Nico Staiti, Ascoltate miei cari signori. Le musiche di tradizione orale in Italia con in appendice L’Italia di Roberto Leydi. Antologia documentaria e critica, Nota 2021, pp. 332, euro 30,00 libro con 3 Cd

Una nuova panoramica sulla musica di tradizione orale in Italia 

Nico Staiti, etnomusicologo dell’Università di Bologna, ci consegna in “Ascoltate miei cari signori. Le musiche di tradizione orale in Italia", edito da Nota, un lavoro approfondito e complesso, a cominciare dalla generosa scelta editoriale di giustapporre in un’unica veste l’ampio saggio introduttivo dell’autore – che traccia una preziosa e aggiornata mappa delle musiche di tradizione orale in Italia, oltre a restituire esiti delle proprie ricerche sul campo – e la riedizione integrale dei testi a corredo dei leggendari 33 giri curati da Roberto Leydi, Italia vol. 1, 2 e 3 della collana discografica “Documenti originali del folklore musicale europeo”, pubblicati nel 1970 e riproposti ora nei tre cd allegati. L’approfondita ricostruzione di Staiti mette bene in evidenza la varietà di espressioni che caratterizza il nostro Paese, per effetto della sua lunga e travagliata storia. Le tradizioni musicali si caratterizzano di conseguenza per una estrema eterogeneità, in un rapporto dialettico fra “sedimentazioni che provengono da un passato più o meno remoto e innovazioni recenti”, non soltanto sul piano dei repertori, ma anche e soprattutto “su quello del temperamento, dei modi di esecuzione, delle tecniche di apprendimento, dei modi di trasmissione, dei contesti e delle funzioni d’uso”. In anni più recenti, inoltre, le dinamiche trasformative diventano sempre più radicali, si pensi soltanto alla divulgazione online, e forse omologanti, rispetto alla “tassonomia fluida degli oggetti” che l’autore restituisce tracciando, a partire dagli anni cinquanta, la storia della ricerca, che “tiene conto dei processi di relazione tra forme, modelli, generi, aree di diffusione, vicende storiche”, mostrando “le aree di intersezione, i confini tenui, le concordanze e le differenze tra luoghi geograficamente, linguisticamente, socialmente diversi ma contigui”. Si partecipa a un viaggio, cadenzato da molti esempi scaricabili con QR code, che prende le mosse dalla musica vocale, che comprende canti monodici e polivocali (anche se a volte gli stessi repertori possono essere eseguiti in entrambe le modalità). Ai primi appartiene il canto narrativo, le cui forme si articolano a loro volta nella ballata, diffusa prevalentemente a settentrione e collegata ad analoghe forme nord-europee, e nella storia, eseguita tipicamente da “cantastorie specializzati”. Diversamente il canto lirico si presenta assai articolato in generi, modalità di esecuzione e repertori, accompagnati o meno da strumenti diversi, e comprende ninne-nanne, lamenti funebri, canti delle mondine e di filanda, repertori da osteria, canti di miniera, di pesca, di mietitura (e più in generale eseguiti durante il lavoro) e anche canti religiosi. Riguardo alle esecuzioni a più voci, queste ricorrono in tutte le regioni italiane, cadenzando il tempo del lavoro – quando squadre a volte molto numerose cantavano insieme – quello domestico o dello svago (ad esempio i canti di osteria) e in alcuni repertori religiosi (come quelli della Settimana Santa, ancora molto vivi in vari contesti e in occasioni rituali paraliturgiche). Come per la vocalità, anche sull’aspetto strumentale, la complicata storia patria regala grande ricchezza e difformità spaziale, rispetto a reti di diffusione mediterranea o continentale (e a volte entrambe): le diverse fatture di zampogne compongono un vero e proprio tesoro nazionale, ciaramelle, pifferi, le antichissime launeddas sarde, flauti, armoniche a bocca, organetti e fisarmoniche, tamburi cilindrici e quelli “a cornice” che accompagnano danze sfrenate – oggi come già in epoca precristiana, come testimoniano le tante immagini tratte dalla pittura vascolare magnogreca. E poi campanacci, campanelle, castagnette, scacciapensieri, tamburi a frizione, cetre, violini, liuti, mandolini, mandole e mandoloncelli, chitarre battenti e francesi, arpe, lire, e l’elenco potrebbe continuare a lungo. Un ulteriore approfondimento è dedicato dall’autore alle musiche strumentali per danza, ancora oggi diffuse, soprattutto in occasioni festive. A chiudere il quadro Staiti, oltre a proporre una ricca bibliografia, ricostruisce in sintesi il percorso degli studi italiani sui repertori musicali di tradizione orale, dai pionieri ottocenteschi, particolarmente interessati alla “poesia popolare” (e quindi soprattutto ai testi dei canti), ai demologi (in particolare siciliani), che cominciano a interessarsi maggiormente ai modi del canto e al contesto sociale – con le prime registrazioni sonore – fino alla svolta rappresentata dalla nascita nel 1948 del Centro Nazionale di Studi sulla Musica popolare presso l’Accademia di Santa Cecilia (in collaborazione con la Rai) che, con la direzione di Giorgio Nataletti e Diego Carpitella, e con la collaborazione di nomi illustri, fra cui Ernesto de Martino e Alan Lomax, ha permesso la creazione di un archivio vasto e rappresentativo delle varietà nazionali. E successivamente l’istituzione, negli anni settanta, delle cattedre di etnomusicologia presso le università di Roma (affidata a Diego Carpitella) e a Bologna (Roberto Leydi), che promossero ricerche sul campo e formarono la maggior parte degli studiosi attivi sul territorio nazionale. Si configura l’affermazione di vero e proprio “movimento” legato ai temi della raccolta, della salvaguardia e della valorizzazione delle culture di tradizione orale – che in Italia stringe legami anche col fenomeno del folk revival – e che promuove le prime pubblicazioni di “materiali musicali originali”. In questa direzione, una delle prime e più significative operazioni editoriali è stata proprio la stampa dei tre vinili Italia, della fondamentale collana – diretta dallo stesso Leydi – “Documenti originali del folklore musicale europeo” dell’etichetta Albatros, che di fatto rappresenta la prima raccolta nazionale di documenti musicali disponibile in un’opera di larga diffusione. Si tratta di registrazioni raccolte da Leydi e altri ricercatori a partire dal 1955: riascoltate oggi, suscitano una profonda emozione, anche perché in diversi casi si tratta di espressioni culturali documentate appena prima della definitiva uscita dall’uso. “Ascoltate miei cari signori” si presenta dunque come un’opera multimediale di grande pregio, che permette di continuare a godere di un’espressione culturale – quella delle musiche di tradizione orale italiane – estremamente ricca e variegata, ma anche di conoscere una gloriosa tradizione di studi, che nel nostro Paese ha avuto caratteristiche decisamente peculiari. 

Vincenzo Santoro

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