Juçara Marçal – Delta Estácio Blues (Mais Um Discos, 2021)

I quattro anni di lavoro che hanno portato al nuovo album hanno anche sovvertito il modo di lavorare di Juçara Marçal e hanno dato vita ad un compatto e inventivo quartetto che funziona a meraviglia anche dal vivo con Kiko Dinucci ai sampler, synth e chitarra, Marcelo Cabral al basso e Alana Ananias alla batteria. “Quando penso al samba di ‘Estácio’ e al blues, penso a due grandi fiumi che hanno generato molte cose. Rimangono fonti a cui continuiamo ad attingere oggi — rivisitandole, mescolando, cancellando, trovando nuove possibilità”. Così Juçara Marçal riassumeva qualche tempo fa per Monkeybuzz lo spirito con cui ha concepito il suo secondo album e, in particolare, il brano che dà il titolo al lavoro, scritto da Rodrigo Campos, dedicato a due “affluenti afrodiasporici”, sulle tracce di un contatto attraverso la geografia e la storia che vede l’incontro fra Robert Johnson e i carioca Bide, Baiaco e Ismael Silva, musicisti afrodiscendenti che hanno rinnovato il samba di Rio con un inedito sguardo al futuro, trasformando l’ecologia acustica urbana degli anni Trenta. “Loro stavano sempre inventando. E questo per me è molto importante. Quella musica, al contrario di quello che pensano in molti, non è stata mai ferma. Stavano inventando nuovi modi di suonare il samba, di far musica per strada, di registrare e fare in modo che il samba venisse trasmesso dalla radio”. Niente di più naturale, quindi, che inserire la cuíca di Paulinho Bicolor che gioca attraverso le pulsazioni del brano e le amplificazioni filtrate da riverberi ed eco. La produzione dell'album è iniziata nell'agosto 2017, ispirata da Atrocity Exhibition, album del rapper Danny Brown. “Io e Kiko (Dinucci, ndr) eravamo davvero appassionati di quell’album”, ricorda Juçara Marçal: divenne il loro punto di partenza per provare a sperimentare qualcosa di diverso. "Ci era venuta l'idea di esplorare il percorso di Danny Brown nella costruzione dei beat, ma non per cantarci sopra un rap. La nostra idea era di guardare ad altri strumenti”. Se il precedente album “Anganga” (2015) – che rileggeva i canti di lavoro degli schiavi – aveva visto Juçara Marçal cantare a cappella e, in un secondo momento, il produttore Cadu Tenório disegnare arrangiamenti musicali intorno alla voce già registrata. Il nuovo lavoro rinnova il sodalizio con il compagno Kiko Dinucci (dal 2008 sono insieme nel gruppo Metá Metá), che è anche suo vicino di casa a San Paolo e, oltre che chitarrista, curioso sperimentatore con Ableton Live e il sampler SP 404 della Roland. Poi sono venute le collaborazioni con gli autori e compositori Tulipa, Maria Beraldo, Negro Leo, Rodrigo Ogi e Siba. Quest’ultimo è l’autore di “Vi de Relance a Coroa”, arrangiata da Cadu Tenório, che apre l’album: un ritmo maracatu, scandito solo da percussioni e voce in apertura di brano, che rimanda al rapporto col potere e al Reis Malunguinho, divinità legata alla “jurema sagrada”, che nel Nordest brasiliano sincretizza la spiritualità afroindigena. Ed è subito la volta di “Sem Cais”, scritta da Negro Leo, il lato oscuro, la terra che sanguina, “l’intolleranza e la follia di noi tutti”, qualcosa che gli “emojis non possono descrivere”. E con “Iyalode Mbé Mbé” c’è spazio anche per ascoltare i Metá Metá, con il possente e divergente sax di Thiago França, nel brano di ispirazione yoruba composto e suonato da Kiko Dinucci e Juçara Marçal. 


Alessio Surian

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