Abbiamo più volte elogiato e valorizzato l’aspetto jazz all’interno di dischi ad opera di artisti della galassia folk celtico come Pentangle, Gwendal, Clannad, John Martyn, John Renbourn, per citare alcuni tra i più conosciuti. Ma ci furono anche jazzisti negli anni settanta del secolo passato che percorsero esattamente i sentieri contrari. Oggi questo non stupirebbe più ma all’epoca era inedito incorporare nel suono jazz profili di musica popolare celtica. I primi echi li incontrai in un rustico disco, privo di sezione ritmica, di John Surman del 1972, inciso per la Island Records. Colpivano già il titolo “Westering Home” accoppiato alla bucolica e suggestiva foto di copertina e sul retro alcuni titoli delle sue originali composizioni, rigorosamente acustiche: “The Druid”, “Hornpipe”, “Reel-A-Ree”. Surman suonava in solitaria differenti strumenti sovraincidendo a sassofoni e pianoforte alcuni interventi di campanelli, piatti di batteria e saltuariamente anche qualche timida nota ambientale di sintetizzatore. Nell’introduzione del secondo titolo faceva la sua apparizione pure una danzante e popolaresca concertina, mentre in “Watershed” un solitario flauto dolcemente magico e ancestrale. I rimandi al folklore irlandese che si coglievano qua e là sono di particolare valore storico poiché allora i generi musicali viaggiavano su binari ben più distinti di oggi e le “contaminazioni” non erano ancora diventate “di moda”. Si tratta certo di un folklore immaginario, dall’andamento lento e meditativo ma in quegli albori solamente menti musicalmente illuminate, come certo era (ed è rimasta sempre) quella di John Surman, potevano riuscire ad immaginarlo. Questo figlio del Devon era già stato votato dai referendum londinesi su Melody Maker primo sassofono baritono inglese e veniva considerato uno dei capiscuola per ricercatezza espressiva del nuovo jazz europeo ma in questo disco il suo respiro circolare emana talvolta suggestioni piuttosto da cornamusa.
Aveva quindici anni quando divenne conscio del suono dentro di sé, era stato corista negli oratori e percepiva che la musica folk era parte naturale della sua esistenza. Amava il jazz ma più passava il tempo e più si rendeva conto che tanta della sua musica non proveniva dalle culle classiche di Chicago e New Orleans. Il brano più suggestivo del disco è il conclusivo “Rill-A-Ree” che, col senno di poi, presagisce un finale con i puntini di sospensione. Ripartirà dagli stessi echi per un nuovo inizio nel 1979 in magniloquenza sonora ECM col gioiello, sempre in solitaria, “Upon Reflection”, incantatoria e solenne celebrazione del matrimonio tra le sue ance e un sintetizzatore minimale sulle orme di Terry Riley.
Nello stesso 1979 il celebre pianista militante e compositore free François Tusques già autore in
Francia di una rivoluzione musicale al fianco di musicisti quali Beb Guérin, Michel Portal, Colette Magny, Sunny Murray, collaboratore di Don Cherry e Gato Barbieri durante le loro mitiche prime esibizioni allo “chat qui peche” parigino, manifestò il proprio sdegno davanti all’orrore della marea nera bretone in un LP. Tenendo fede al suo motto di non creare arte fine a se stessa lo intitolò eloquentemente “Après la marèe Noire-Vers une musique bretonne nouvelle” e venne pubblicato dalla mai abbastanza lodata etichetta Le Chant Du Monde. Il 16 marzo dell’anno prima la superpetroliera Amoco Cadiz aveva criminalmente sversato il suo carico di petrolio nel mare bretone al largo delle coste davanti al borgo di Portsall, causando uno dei maggiori disastri ambientali che la storia ricordi. In onore della terra armoricana Tusques compose un capolavoro di grandissimo valore artistico prendendo spunto dalla musica tradizionale di montagna, più specificatamente dal kan-ha-diskan della regione di Scrignac-Carhaix che conosceva per aver partecipato nel corso di numerosi anni alle Fest Noz del luogo, assieme al gruppo folk Diaouled Ar Menez.
Tags:
Suoni Jazz