Talisk – Dawn (Talisk Records, 2022)

Dopo due dischi (“Abyss” del 2016 e “Beyond” del 2018) salutati entusiasticamente (e giustamente) come le prove di una delle formazioni più fresche e originali della nuova scena scozzese, il trio Talisk, guidato dal suonatore di concertina Mohsen Amini, prova a spingere ancora oltre i confini della propria musica, dopo aver già sperimentato nel secondo album un parco ma efficace uso di effetti e elettronica. Con una formazione nuova di zecca (con i nuovi membri Benedict Morris e Graeme Armstrong, rispettivamente a violino e chitarra, a sostituire i partenti Hayley Keenan e Craig Irving), la nuova line-up concede ampi spazi a elettronica e a ritmiche ancora più marcate che in passato, aprendosi ad un suono ammiccante e più adatto ai grossi festival all’aperto che alla scena dei teatri e dei club, abbandonando l’approccio ancora prettamente acustico dei primi due lavori. Niente di male in ciò, sia chiaro, anche se la varietà dispiegata nelle opere precedenti viene sacrificata sull’altare di un sound giovane, moderno e massificato, con la chitarra che, già con il suo drive ritmico efficace e incalzante, non avrebbe bisogno del supporto di uno stomp incessante e marcato come invece succede in buona parte dei brani di questo nuovo “Dawn”. Purtroppo molti, troppi momenti dell’album tendono a suonare “tutti uguali”, vedasi l’iniziale “Aura” e la seconda parte della lunga suite “Dystopia”, ad onor del vero aperta da una splendida lenta introduzione che potrebbe essere stata suonata e composta dai Lau, altro gruppo scozzese di gran livello. In un album da ascoltare a volumi importanti, sono proprio i momenti di introspezione, come la prima parte di “The Light of the Day” e “Interlude”, che introduce la seconda parte dell’album, a risultare più interessanti per chi scrive. Nel disco vengono comunque a galla le impressionanti capacità tecniche dei componenti, soprattutto del leader, il già citato Mohsen Amini, virtuoso della concertina, piccola fisarmonica esagonale a bottoni; le composizioni, a firma dello stesso Amini, raccontano di un’esuberanza spesso esagerata ma anche di una lunga. frequentazione del materiale tradizionale; l’interplay fra il violino e la stessa concertina è spesso efficace anche se spesso synth e cassa elettronica (rigorosamente in 4 anche nelle gighe…) tendono a impadronirsi delle dinamiche e a nascondere i dettagli più interessanti. La sovrabbondanza di volume e di dinamiche up-tempo ci lasciano l'interrogativo se questo “Dawn” sia  un’occasione persa anche per la rinuncia a consolidare il loro percorso di maturazione nell'ambito della scena nu-trad scozzese o viceversa sia il riuscito tentativo di ampliare il proprio pubblico e i propri orizzonti sonori verso la techno-celtic che annovera tra i principali esponenti gli italiani The Sidh. 


Gianluca Dessì

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