Oumou Sangaré – Acoustic (Nø Førmat, 2020)

Quest’anno Oumou Sangaré festeggia trent’anni di carriera discografica. Ha inciso il suo primo disco solista poco più che ventenne e fra il 1990 e il 2001 ha realizzato quattro splendidi album. Nel frattempo, si sono sviluppate le collaborazioni musicali e anche la sua attività di imprenditrice: il successivo disco, “Seya”, ha dovuto aspettare otto anni. Passati altri otto anni e interrotto il rapporto con la World Circuit, nel 2017 ha prodotto il magnifico “Mogoya” con l’etichetta parigina Nø Førmat ed ospiti del calibro di Tony Allen. L’anno successivo Nø Førmat ha dato vita ad una nuova versione remix dell’album, attenta ai suoi diversi risvolti ballabili. L’anno scorso, per celebrare i primi quindici anni della Nø Førmat al London EartH, Oumou Sangaré si è presentata con un notevole gruppo unplugged: sarebbe stato un peccato non dar seguito a quel concerto. Così, ad agosto 2019, quel gruppo si è chiuso un paio di giorni nel Midi Live studio a Villetaneuse dove ha ripreso “Mogoya” sottraendo elettricità ed elettronica per far scaturire un’energia diversa ma non meno intensa. L’asse portante sono le parti vocali sostenute dal kamele n’goni di Brahima “Benogo” Diakité e dalla chitarra acustica di Guimba Kouyaté. Laurent Bizot, fondatore della Nø Førmat, ricorda così la scintilla che ha dato fuoco alle polveri: «In quel concerto, per la prima volta, Oumou ha dato vita ad una modalità acustica che invitava a lasciarsi andare. Era magnifico lo spazio che ne era scaturito per la sua voce». Il kamele n’goni di Benogo Diakité segna l’apertura di “Kamelemba” (donnaiolo) e dell’album, raggiunto dalla chitarra Guimba Kouyaté a sostenere il ritmo e dalle voci di Emma Lamadji e Kandy Guira che accompagnano quella di Oumou Sangaré, la quale stigmatizza i privilegi maschili e il modo in cui certi uomini sanno conquistare con false promesse l’affetto della donna. Vincent Taurelle sa punteggiare dolcemente il tutto con interventi alla celesta e all’organo. Quest’ultimo diventa maggiormente incalzante e protagonista nel successivo “Fadjamou” (cognome), brano energetico che celebra la forza con cui i nomi di famiglia stabiliscono legami fra le persone, i gruppi e attraverso i confini africani e nel mondo. Nei successivi due brani, i versi della cantante sono dedicati alle donne e specialmente alla madre, Aminata Diakité, a sua volta apprezzata cantante. “Diaraby Nene” (brividi d’amore) l’accompagna fin dalle prime registrazioni: quasi sei minuti compatti e ritmicamente sostenuti; poi, quando il brano sembra volgere al termine, dopo una pausa che sembra chiudere la narrazione, strumenti e voci riprendono, intensificano il ritmo ed imprimono una splendida coda incalzante che lascia intuire il potenziale del gruppo quando si lascia andare dal vivo. Ed ecco il kamele n’goni che regala un nuovo cambio di passo, seguito dalle voci di Emma Lamadji e Kandy Guira a preparare il terreno per l’esplicito omaggio a Aminata Diakité, “Minata Waraba” (Minata la leonessa). Se fin qui la musica ha saputo scorrere all’insegna di una piacevole energia, “Saa Magni” (la morte è terribile), guidata dalla chitarra di Guimba Kouyaté, sa fare i conti con la tristezza più profonda, legata al lamento per la morte di Amadou Ba Guindo (che ebbe un ruolo chiave nel dar vita al primo gruppo di Oumou Sangaré). Qualche traccia dopo, “Yere Faga” (suicidio) sa trovare il tono giusto per trasmettere affetto e calma: un invito a chi soffre a non togliersi la vita. Nonostante la tessitura sonora rimanga invariata, ogni brano sa disegnare un proprio mondo, si tratti della cornice blues di “Minata Daraba”, dell’accorato appello ai migranti perché siano in grado di ritrovare la strada e aiutare a ricostruire il Mali (“Mali Niale”, bel Mali) o dell’ispirato dialogo fra bordoni e stratificazioni ritmiche di “Djoukourou”. Se avete amato “Mogoya” qui ne trovate l’essenza; se non l’avete ancora ascoltato, cominciate pure da “Acoustic”, è una magnifica porta d’entrata. 


Alessio Surian

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