Musica Celtica?!

Il territorio bretone si divide in una decina di “bro” che corrispondono all’incirca alle giurisdizioni degli antichi vescovati, ognuno con propri ritmi e danze. L’erudito Roland Becker, istrionico cultore e ricercatore ne ha contate più di cento e se lo dice lui che, ancora sconosciuto, nel 1980 ha avuto l’incarico da Alan Stivell di orchestrare e suonare le bombarde nella Sinfonia Celtica...c’è da credergli di diritto! Anche l’Irlanda si divide in numerose contee differenti, sono ben trentadue, di cui sei fanno ancora parte del Regno Unito. Per non sbagliare sarebbe meglio quindi parlare di Musiche Celtiche al plurale, in special modo includendovi le due regioni spagnole, Galizia e Asturie, anch’esse dai lontani antenati celtici e le cui lingue presentano oggi numerosi punti in comune con il portoghese, tutti derivanti da un idioma celtiberico. Il loro strumento principale, la gaita gallega o gaita de fol è assai prossimo alla cornamusa scozzese, nonostante il suo nome probabilmente derivi da ghaita che ritroviamo come rhaita in Marocco e algaita in Nigeria, un oboe nordafricano simile alla zurna. Ma potrebbe anche provenire da gaida, gajda o gajdy, cornamuse appartenenti all'Est Europeo. Una curiosità è che sia Bretagna che Galizia chiamano Finisterre il proprio punto estremo. Nella maggior parte dei casi quel che in Francia “suona bretone” nel resto del mondo “suona irlandese”. L’amalgama tra bretone e celtico è stato frutto di una tattica a lungo termine tesa a disinibire i Bretoni di fronte alla loro musica tradizionale mentre l’utilizzo della definizione “musica celtica” oramai entrata nel lessico comune 
è diventata sinonimo di musica irlandese e deriva meramente da una schiacciante superiorità numerica e dagli eventi storici. Spinti dalle persecuzioni inglesi e dalle carestie gli Irlandesi hanno infatti emigrato in massa nel corso degli ultimi secoli e durante questa diaspora hanno popolarizzato ovunque la loro cultura.Solo nel triennio 1846-1848 un milione e mezzo morirono di fame e un altro milione lasciò il paese, soprattutto dalla parte ovest dove il gaelico era la lingua più parlata. Si spostarono nei paesi fratelli al di là dei propri confini, a tutt’oggi sono un milione i nativi che risiedono in Inghilterra. Ma attraversarono anche gli oceani, si stima che siano più di quaranta milioni di Americani di origine irlandese negli Stati Uniti e anche l’85 % della popolazione australiana ha antenati proveniente dall’Irlanda. Oramai da tempo l’influenza irlandese si è sparsa in molti luoghi nel pianeta, non dimentichiamo che mescolandosi con quella afro-americana ha dato vita anche alla musica rock. Vero è che le ballate appena lasciate libere di vagare nello spazio iniziano sempre a vivere una vita propria assolutamente imprevedibile subendo trasformazioni e variazioni a seconda degli ambiti culturali e linguistici delle loro nuove società. In questo risultano essere dei documenti davvero eccezionali, testimonianze delle convinzioni più profonde delle genti e raccontando drammi esteriori ed interiori che talvolta sfuggono perfino alle lenti analitiche dei libri storici. Gli emigranti Irlandesi si rassicuravano l’anima, combattevano le proprie nostalgie rimanendo stretti al cordone ombelicale dei loro villaggi d’origine in una continuità emotiva di grande valore. Ma quelle canzoni per sopravvivere a loro volta dovevano adattarsi al nuovo mondo così differente dai
primitivi contesti contadini in cui erano nate e vissute. Nelle versioni americane il loro caratteristico tratto magico originale sparì del tutto ben presto, gli elfi e i cavalieri che le popolavano finirono per trasformarsi tutti in demoni infernali. Lo spirito puritano e calvinista della società americana era troppo forte e riuscì contro il paganesimo laddove le censure del Cristianesimo europeo avevano solamente tentato. Ovviamente ciò non è accaduto solamente per la poesia popolare, la lista dei peccati, sesso in testa, ha generato colpe e vergogne a non finire di cui ancor oggi le società subiscono gli effetti. L’amore romantico delle ballate venne trasformato in una tentazione dannatrice per l’eternità come è ben raffigurato, ad esempio, nella storia della celebre e meravigliosa “The Demon Lover”, una canzone folk al cui fascino, credo, nessuno ha potuto resistere. I documenti narrano che nel 1685 veniva riportata in un foglio volante una ballata molto popolare dal titolo “A Warning for Married Women”, che però probabilmente esisteva in forma orale anche in tempi precedenti. Era la narrazione della storia di una donna di nome Jane Reynolds, nativa della campagna presso Plymouth, che amò un marinaio, sposò un falegname e alla fine fu portata via da uno spirito. Nelle forme originali britanniche l'amante era il fantasma del marinaio morto che tornava per vendicarsi sulla ragazza infedele alla sua memoria. La donna rimaneva incantata dalle promesse del marinaio e solo dopo essere salita a bordo della sua nave fantasma veniva a conoscenza delle sue reali intenzioni malevole e della vera identità dell’uomo. La destinazione finale del fondale marino potrebbe far riferimento ad una antica credenza dell’inferno precristiano e cioè di “un luogo freddo che si trova a nord”. 
La ballata sopravvisse negli Appalachi finché una versione americanizzata non apparve stampata a Filadelfia e poi a New York con il titolo di “The House Carpenter” intorno al 1860. Il riferimento a paradiso e inferno non era oramai che un'ombra dell'elemento soprannaturale originale, il seduttore si era trasformato in diavolo con gli zoccoli e il messaggio sociale in moralista ammonimento alle donne sposate a lasciar perdere il romanticismo e rimanere nella propria tranquillità familiare per non rischiare punizioni demoniache. In alcune versioni addirittura anche i bambini della donna sparivano nel nulla e il marito-falegname si impiccava. Nelle sue differenti versioni la canzone verrà magistralmente interpretata da innumerevoli protagonisti delle scene musicali su entrambe le sponde dell’oceano, dai Pentangle agli Steeleye Span, da Bob Dylan a Joan Baez. Tornando ai territori che i Celti hanno anticamente dominato con la loro filosofia, religione ed arte, in Galles la maggior parte della musica rimasta oggi è di origine irlandese, la perdita e l'abbandono dei propri canti sia antichi che moderni è stata massiccia. La sensualità della lingua Cymraeg è ascoltabile in poche occasioni discografiche, in antichità le melodie tradizionali gallesi accompagnano soprattutto il canto di poesie colloquiali, in una pratica detta “pennillion”.  I sonetti sopravvissuti dopo la sparizione dei bardi lo devono unicamente a questa usanza domestica delle classi umili e contadine della società che in questo modo esprimevano anche il loro innato senso di ospitalità. A differenza della Gran Bretagna, sembra che nel Galles la musica popolare antica fosse polifonica e che così fosse grazie alle invasioni scandinave, stando almeno alle affermazioni di Giraldus Cambrensis (sec. XII°). Lo strumento utilizzato era l’arpa o anche la crota (o rattan), una sorta di cetra arcaica, triangolare con diciassette stringhe, senza maniglia e che veniva diteggiata talvolta con un plettro. Questo strumento antico venne rappresentato tra il X° e il XV° secolo in varie altre parti d’Europa, lo si può osservare in una raffigurazione a Saint Martial de Limoges in Francia dove appare suonata da Re David, come in Spagna
sulla collegiata di Santillana del Mar a Cantabria. La crota rimase in uso fino al XVIII° secolo e oggi c’è anche chi lo considera strumento nazionale forse anche perché è credenza comune ritenere che furono gli irlandesi a diffondere l’arpa nel Galles. Anche in Scozia, nonostante il suo folklore fosse quello più antico, all’alba degli anni sessanta del secolo scorso la cultura rurale era stata oramai completamente soppiantata da quella irlandese nei pub di tutte le città, Glasgow compresa. Solamente a prezzo di notevoli sforzi è poi iniziata una inversione di tendenza e la riscoperta della musica scozzese in un lento processo iniziato dall’ultimo decennio del secolo passato. In Cornovaglia purtroppo è andata peggio perché nel corso del XVIII° secolo la lingua si è del tutto estinta e con essa una buona parte di quella tradizione. Oggi è lingua morta, non rimangono che pochi luoghi dove si studia ancora ma le radici celtiche sarebbero completamente da reinventare. Le musiche celtiche esitano spesso tra il pentatonico e il diatonico, c’è una instabilità tra il binario e il ternario, non è mai completamente né l’uno né l’altro e ciò crea un ritmo unico irresistibile. Ma ci sono anche aspetti misteriosi o bizzarri in questi suoni. Ai primi appartiene, ad esempio, l’enigma per cui gli Inglesi, per suonare l’arpa, hanno continuato ad utilizzare le corde di budello animale mentre gli scozzesi sono passati a quelle metalliche. Ai secondi il motivo per cui una cornamusa scozzese finisce sempre per possedere un timbro armonico assai più acuto di una del sud Europa...chissà sarà forse per l’umidità maggiore delle loro latitudini?! 

Flavio Poltronieri

Posta un commento

Nuova Vecchia