Manuel Sánchez – Guitarrón a lo Poeta Volumen II, Dj de la palabra (Autoprodotto, 2020)

Nel panorama delle musiche ispanoamericane popolari e di tradizione merita una particolare attenzione la grande fioritura continentale (un revival che è anche pratica vigente) del repentismo, vale a dire la poesia orale estemporanea, generalmente associata a stili tradizionali di canto. L’uso in comune di una lingua e di una metrica ereditata dalla poesia del “Siglo de Oro” spagnolo, come le décimas di versi ottosillabi, parla di un’eredità coloniale condivisa nella vasta geografia compresa tra il Messico e la Terra del Fuoco. Le forme musicali e la performance variano invece da luogo a luogo, imprimendo un sigillo locale a ciascuna espressione, dal punto cubano alla paya cilena: un’affascinante compresenza di parentele e diversità culturali, che gli incontri internazionali dei poeti improvvisatori di lingua spagnola delle due sponde dell’Atlantico fanno ben risaltare. In Cile la poesia popolare improvvisata è chiamata paya, e payador chi la coltiva. La paya cilena si inscrive nella più ampia tradizione del canto a lo poeta (“al modo del poeta”), radicata nelle campagne delle regioni centrali del paese andino: uno straordinario patrimonio secolare di letteratura orale cantata, con radici nell’epoca della prima colonizzazione spagnola; radici che si manifestano, oltre che nella versificazione in metri classici quali la cuarteta e la décima espinela, nel carattere modale (europeo antico) delle melodie. 
Di sapore arcaico sono anche gli strumenti che accompagnano il canto solista dei poeti: il rabel – erede della ribeca medievale – o la guitarra traspuesta contadina, con la sua grande varietà di accordature. Lo strumento emblematico è però il guitarrón cileno, elaborazione locale della vihuela o della chitarra barocca a cinque ordini; le sue ben venticinque corde producono una singolare densità timbrica, che per alcuni studiosi sarebbe il segno del sincretismo col gusto musicale amerindio, mentre altri vi ravvisano piuttosto un’imitazione delle sonorità del cembalo e dell’organo, presenti nella pratica ecclesiastica dell’epoca coloniale. In base agli argomenti trattati, il canto a lo poeta si suddivide nei due versanti “a lo divino” e “a lo humano”. Il primo verte su argomenti di carattere biblico e paraliturgico, mentre nel secondo il cantore disserta su argomenti profani, saggezza popolare, storia e cronaca quotidiana, come una memoria vivente della sua comunità. All’interno di questo secondo versante incontriamo l’arte della paya, cioè la tenzone tra cantori che si sfidano nell’improvvisazione poetica, secondo una varietà di schemi ben codificati. Grazie alla sua spettacolarità, la paya ha trasceso i ristretti confini del mondo contadino del Cile centrale per guadagnare il favore del pubblico urbano, ed è ormai entrata nel circuito del repentismo latinoamericano. Alla metà del secolo scorso, quando Violeta Parra cominciò a raccoglierne e diffonderne il repertorio, il canto a lo poeta, la paya e il guitarrón sembravano destinati all’estinzione; oggi invece, grazie a lei e a più generazioni di maestri e divulgatori, sono oggetto di rinnovato interesse, sia nella loro versione più “pura” sia attraverso attualizzazioni, rielaborazioni e contaminazioni con altri generi, a dimostrazione della loro estrema vitalità. 
Al canto a lo poeta è dedicato un recente video del progetto “Zoom in on Masters”, dell’Istituto Interculturale di Studi Musicali Comparati della Fondazione Cini di Venezia. Su questa frontiera fra trasmissione e innovazione stilistica, opera da tre decenni Manuel Sánchez. Originario della capitale, ma cresciuto nella provincia contadina, Sánchez è stato discepolo del payador Francisco “Pancho” Astorga, scomparso a luglio di quest’anno, e del chitarrista Sergio Sauvalle, con il quale ha collaborato come guitarronero nel trio Ensemble Tradicional Chileno. Nella sua lunga traiettoria artistica come cantor a lo humano, payador e guitarronero, Sánchez ha coltivato gli stili tradizionali contadini, dei quali è un attivissimo docente e divulgatore (anche in questa congiuntura pandemica), ma parallelamente ha “esportato” il guitarrón verso altri ambiti, collaborando con diversi esponenti della scena rockera, cantautorale e teatrale cilena (tra gli altri, col poeta e cantautore rock Mauricio Redolés). Altrettanto importante è il suo vincolo ideale con il movimento della Nueva Canción degli anni 60-70, con tributi a maestri come il cileno Víctor Jara e l’uruguaiano Alfredo Zitarrosa. La discografia di Manuel Sánchez come autore, cantautore e interprete conta quattro album da solista, oltre a numerose partecipazioni in opere collettive o in album di altri artisti. 
Lo ascoltiamo invece in veste di payador nell’album “Abrazado a un guitarrón” (2015), dove dialoga in contrappunto con altri quattro esponenti del repentismo latinoamericano. In “Guitarrón a lo poeta, Vol. II: DJ de la palabra”, del 2020, Sánchez conferma la sua concezione aperta e “progressiva” della tradizione. L’asse centrale di questo lavoro è l’attenzione per il guitarrón, la cui pratica Sánchez domina e sviluppa attraverso contaminazioni della tradizione e prestiti con altri generi e stili, dalla musica andina al rock progressive. Di questo lavoro Sánchez è produttore artistico e produttore musicale (in collaborazione con Sergio “Tilo” González, batterista, compositore e leader della storica band cilena di rock e fusion latinoamericana Congreso), oltre a firmare i testi e le musiche delle dieci tracce che compongono l’album (con due parziali eccezioni, segnalate più sotto). La voce e il guitarrón di Sánchez sono accompagnati da un ristretto ensemble di musicisti: Gastón Ortega (violoncello e rabel), Jorge Campos Astorga (basso elettrico e fretless), Pedro Villagra (sax e quena), con le partecipazioni puntuali di Fabiola González (voce) e di Carlos Corales (chitarra elettrica). Quest’ultimo è anche il responsabile di registrazione, mixaggio e masterizzazione. Eccetto che per quelli del guitarrón, curati da Sánchez, gli arrangiamenti sono in parte di Tilo González e in parte degli stessi musicisti accompagnatori. L’ensemble si limita a volte a sottolineature discrete; altre volte interviene senza ambiguità per creare ambienti sonori lontani dal folclore. Nel complesso, però, non risulta mai invasivo né soffocante nei confronti del binomio centrale de canto e del guitarrón. L’album si apre con “La palabra” (La parola), un poema in versi alessandrini della cilena Gabriela Mistral, premio Nobel per la letteratura (1945), che riflette sul gap semantico e comunicativo della parola poetica. 
La musica di Sánchez fonde qui richiami a modi antichi con elementi di modernità, dal trattamento dei ritmi agli interventi della chitarra elettrica, in un risultato di grande suggestione che rimanda a un gusto progressive e sperimentale molto radicato nella musica cilena, dalla Nueva Canción al rock. La parola è evocata nel titolo “DJ de la palabra”, quinta traccia dell’album. In questo manifesto di poetica Sánchez rivendica l’autenticità delle sue radici popolari e al contempo proclama la sua modernità, definendosi appunto “un DJ della parola”. L’enfasi retorica che caratterizza il testo è un elemento usuale nel codice espressivo dei payadores, ma l’autore va oltre le maniere di circostanza: “non vengo a folclorizzare il passato o il presente./Appartengo a quella canaglia consapevole,/avida di esprimersi / senza doversi mettere in maschera/per cantare alla sua gente”. Rifiutare i folclorismi di maniera e unire tradizione e modernità sociale: “Questa è la proposta mia:/ miscela di cielo e inferno,/son come un giullare moderno/che improvvisa poesia”. E in effetti, se versi, melodie e stile interpretativo sono quelli tradizionali del canto a lo poeta, tuttavia tra gli arpeggi del guitarrón fanno capolino ritmi sincopati estranei e perfino un inatteso accordo jazz conclusivo. L’impegno dell’autore come cantore del presente emerge in “Décimas de la revuelta”, un testo a lo humano intonato su melodie tradizionali del canto a lo poeta, e dedicato alla grande
sollevazione popolare che nel 2019 ha impresso una radicale svolta in senso democratico alla vita politica cilena. La sensibilità verso temi sociali e attuali torna in “Llegando a Chacalluta”, una bella canzone che questa volta si ispira non più al canto a lo poeta, ma ai più familiari (per noi) moduli della musica andina. Il testo narra in soggettiva il dramma intimo di una migrante andina giunta in Cile a cercare fortuna, fuggendo dalla povertà e da una storia di violenza subita. Su un diverso registro, senza richiami espliciti al folclore cileno, “Oleo de niño sobre tela” (cantata a duo con la cantautrice Fabiola González, la Chinganera), rievoca un’infanzia trascorsa nelle campagne che alimentano le radici dell’arte di Sánchez. Infine, “Viajera sin pasaporte” offre un riconoscimento alla figura fondamentale di Violeta Parra, folclorista, poeta, compositrice, artista visiva, evocata come nume tutelare di un’arte insofferente delle convenzioni e nemica delle sirene della modernità. Il testo è intessuto di citazioni dalla stessa Violeta, alcune delle quali risuoneranno familiari anche per qualche ascoltatore italiano memore degli Inti-Illimani. Completano il disco quattro composizioni strumentali, in parte di tradizione (le “Tres polkas”, già raccolte da Violeta Parra e qui trascritte da Sánchez per il guitarrón), e in parte di nuova composizione: “Purrún”, “Ultravioleta” e “Cruz del Sur”. 
In questi brani, i cui schemi compositivi riprendono ancora moduli ritmici e melodici popolari cileni (come la cueca e la tonada), Sánchez sembra interessato più d’ogni altra cosa a consolidare l’autonomia del guitarrón, che raggiunge qui una considerevole pienezza acustica e tecnica. La maestria di Sánchez come interprete del suo strumento; la sua bella vocalità tesa e chiara; la capacità di fondere tradizione e innovazione con decisione, ma anche con equilibrio e discrezione, sia come poeta sia come musicista; una sonorità dell’assieme un po’ ruvida e con carattere proprio, dominata dalla presenza austica del guitarrón, interessante proprio perché lontana dalla levigatezza omologante di molta world music da studio. Sono tutti valori che rendono assai consigliabile l’ascolto di questo album (scaricabile tanto da Spotify come dal sito Portal Disc). Con il valore aggiunto di offrire una porta d’ingresso al mondo musicale del canto a lo poeta, decisamente tanto affascinante quanto poco conosciuto dalle nostre parti. 


Stefano Gavagnin

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