Oumou Sangaré – Timbuktu (World Circuit, 2022)

#CONSIGLIATOBLOGFOOLK

Sempre molto attiva su più fronti, ci sono volute le restrizioni legate al Covid per riportare Oumou Sangaré ad occuparsi soprattutto di musica e all’etichetta discografica che l’ha accompagnata nel primo ventennio di carriera internazionale, la World Circuit. Gli ultimi album erano stati ben prodotti dalla parigina Nø Førmat! di Laurent Bizot e anche a “Timbuktu” collaborano due produttori francesi, Nicolas Quéré, attivo alle tastiere e ai fiati, e Pascal Danaë che offre riuscite occasioni di incontro alle sue chitarre, slide guitar e dobro con i ritmi wassulu e le corde del kamale ngoni di Mamadou Sidibé. Proprio quest’ultimo, da tempo residente a Los Angeles, ha affiancato Oumou Sangaré nei sette mesi che ha passato a Baltimora nel 2020 a causa del Covid: “Mi sono subito sentita attratta da questa città. Mi ci sono trovata così bene che ho comprato una casa”. Lì ha scritto dieci delle undici canzoni del nuovo album, arrangiate insieme a Mamadou Sidibé. "Dal 1990, non avevo più avuto occasioni per stare tranquilla e dedicarmi esclusivamente alla musica. Penso che questo si rifletta nella musica e nei testi, frutto dei momenti in cui ho potuto ritirarmi in me stessa e meditare. La musica è dentro di me. Senza musica non sono niente, e niente può portarmela via! In questo disco ho messo la mia vita, tutta una mia vita in cui ho conosciuto la fame, l'umiliazione della povertà e della paura, e da cui oggi traggo gloria”
Un bel riff graffiante di chitarra elettrica apre l’album con "Wassulu Don" (la cultura Wassulu), brano energetico che ribadisce l’amore per la sua terra natale e l’orgoglio per una regione capace di costruire la propria prosperità. Lì, a Yanfolila, Oumou Sangaré ha voluto investire i proventi delle sue attività artistiche dando vita ad un complesso culturale e turistico con una quarantina di bungalow, ideale per ospitare anche il festival FIWA - Festival International du WAssulu – cresciuto da 120 a decine di migliaia di spettatori nelle cinque edizioni, l’ultima a marzo di quest’anno. La stessa energia l’ha messa anche in “Sarama”, il brano con cui ha voluto lanciare l’album e in cui invita a mettere al loro posto i pettegolezzi e gli attacchi personali (come avviene anche in “Dily Oumou”). Le parole più dolci e le atmosfere più legate alle sonorità non elettrificate degli strumenti le riserva al ruolo delle donne e delle madri in brani come “Gniani Sara”, dove interviene la batteria, e “Kanou” che riporta all’intimità domestica e al calore del coro femminile che sostiene e risponde alla voce solista. Di note blues sono intrise “Demissimw” e “Kêlê Magni” che, una dopo l’altra, prima in modo lento e dolenti, poi
con l’abbrivio di balafon e batteria, raccontano i modi in cui la guerra e la violenza, che attraversano anche il Mali, colpiscono i bambini. A metà album, “Timbuktu” esprime tutta la forza della sua voce e le sue sapienti sfumature di narratrice capace di esprimere la storia e il sapere straordinario che caratterizza la capitale maliana, sorta di appello alla responsabilità collettiva affinché un simile patrimonio non vada disperso e resti occasione di unità ed incontro. In chiusura dell’album, pur aperta da un sintetizzatore, “Sabou Dogoné” è un ritorno al repertorio tradizionale, un gioco di specchi fra canto individuale e collettivo, fra dimensione pubblica e spazio intimo della meditazione, già annunciata dall’introspettiva "Degui N'Kelena". “Sabou Dogoné significa ‘sapere nascosto’, fa parte del patrimonio ancestrale della regione rurale del Wassulu: non ne ho alterato il testo, ma ho agito sulla parte ritmica, scegliendo un andamento più lento, come se si trattasse di una ballata, proprio per far comprendere meglio agli ascoltatori il messaggio, almeno a livello fisico, anche a che non parla questa lingua”. Colpisce anche l’efficace lavoro grafico di Evans Mbugua: “Sono rimasta sorpresa: ha lavorato a partire da una foto in cui non compariva il mio sguardo, l’opposto di quel che si fa in genere per la copertina di un disco. Per me il risultato è incredibilmente bello, veicola una dimensione artistica e spirituale che riflette perfettamente lo spirito di ‘Timbuktu’ ”


Alessio Surian

Posta un commento

Nuova Vecchia