mia” nel cui pieghe c’è il suono della Nuova Compagnia di Canto Popolare. La struggente preghiera laica “Nun ce lassare”, l’introspettiva “Parlammo” e l'evocativo strumentale "Monastiraki", eseguito magistralmente da Elisabetta Serio al piano, chiudono un disco appassionante in cui una grammatica compositiva raffinata si accompagna ad una peculiare cura per gli arrangiamenti. Da non perdere.


Salvatore Esposito

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