Musica Celtica?!

Nel mondo della cultura popolare in genere e della musica celtica in particolare negli anni settanta del secolo scorso soffiò finalmente un buon vento, evidentemente terreno e ambiente erano pronti e propizi per il suo armonico e solido sviluppo. Tutto ciò che è iniziato e si è cementato in quel decennio è diventato concreto, è arrivato a maturazione e molto spesso è durato nel tempo. Una bella fortuna essere stati contemporanei ad un periodo così perché non si è trattato affatto di un effimero o prometeico fuoco, la compiutezza artistica di quelle tradizioni oggi è diventata patrimonio comune. Forse sarà stato anche questione di astri perché esistono indubbiamente fattori cosmici differenti in un periodo anziché in un altro, anche se sono al di là delle nostre comprensioni e delle nostre influenze. Ma ci sono ragioni più realistiche se queste musiche hanno affascinato milioni di persone, anche molto distante dai quartieri di Quimper o Dublino. I popoli d’Europa possiedono uno substrato culturale comune, in paesi differenti e lontani per confini storici esistono e sono sopravvissute innumerevoli storie simili tra loro che raccontano la Grande Leggenda del Vecchio Continente. Dall’inizio di quel decennio, pure corteggiando jazz, rock o altre svariate combinazioni sonore, le musiche celtiche hanno iniziato ad esalare una magia irresistibile che strega e ammalia. Da quel poco di cui c’è assoluta certezza, i Celti fabbricavano le botti e amavano bere e cantare le storie. Ognuna delle terre da loro popolate possiede e in parte ha conservato comunque caratteristiche proprie, tanto che parlare genericamente di “musica celtica” è concetto alquanto fumoso.
Anche se è indubbio che musiche bretoni, irlandesi scozzesi, gallesi, galiziane, asturiane hanno fili di similitudini che le tengono unite e che vanno a finire tutti nella stessa matassa. Tra queste un senso di convivialità, festa e danza, unite ad una nostalgia, talvolta profondissima che, almeno in Bretagna, si taglia con il coltello, grigia come cieli estivi carichi di nubi nere e impietose di quell’oceano. Gli antichi bardi suonatori erano in grado di memorizzare interi poemi grazie ad una forma metrica di tre righe composte di sette sillabe, detta “englyn milwr” (la canzone del guerriero). La forma scritta era assolutamente bandita sia allo scopo di rafforzare le proprie facoltà intellettive, sia per permettere così di perpetuare monopolio e misteri attorno alle loro conoscenze. Le prime informazioni riguardanti le espressioni musicali presenti in Irlanda, Scozia, Galles o Inghilterra si devono a Diodoro Siculo ma perfino Cesare scriveva nel “De Bello Gallico” che nella musica dei Celti si riconoscevano la supremazia e l’onnipotenza degli dèi. Quando le legioni romane li cacciarono finirono per trovare rifugio nell’Isola di Man e probabilmente fu proprio questa la causa dello spostamento in Irlanda della teoria della musica britannica.  Poi, perduto quell’alone sacro che circondava da sempre la figura dei druidi, anche i bardi e le loro arpe iniziarono a frequentare le corti regali al servizio dei potenti di turno. Da quei tempi ai rave-noz attuali, queste storie e questi suoni sono diventati una lunga saga che ha attraversato i secoli. Si tratta di paesi che da millenni sono divisi in due famiglie linguistiche: Irlanda, Scozia e Isola di Man appartengono al gruppo gaelico, Galles, Cornovaglia e Bretagna a quello brittonico. Ovviamente esistono numerosissime somiglianze tra loro per via delle comuni basi linguistiche, delle reciproche frequentazioni e forse anche della stessa geologia. Ma esistono similitudini sorprendenti, per esempio, anche tra le musiche bretoni e quelle rumene o bulgare, molto meno comprensibili. 
In Bassa Bretagna si parla il bretone, in Alta Bretagna il gallo, senza contare i quattro dialetti differenti di cui conta la lingua. La quasi totalità delle canzoni che si ascoltano sono in bretone, la lingua gallo è utilizzata assai raramente e, da tempo, i suoi canti sono caduti nell’oblìo. I casi più conosciuti attualmente sono quelli di Mathieu Hamon all’interno del gruppo Hamon Martin Quartet/Quintet e del poeta e linguista Bertran Obrée, autore tra l’altro del primo dizionario gallo-francese, sia in seno al gruppo Obrée Alie che nei suoi progetti solistici. Il formidabile cantante Erik Marchand arriva a definire il francese “la forma letteraria della lingua gallo”. E’ una lingua di un realismo obsoleto e nostalgico perennemente in bilico sulla soglia tra l’uomo e la forza della natura che lo osserva dalla vasta estensione del mare infinito con il suo occhio di un verde assoluto. 

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