TheRivati – Napoli Folk Blues Vol.1 e Vol.2 (Fumo/Believe, 2021)

È impossibile, durante l’ascolto, non tenere il tempo delle dodici battute che scandiscono le canzoni dei TheRivati e del loro blues, affacciato su Spaccanapoli e sul delta del Mississipi. Un gioco di duplicità e commistioni, quello costruito da Paolo Maccaro (voce e armonica) e Marco Cassese (chitarre), che, nell’arco di due Ep, racconta alla perfezione tutte le contraddizioni di una Napoli venata di suoni Americana, ma ben salda alle sue radici. “Napoli Folk Blues Vol.1” è aperto dalla programmatica “Pigliate stu blues”, squarciata dallo strumming di una forsennata chitarra slide e dalle svisature di un’armonica. Tutt’altra atmosfera su “Sorellì”, segnata da un delicato arpeggio di chitarra acustica, con un basso che si muove sinuoso in sottofondo, e le dolci aperture della sezione archi a contrastare il timbro graffiato di Maccaro. “Tengo nu problema” ci riporta su atmosfere più marcatamente blueseggianti, quasi a là Blue Stuff, con una chitarra in accordatura aperta a rincorrere gli strappi incendiari dell’armonica, in un pezzo il cui unico difetto, a voler trovare il pelo nell’uovo, è di avere solo un tamburello come sezione ritmica: un vero peccato, considerando che dei fill di batteria lo avrebbero definitivamente lanciato nell’iperuranio del blues campano. Non è vero blues se, prima o poi, non spunta fuori il caro vecchio Hammond: qui lo troviamo, puntualissimo e ieratico, su “Hai ragione tu”, sostenuta dallo shuffle di una chitarra acustica, distorto dai fraseggi incendiari della chitarra elettrica e da quelli dell’armonica. L’ultimo episodio di questo primo volume è “Blues vecchio”, su cui ritorna uno slide che, insieme ad una voce megafonata e ad una stanca e languida armonica, ci fa risalire il Mississipi a bordo di un blues delle origini, figlio di Son House e di Sleepy John Estes.
Il Vol. 2 è fratello in apertura del primo: una chitarra acustica a sostenere lo strumming, un’armonica aggressiva a morderlo ed un tappeto di organo ad intorbidire il tutto: “Faccio abuso” è tutta lì e nella voce sporca di Paolo. “Difficile capì” è sorretta da una chitarra acustica in bilico fra palm-muting e fraseggi solisti, con gli strappi dell’armonica ad infuocare e le trame di un violoncello a tingere di noir la dinamica. “Ninna nanna” è lo stacco melodico dell’ep, e si snoda lungo un tenero arpeggio di chitarra acustica, colorato dalla fragile intro iniziale, affidata ad un sassofono. Stacco melodico che dura giusto il tempo di una canzone: su “Baby blues” tornano timbri a nuances elettriche, con i fraseggi della chitarra ad inacidire la ritmica tessuta da uno slide, in perfetto contrasto col pattern di batteria compassato che regge la ritmica. A chiudere questo secondo volume ci pensano i toni strumentali ed i colori meridiani di “All’alba”, con i suoi raffinati ricami acustici, annacquati dallo slide e contrappuntati da una elegante linea di basso. In conclusione, ci troviamo all’ascolto di due prove discografiche ben costruite, con strutture dinamiche che, seppur simili tra loro, non stancano affatto l’ascoltatore. Due ep che, soprattutto, sono valida cartina tornasole della rabbia popolare che incendia il blues, con i colori acustici che arginano a stento la furia elettrica che scorre, sottopelle ma palpabile, fra le vene dei nostri. 


Giuseppe Provenzano

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