Ensamble de rabeles – Rabeldes (FONDART, 2021)

Derivato dal rebab, antenato della famiglia degli archi che gli arabi introdussero nella penisola iberica, il rabel, strumento dalla sagoma piriforme, dotato di un numero di corde variabili, suonato in verticale (appoggiato sulle ginocchia) o in orizzontale (appoggiato al petto o alla spalla), ha attraversato l’oceano sulle onde della colonizzazione delle Americhe. In Cile, il rabel si diffuse, soprattutto, nelle campagne centrali del Paese, nella varietà a tre corde, suonato verticalmente con un archetto di crine di cavallo o di mulo. Diverse varietà di legno erano utilizzate nella costruzione dello strumento che con il passare del tempo diventa deaueto rispetto ad altri strumenti a corda popolari. Il trio Ensamble de rabeles, costituito dalla ricercatrice Magdalena Espinoza, già componente del quartetto femminile Las Mononas, dalla violinista Danka Villanueva, la quale proviene invece da esperienze in gruppi klezmer e swing latino come La mano ajena e Golosa la orquesta, e dal musicista e ricercatore Ignacio Reyes, si prefiggono di recuperare lo strumento alla prassi musicale, a partire da documenti che raccontano dell’esistenza di orchestre di rabeles.  Parte di quest’opera di rivitalizzazione creativa (non esiste documentazione sonora di quelle orchestre) è l’album “Rabeldes”, prodotto da Valentina Reyes e realizzato con il contributo pubblico del “Fondo Nacional para el Desarrollo Cultural y las Artes”. Con in copertina un dipinto di Pedro Chacón, nel titolo si rivela il gioco di parole tra “rabel” e “ribelli”, con rifermento alla libertà e anarchia, descritta dal suonatore di rabel di Linares Jaime Flores,  a mettere, quindi, l’accento su un’idea di musica popolare che sia espressione culturale “dal basso”. 
Con Stefano Gavagnin*, proponiamo un focus sul progetto dell’Ensamble de rabeles dando la parola, anzitutto, a Ignazio Reyes, polistrumentista, studioso, payador e poeta popolare, formatosi alla scuola di Francisco ‘Pancho’ Astorga per poi guidarvi all’ascolto di “Rabeldes”.

Come è arrivato il rabel in Cile?
Il rabel è arrivato all'inizio della conquista europea in America. Era probabilmente uno strumento legato alla musica religiosa e fu diffuso dai sacerdoti nella loro ansia di evangelizzare la popolazione nativa. La prima documentazione della presenza del rabel in Cile risale al 1665, anno in cui si narra la presenza di tre suonatori di rabel al funerale di Catalina de Los Ríos y Lisperguer, importante proprietario terriero dell’epoca, poco più di 100 anni dopo la fondazione spagnola di Santiago del Cile.

Poi diventa uno strumento popolare, il cosiddetto “violino campesino”?
Il processo di popolarizzazione del rabel e la sua permanenza nella musica contadina non è sufficientemente documentato, e ci sono solo poche cronache che presentano il rabel come uno strumento legato alle feste popolari nei secoli XIX e XX. Sicuramente durante il processo coloniale il rabel, come la vihuela e altri strumenti spagnoli, si affermò tra la popolazione creola della parte centrale del Paese, dove si stabilirono i principali insediamenti spagnoli.

Si è diffuso in tutte le regioni del Cile?
I documenti storici che menzionano il rabel lo collocano solo nella regione di Maule e Santiago. La tradizione orale ci dice che gli antichi cantori del divino a Colchagua e in altre aree della zona centrale erano accompagnati da rabel. Quello che è certo è che la sua estensione è limitata a quello che era il vecchio territorio del Cile, tra Copiapó e Concepción, cioè la zona centrale. 
L'estremo nord apparteneva allora al Perù e la zona meridionale era la wallmapu, una terra indipendente sotto il dominio mapuche.
 
Quando è scomparso dall'uso ordinario?
L’uso naturale del rabel si è perso a metà del XX secolo, ma le ultime culture naturali sono state in grado di documentarlo sonicamente e hanno immediatamente iniziato a lavorare per rivitalizzare e sviluppare lo strumento sulla base delle registrazioni prese dai suoi usi tradizionali.

Che tipo di musica veniva suonata con rabel?
L’unica registrazione sonora che esiste dell'uso naturale del rabel è nell'esecuzione delle "tonadas maulinas". La tradizione orale racconta anche del suo uso nell’esecuzione di cuecas, canzoni di poeti e l’accompagnamento di romance. 

Vuoi presentarci l’Ensamble de Rabeles?
Il trio Ensamble de Rabeles si basa su alcuni documenti scritti che raccontano dell’esistenza di orchestre rabeles. La documentazione sonora di quelle orchestre non esiste, quindi ci dedichiamo a proporre diversi modi in cui questo strumento può essere sviluppato collettivamente, utilizzando sia le tecniche più tradizionali (la doppia corda e la funzionalità armonica dello strumento) sia tecniche di altri tipi di orchestrazione e strumenti. (pizzicato, corda singola, vibrato).
 
Quale repertorio proponete?
Il repertorio scelto continua ad essere quello che abbiamo l'idea che sia stato suonato con rabel in qualche momento, tonada, cueca, valzer, romance, canto a lo humano. Insomma, una compilation di musica tradizionale cilena. 

Gli strumento sono costruiti in Cile? Ci sono molti liutai?
Il rabel cileno è costruito in Cile. Ci sono rapporti di rabel in altre parti dell'America Latina, ma con caratteristiche diverse dalle nostre. Questo rabel è unico ed è fatto in Cile. Con il passare del tempo ci sono stati sempre più liutai interessati a realizzare questo strumento e, allo stesso tempo, a perfezionare il suo suono, il che sta dando un nuovo impulso a questo cordofono. Attualmente, non ci sono più di 15 liutai che producono rabeles.

Oltre a voi tre, chi sono gli altri musicisti che contribuiscono all’album?
L’album vede la partecipazione di cantanti con esperienza nei diversi generi registrati. Nelle tonadas ci sono Isabel Fuentes, Mauricio Vega, Morelia Rodriguez e Carla Catalán. Nelle cuecas, Dangelo Guerra. Nel canto a lo poeta Manuel Sánchez, Cecilia Astorga e Guillermo Villalobos e nei romance c’è Jorge Yañez, 

Cosa significa suonare il rabal oggi? 
Dopo la sua scomparsa dall’ambiente naturale, il rabel è stato sempre suonato da musicisti legati alla musica tradizionale. Arturo Urbina, Francisco Astorga, José Cabello e Pedro Yáñez sono alcuni di coloro che hanno sviluppato il repertorio rabel durante il secolo scorso. Il trio de rabeles è una nuova generazione che intende seguire le orme del canto tradizionale. Imparare e ricercare ma anche proporre, perché sappiamo che quando una tradizione smette di muoversi è perché è morta. Il nostro compito è quello di dare vita al rabel e di essere la continuità di una bella espressione centenaria che rischia sempre di scomparire.



Ciro De Rosa

Ensamble de rabeles – Rabeldes (FONDART, 2021)
Il rabel (rebeb, rebeca, rababa…) può essere descritto sommariamente come un cordofono medievale ad arco, predecessore del violino, di foggia variabile, come anche nel numero delle corde (il rabel cileno, che ascoltiamo in questo disco, ne conta tre). Portato in Spagna dagli arabi prima del X secolo, vi trovò ampia diffusione per tutto il Medioevo e il Rinascimento, fino a quando non fu soppiantato dal più moderno e agile violino. È sopravvissuto nell’uso popolare in una ridotta area che coincide con i percorsi della transumanza dei pastori, sulle sierras del centro e del nord della Spagna. Oppure nelle Americhe, dove lo incontriamo oggi in luoghi così lontani e diversi come Panama e il Cile, vestigio di una diffusione transatlantica di pratiche culturali, stili e strumenti, che nel presente ritroviamo in località tra loro remote. “El rabel para ser fino / ha de ser de verde pino” (“il rabel, per essere di buona qualità, deve essere fatto di pino verde”) si cantava in Spagna e si canta nell’isola di Chiloé, nel sud del Cile, a 11000 chilometri di distanza. In Cile, estrema provincia meridionale dell’impero spagnolo, sono stati probabilmente i Gesuiti e gli altri ordini evangelizzatori a diffonderne l’uso dal XVI secolo in poi, tanto che durante l’epoca coloniale si formò un’importante scuola di rabelistas nelle regioni centrali di questo paese. Il rabel cileno, però, a un certo punto cedette davanti alla modernità. Confinato nel ‘folclore’ e sopravvissuto a stento in circoscritte aree rurali della zona centrale e nella più meridionale isola di Chiloé, si è salvato da un’estinzione che già a metà del ‘900 appariva inevitabile, grazie ad una “etnomusicologia d’urgenza” ad opera di ricercatori e di cultori locali.  Una storia parallela a quella del canto a lo poeta, la grande tradizione di poesia popolare orale e cantata nella stessa regione del Cile centrale. Ma se il canto a lo poeta non è diventato un pezzo da museo ed è oggi una pratica produttiva e vitale, capace di contaminarsi con altri generi senza perdere l’anima, il rabel è invece ancora un oggetto scarsamente documentato e poco noto nello stesso Cile, sebbene abbia trovato un suo spazio di riproposta all’interno del più grande revival del canto a lo poeta e della paya.
Dell’uso ‘naturale’ (cioè pre-revival) del rabel esistono poche testimonianze, legate a una sola forma, la tonada, ed un solo documento sonoro dei primi anni Sessanta del secolo scorso, raccolto dall'Istituto di Ricerca Musicale dell'Università del Cile che registra la rabelista Emelina Crespo, di Cueva de León, nella regione del Maule. Le cronache e la memoria orale parlano invece di un repertorio che toccava un po’ tutti gli stili della musica popolare di quelle regioni (dalla tonada alla cueca, dal corrido al canto a lo poeta) e anche dell’esistenza di piccoli consort di rabeles. Partendo da quelle scarne testimonianze, tre musicisti cileni si sono riproposti di riscattare dall’oblio quelle “orchestre di rabeles”, immaginando un repertorio e una performance attuali, ma idealmente compatibili con la pratica ormai scomparsa dall’uso. I tre componenti dell’Ensamble de rabeles sono Ignacio Reyes, ricercatore, payador, poeta popolare e polistrumentista, formatosi alla scuola di Francisco “Pancho” Astorga; Magdalena Espinoza, già componente del quartetto femminile Las Mononas, specializzato nella cueca urbana; Danka Villanueva, violinista di formazione, che proviene invece da esperienze in gruppi di musica ballabile, dal klezmer al swing latino, come La mano ajena e Golosa la orquesta. Per dare corpo al loro progetto e fissarlo in un disco (prodotto da Valentina Reyes e realizzato con il contributo pubblico del “Fondo Nacional para el Desarrollo Cultural y las Artes”), l’Ensamble ha convocato al suo fianco un nutrito campionario di esponenti del canto cileno ‘di radice folclorica’. L’aver riunito questo parterre di voci, che attraversano non solo più stili, ma anche almeno tre diverse generazioni, è certamente uno dei grandi pregi di questo disco. Un altro pregio risiede nel repertorio: a primo acchito forse poco appariscente, ma che ad un ascolto attento rivela diversi piccoli ma preziosi gioielli.
Il merito più evidente, quello di dar corpo ad un sound inedito e di creare uno spazio comodo per uno strumento altrimenti piuttosto marginale, costituisce allo stesso tempo anche un possibile limite del progetto. Mi riferisco alla natura “immaginata” dell’operazione, che pretende di far rivivere un oggetto sonoro sulla base di congetture e ipotesi non documentabili. Ma è veramente un limite? In fondo, la clonazione di interi generi e mondi musicali a partire dal DNA contenuto nella goccia d’ambra di qualche frammento di memoria superstite, ha più volte dato vita a universi sonori meravigliosi e del tutto reali, anche se non sempre filologicamente attendibili. Rimanendo sul versante pacifico dell’America meridionale, si pensi per esempio alla musica afro peruviana, che tanta attenzione ha riscosso internazionalmente negli ultimi anni.
Infine, il titolo di questo disco: Rabeldes, ossia un gioco di parole che fonde ‘rabeles’ con ‘rebeldes’ (ribelli), a suggerire il concetto che la musica popolare, in queste latitudini, sia espressione di cultura “dal basso”, e indissociabile dallo spirito libertario dei suoi cultori più genuini.
Veniamo ora al contenuto musicale del progetto. Al trio di rabeles è affidato per intero l’accompagnamento del canto, salvo il cameo di poche battute della chitarra della popolare cantora Morelia Rodríguez (“La Morita”, nipote di Emelina Crespo), nell’apertura della prima traccia, la tonada Si vis conversar a sola. Con l’eccezione, inoltre, della presenza discreta di alcune percussioni (pandereta e tormento), laddove richiesto dallo stile del brano, specialmente nella cueca, danza vivace di ritmo ternario. Lungo tutto il disco, il trio fornisce con gli archi una costante base armonica alle voci, ma esplora anche altre tecniche, con momenti di pizzicato e fraseggi melodici solisti, combinate tra loro.
Una seconda tonada (La distinguida compaña) è cantata da Mauricio Vega, anch’egli del Maule, come La Morita; “El que tenga paire y maire” – ancora una tonada – appartiene invece al repertorio di Chabelita Fuentes, un monumento vivente del canto popolare cileno, la cui vocalità in questa interpretazione non lascia certo intuire i suoi novant’anni già compiuti. Un altro veterano, Jorge Yañez, interpreta il romance di “Blanca flor y Filomena”, canto narrativo di origine medievale, diffuso in molteplici varianti in tutto il mondo ispanico, e che affonda le radici nel mito greco di Procne e Filomena. 
Al centro della storia, lo stupro della bella Filomena da parte del villano di turno – che nella versione cilena, incisa anche da Violeta Parra, assume l’identità del duca Don Bernardino (altre volte è un nobile sivigliano, un signorotto turco, o un pastore) – che le taglia la lingua, perché non possa rivelare il crimine consumato. 
Ad una generazione intermedia appartengono i due payadores Cecilia Astorga e Manuel Sánchez. La prima regala un momento di incanto con “Los cinco sentidos”, un suo testo in décimas espinelas (la forma metrica più usata nel canto a lo poeta) intonato su una melodia di origine anonima estremamente suggestiva, sia per le atmosfere “antiche” (modali e salmodiche) sia per la qualità vocale dell’interprete. Cecilia Astorga è un nome di riferimento nell’ambito del canto a lo poeta contemporaneo, come anche Manuel Sánchez (di cui abbiamo già scritto su “Blogfoolk” in una precedente occasione). Anche il tema di Sánchez, “Alúmbrame luna llena”, intona décimas dell’autore su una suggestiva e affascinante melodia tradizionale, mentre il trio di rabeles riproduce l’andamento dell’originario accompagnamento del guitarrón. Al canto a lo poeta rimanda anche il canto in décimas de pie forzado (tutte le strofe si concludono con lo stesso verso) “Cuando en polvo me convierta”, interpretato da un altro cantore di lunga traiettoria, Guillermo ‘Bigote’ Villalobos. Il disco propone poi tre cuecas, tre versioni della danza nazionale cilena, di carattere molto diverso tra loro, anche se l’arrangiamento per il consort di rabeles le rende in qualche modo omogenee. Confrontando “A la mar fui por naranjas” con la popolarissima “Del capullo de una rosa”, è possibile apprezzare in quest’ultima il
carattere estroverso e volitivo della cueca chilenera, vale a dire la versione urbana di questa danza, che verrebbe a stare a Santiago e Valparaíso, come il tango sta a Buenos Aires. La voce è quella di Dángelo Guerra, versatile musicista, payador e cuequero. La terza cueca, “Tierra adentro”, è invece un tema strumentale di autore contemporaneo, Jaime Barría, di taglio meno tradizionale. Completano il programma del disco un vals (“La Noche Bella”), cantato a duo da Carla Catalán e Huaso Castillo, e un secondo vals (“Vals por el aire”), questa volta strumentale, arrangiamento per il trio di un originale tema per chitarra, raccolto nel sud del paese. A sorpresa, il disco contiene anche una tredicesima traccia ghost, una décima di commiato, intonata sulla tradizionale melodia “La rosa y el romero”, nella quale l’ensemble ribadisce la sua missione nei confronti del rabel e il senso di tutto il progetto discografico: raccontare “una storia alquanto dispersa./ Cinquecento anni di vita/ può avere il suo canto/ e anche se riporta voci di ieri / viene da un tempo lontano./ Se lo suonano le nostre mani / non scomparirà”.


Stefano Gavagnin 
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*Stefano Gavagnin è dottore di ricerca in Storia della Musica. Da ricercatore indipendente si occupa prevalentemente della circolazione transnazionale di musiche popolari latinoamericane. Collabora con l’Istituto Interculturale di Studi Musicali Comparati della Fondazione Cini di Venezia ed è attualmente vicepresidente dell’IMLA (Istituto per lo studio della Musica Latinoamericana). Come musicista, ha fatto parte di diversi ensemble italiani specializzati nell’interpretazione di musiche popolari e folcloriche dell’area ispanoamericana. 




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