Da una decade questo partenariato di corde genera suoni scintillanti in quello che è il racconto avvincente di una musica antica e contemporanea al contempo, della mutua scoperta della possibilità di accostare timbri e tradizioni musicali lontane. Parlo della fusione di elementi folk gallesi e classici e di stili associati allo strumento elettivo dei cantori di lode dell’Africa occidentale realizzata dall’arpista gallese Catrin Finch e dal senegalese del Casamance, residente a Nottingham, Seckou Keita (kora). I due spiriti affini ci hanno regalato due album acclamati dalla critica, “Clychau Dibon” e “Soar”. Ora, a completare una sorta di trilogia e a celebrare dieci anni di condivisione di corde (tutte insieme fanno 69 o addirittura 91, considerata l’arpa con 22 corde collocate su ciascuno dei due manici dello strumento di Keita), c’è “Echo”, prodotto da Finch, Keita e Tom Colvin (quest’ultimo ne ha curato anche il mixaggio). “Con questo album, ci sentiamo come se avessimo raggiunto il nostro posto, musicalmente e creativamente”, dice Catrin. “Questa è l'eco che lasceranno dietro di sé: l’eco di persone care ormai scomparse, di cuori che battono, di musica, di amore” (Morgan). “Questo è ciò che continua a viaggiare nello spazio e nel tempo”, dice Seckou, “anche dopo che l'ultima nota è stata suonata o l'ultima parola è stata cantata.”
Sette tracce firmate da Finch e Keita, un altro trionfo sprigionato, inevitabilmente, dal ritrovarsi nel 2021 per unire nuovamente “cuori, menti e dita e trovare la loro eco l’uno nell’altro” (Andy Morgan) dopo la sospensione imposta dai due difficili anni appena trascorsi.
Non è un caso che la prima traccia di “Echo”, “Gobaith”, in gallese significhi “Speranza”: un ostinato d’arpa a cui si aggiunge la kora in un intrico morbido e gentile di corde, sostenuto da una sezione d’archi (due violini, due viole e un violoncello) e dal contrabbasso, un settetto che accompagna la coppia nelle prime tre tracce e nella sesta del disco. Questo motivo iniziale è anche l’overture della colonna sonora del balletto “Giselle”, composta da Catrin. Dalla carica suadente di gioia speranzosa innestata dall’apertura si passa a “Chaminuka”, brano che porta la dedica al musicista Chartwell Dutiro, suonatore di mbira, amico e mentore di Seckou, scomparso nel 2019. Nel titolo è ripreso il nome di un leader spirituale Shona dell’Ottocento ed il pezzo è stato concepito inizialmente anch’esso come tema al servizio di una serie TV
della BBC. Nella seconda parte della composizione l’ingresso degli archi e della voce di Seckou (le parti vocali sono l’altra novità in questo terzo album), che canta per il suo amico che non c’è più, portano un decisivo cambio di umore. In “Dimanche” la magia dei due strumenti elettivi di Seckou e Catrin impera ancora con un magnifico crescendo nella parte finale. Per la successiva “Dual Rising” le note di presentazione (la versione CD è in forma di Digi-book di ben 40 pagine redatte dal giornalista e saggista Andy Morgan) raccontano come la coppia abbia messo a frutto la collaborazione con l’arpa colombiana di Edmar Castañeda. L’approccio fortemente dinamico del duo ha come pregiato esito superbi passaggi improvvisativi. Il lirismo di “Tabadabang” ci fa viaggiare di nuovo nel Senegal, richiamando un gioco che i genitori fanno con i propri bimbi per toglierseli dai piedi quando si deve parlare di argomenti delicati, mentre in “Jeleh Calon” – che significa, rispettivamente, “sorriso” in lingua mandinka e “cuore” in cimrico – dove ritornano gli archi, l’empatia sonora tra i due è ancora una volta ammirevole. Qui, il registro grave dell’arpa sembra riprendere il battito cardiaco con la kora che entra a donare solarità con il suo luminoso fraseggio. “Corde Nuove” (“Julu Kuta” in lingua mandinka) è la traccia conclusiva in cui Keita suona la sua kora a doppio manico adattata alla scala cromatica.
Neppure questa volta sfuggirete al potere delle corde!
Ciro De Rosa
Foto di Jennie Caldwell ©
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