Cisco – Canzoni dalla soffita + Live dalla soffitta (CiscoVox/C e P Cisco Produzioni/Edizioni Impronta, 2021)

A distanza di due anni da “Indiani e cowboy”, Stefano “Cisco” Bellotti torna a far sentire la sua voce mai doma con “Canzoni dalla soffitta”, doppio album che giunge a coronamento di quindici anni di carriera solista e documenta gli ultimi due anni di attività artistica, segnati dalla pandemia da COVID-19. In questo periodo, infatti, non ha smesso di scrivere canzoni nuove, così come non ha interrotto il suo forte rapporto con il pubblico con i “Live dalla soffitta”, appuntamento costante dei periodi di lockdown, durante i quali, in diretta dalla sua soffitta-museo, Cisco apriva, di volta in volta, il baule dei ricordi, trasportandoci nel suo mondo, fatto di canzoni, chitarre, e storie di vita vissuta. Ad accoglierci in questo nuovo album è “Baci e abbracci” (“Mio padre raccontava che alla fine della guerra/Arrivarono i soldati americani/Da sopra i carri armati lanciavan sigarette/ Cioccolata noccioline a piene mani/ Era stato tutto quanto orrendo e sanguinoso/ Ma il finale almeno era stato lieto”), cantata, in un incastro vocale molto gradevole, insieme a Simone Cristicchi, e scandita da una ritmica in levare in perfetto stile Cisco, con una chitarra acustica a ricamare fraseggi sul tappeto di un organo in odor di blues. “Andrà tutto bene” ricalca perfettamente lo zeitgeist sociale di cui sopra, ed è sostenuta, anche in questo caso, da una chitarra acustica, su cui volteggiano i fraseggi della sezione fiati, una coloratissima linea di basso e, soprattutto, le svisature della chitarra di Phil Manzanera, in un pezzo che è un vero tripudio di collaborazioni. Oltre a Manzanera, che ne ha anche curato la produzione, spiccano anche i contributi del musicista sudafricano (già sodale di Cisco nel “The liberation project”) Dan Chiorboli e la cantante chewa Tamani Mbeya. In “Dalla mia finestra” ritorna il forsennato levare della chitarra ritmica, coadiuvato da una vorticosa linea di basso e squarciato dai fraseggi indiavolati e klezmereggianti di un violino. A seguire troviamo “Vox Dei” (“E allora presero un po’ di coraggio di ammettere quanto fosse stato poco saggio/ Di aver scordato il Dio dell'amore di ogni anima segreto motore/ Così Eros prese la corona e mise al centro la persona”), con il suo struggente arpeggio di chitarra, aperto dagli ingressi di un’armonica e di una fisarmonica, chiamati a regalare un tocco d’Irlanda a questa ballata in bilico fra sacro e profano. “Leonard Nimoy” (“Imparerai che è meglio vivere a colori e accenti/ Danno forma alle parole e forza ai verbi/ Non siam tatuaggi fatti tutti con lo stesso stencil/ Ma poesie uniche con rime e frasi in versi”) è la canzone che da Cisco non ti aspetti: un beat elettronico e dritto a cavalcare gli arpeggi della chitarra acustica, con i ricami del violino a disegnare contrappunti. Commovente l’omaggio al genio di Sepulveda in “Lucho” (“Continua Lucho, continua a raccontare/ Che il mondo è dei potenti e a noi tocca lottare/ Cammina Lucho sotto il cielo australe/ Continua a camminare che c’è tanta strada da fare”), la cui architettura ritmica è sempre affidata allo strumming della chitarra acustica, sui cui giocano i passaggi solisti di fiati mariachi, pianoforti sghembi, libere fisarmoniche ed altissimi violini. Altro brano intriso di nostalgia- non a caso omonimo del primo album dei Modena City Ramblers- è “Riportando tutto a casa” (“Avevo un trono di legno dentro notti illuminate/ L’ho buttato per tornare sulla strada/ Ho gli occhi rossi bagnati dal vento caldo dell’estate/ Ho visto il mondo e riportato tutto a casa”), dinamizzato dallo scatenato pattern della batteria e dai voli, che sembrano scalare il Connemara, del flauto di Franco D’Aniello. Molto meno vorticosi e più malinconici sono i toni di “Il mio posto” (“Il mio paese offre un banchetto ai suoi pazzi/ Perché i ribelli cercan sempre di scappare/ E noi che abbiamo sogni grandi e occhi bassi/ Ci diranno che la lotta è da evitare”), i cui arpeggi di chitarra acustica sono ravvivati da una chitarra slide e, soprattutto, dalla commovente cornamusa di Massimo Giuntini, che si abbandona ad una struggente coda strumentale. “Cosa lasciamo” (“Mia nonna mi ha lasciato in un baule/ Il testo dell’Internazionale/ Da mio nonno ho ricevuto un orologio d’argento/ Che ancora continua a funzionare”) è costruita attorno ad un brioso arpeggio acustico, squarciato dai fraseggi della chitarra slide ed allargato dalle aperture di un’armonica. Su “Per sempre giovani”, Cisco riesce per l’ennesima volta a farsi memoria storica del nostro paese, raccontando del disastro aereo dell’Istituto Salvemini, in cui morirono dodici ragazzi, ed un tredicesimo si suicidò non molto tempo dopo. Qui la storia è scandita da un commovente intreccio fra chitarre acustiche, fra arpeggi e fraseggi, strumming appena accennati e dolci contrappunti. A chiudere questo primo disco ci pensano due traduzioni: la prima, firmata da Luca Taddia, è quella di “The ghost of Tom Joad”, dal repertorio springsteeniano, che diventa, ovviamente, “Il fantasma di Tom Joad” (“Dove una divisa picchia un giovane. Dove un bimbo riesce solo a piangere/ Dove c’è battaglia e sangue per le vie. Stringi quelle mani e troverai le mie/Dove un uomo lotta per la libertà. Dove tutto quel che resta è solo povertà/ Dove la paura è tutto ciò che hai. Cercami tra loro e lì mi troverai”). Ne viene fuori una versione scura e scheletrica, impolverata dallo slide e dal sabbioso pattern di batteria, con un’armonica ventosa a squarciare tutto. L’altra riproposizione è un omaggio agli Stones: “Dead flowers” diventa “Fiori morti”, e si snoda lungo le trame più classiche del country americano, con una chitarra acustica a reggere lo strumming e le incursioni della chitarra elettrica e della chitarra slide a regalare colore. Il “Live dalla soffitta” ripropone, invece, vecchi pezzi del repertorio solista di Cisco, oltre che, ovviamente, la riproposizione di brani dei Modena City Ramblers ed uno splendido quartetto di cover. Lo strumming tuonante della chitarra accompagna “La grande famiglia”, su cui sono notevoli i contrappunti di un’armonica elastica. Altro pezzo di storia (anche, purtroppo, italiana) è “La legge giusta”, riproposta a vent’anni dai fatti di Genova, in una malinconica versione chitarra e voce. “Bianca”, pezzo in dialetto, direttamente da “Indiani e cowboy”, è ripreso in una intensa versione arpeggiata, mentre “By this river”, capolavoro a firma Brian Eno, ha nel palm- muting della chitarra la sua nota di pathos. Dal suo canzoniere, Cisco tira fuori anche “Diamanti e carboni”, su cui spicca la parte di chitarra solista, che, fra armonici e fraseggi, sottolinea splendidamente lo sfolgorante strumming che l’accompagna. Altro splendido omaggio, questa volta alla storia del combat folk, è “La pianura dei sette fratelli”, dal canzoniere resistente dei Gang, qui accompagnata dalla chitarra acustica ed allargata dall’armonica. E dalle pieghe della Resistenza esce anche “L’unica superstite”, storia di una strage nazifascista sulle montagne reggiane, qui raccontata- con enorme pathos teatrale- solamente con voce e bodhràn. Dal già citato “Indiani e cowboy” arrivano anche i dolci arpeggi di “Aquile randagie”, mentre “Pioggia nera”- omaggio a quel capolavoro che è “Novecento”, album scritto vent’anni fa insieme alla Casa del Vento - si dipana fra le trame della chitarra acustica ed i ricami dell’armonica. Immancabile, poi, l’omaggio ad Erriquez, salutato (rigorosamente a pugno chiuso) con una energica e sentita versione di “Manifesto”. La chiusura del disco, affidata a “La Strada” prima e ad “Ovunque proteggi” (ovviamente, dal repertorio di Capossela) poi, equivale a giocare a birilli con le emozioni dell’ascoltatore, prenderle a cannonate e ridurle in coriandoli: due versioni splendide, intense e commoventi, come solo canzoni del genere sanno essere. In conclusione, questo qui è un vero saggio di tutto il repertorio bellottiano, equamente distribuito fra la sua abilità letteraria e la sua enorme carica interpretativa. Un piccolo e resistente carteggio della poetica di una colonna del nostro combat folk. 


Giuseppe Provenzano

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