Ettore Castagna – Ἐρημία/Eremìa (AlfaMusic/EGEA, 2022)

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Avevamo raccontato del lavoro di Ettore Castagna quasi cinque anni fa, a proposito del libro “Del sangue e del vino” del 2016 che attinge alla sua frequentazione e profonda conoscenza, anche storica, del territorio aspromontano. Nel frattempo, quel libro ha avuto un riuscito seguito con “Della Grecìa perduta” (2020), una seconda puntata che lascia presagire una trilogia, mentre due anni prima Castagna aveva affrontato temi contemporanei con “Tredici gol dalla bandierina" del 2018. Questa intensa attività di romanziere non aveva interrotto quella di antropologo della musica con approfondimenti per Utriculus sugli strumenti frequentati fin dagli anni ’70, la lira (“Lire migranti, Etnografia e immaginazione sulle origini storiche della lira in Calabria”, 2018) e la zampogna (“La zampogna a chiave calabrese 1 e 2, 2019 e 2020). Ora, con “Ἐρημία/Eremìa”, Ettore Castagna riprende il filo del suo impegni discografici, cominciato quasi quarant’anni fa, nel 1984, con l’uscita di “Non suli e no’ luna” insieme al gruppo calabrese Re Niliu. Ed è questa la principale novità che porta “ Ἐρημία/Eremìa”: un disco solista, il primo, dopo le belle prove con i Re Niliu, l’ultima nel 2015, e con altri due gruppi da lui fondati, Nistanimera e Antiche Ferrovie Calabro Lucane. Una migrazione annunciata, dal gruppo al solista, e realizzata a modo suo, cogliendo le fasi di registrazione come occasione per innumerevoli incontri con musicisti, compagni di diverse fasi della sua più che quarantennale esperienza artistica come musicista e compositore, ma anche come direttore di eventi culturali, ricercatore e scrittore. O, direbbe lui con una parola, di “cantastorie”. Ha accettato di rispondere a sette domande riguardo al nuovo album e al suo personale approccio a queste narrazioni musicali.

“Ἐρημία/Eremìa” è animato dal desiderio di narrare: com’è avvenuto il processo compositivo? Cosa ha determinato la scelta delle diverse lingue che danno vita alle canzoni?
Mi è sempre piaciuto lo storytelling, in tutte le salse direi. Una cosa che si è rafforzata nell’esperienza dello scrittore. Un’esperienza che negli ultimi anni ha trovato forza e sostanza nel mio percorso di autore di lungometraggi come i romanzi.  Infatti, è un po’ come nel cinema. Se la canzone è un cortometraggio, il romanzo è l’occasione per la narrazione lunga, complessa, nella quale abbandonarsi. Se questo era il mio brodo di coltura di fondo, devo dire che gli ultimi anni i romanzi mi hanno rinforzato come cantastorie. Mi sono ritrovato in tour permanente per portare in giro i miei vari scritti. Da ognuno di essi ho tratto spettacoli di teatro/canzone e ognuno di essi mi ha richiesto delle canzoni per costruire un discorso col pubblico insieme ai recitati, alle letture, agli elementi di teatro. Io che sono sempre stato un musicista di gruppo, che non si è mai pensato fuori da un gruppo ho imparato a correre in solitaria, Stare tutto solo su un palco con un pubblico davanti qualche centinaio di volte alla fine ti insegna qualcosa e ti chiede qualche altra cosa. È così che ho ripensato alla canzone come opportunità narrativa. Mi piacciono i grandissimi come Springsteen che riescono a fare entrare nella tua testa un intero film in pochi minuti di canzone.  Le scelte linguistiche sono state conseguenti. Le mie canzoni sono in dialetto perché è la mia lingua madre, altre sono in lingua greca perché, in fondo, è la lingua madre della mia lingua madre.

Come leggi la composizione di queste canzoni in rapporto ai romanzi che hai pubblicato e a quello che stai scrivendo e all’interazione col pubblico nei reading che proponi? (o se preferisci “spezzare”: Come interagiscono il musicista, l'antropologo e lo scrittore? Presenti i tuoi romanzi in dei reading concerto: di che si tratta? Quando arriverà il terzo capitolo della serie “grecanica”?)
Romanzi e canzoni si stimolano a vicenda. Scrivere è un meraviglioso delirio. Cominci a vedere i personaggi dei tuoi romanzi che vanno in giro per casa, si siedono con te a fare colazione la mattina, 
ti accompagnano al lavoro, ti aspettano la sera davanti al portone di casa. Allora parte questo amore irrazionale, “meravigliante” per il personaggio e cominci a progettare canzoni che lo disegnino, lo dipingano, lo rappresentino meglio possibile. Cerchi pure di cantare come canterebbe lui.  In una canzone, alla fine, non puoi che mettere tutto te stesso. Io quando mi metto a scarabocchiare un testo sulla carta del pane o sul memo del telefono non riesco a dividere lo scienziato, il letterato dal ragazzo di un rione di una città della periferia meridionale, dal professore che guarda il mondo con disillusione ed entusiasmo insieme. Alla fine, i miei spettacoli, più che dell’artista, parlano proprio di Ettore Castagna, affido alla forza della musica e della scrittura l’incontro emotivo col pubblico, col mistero dell’allegria e della tristezza che sono la sostanza di tutti.

Presti attenzione a temi dolorosi: disuguaglianze, povertà, lontananza. In che modo la musica “legge” questi sentimenti e i contesti storici che li partoriscono?
Vengo da una generazione di boomer che non riuscivano a pensare la musica diversamente da un impegno politico personale. D’altra parte “il personale è politico” dicevamo. Ed è un imprinting che mi è rimasto tale. Non disprezzo la canzone d’amore ma non riesco a non immaginare la canzone come una forma della speranza e di una vita che, magari, si rinnova. Lo dico anche chiaramente in una delle mie canzoni. Lo so bene che la giustizia non esiste ma io continua ad aspettarmela. Non smetto di indignarmi anche se certe volte, veramente, prevarrebbe il desiderio di cercarsi i luoghi più isolati che ho visitato… che ne so... certe sterminate pianure del Manitoba… farsi una casa che sia un eremo e scomparire dal mondo e dai social.

Il titolo dell’album affronta il tema della solitudine anche nel contesto della pandemia: come hai fatto fronte al distanziamento, alla malattia e cosa senti di aver imparato?
Ho scelto deliberatamente un titolo in greco classico. Ἐρημία è un certo tipo di solitudine. È una solitudine meditativa, anche mistica se vogliamo. Ma è una condizione esistenziale. La grande solitudine durante l’epidemia è stata per me un momento di profonda commozione. Ho avuto il Covid come tanti ed 
ho sperimentato l’angoscia di una malattia ignota, ho visto morire amici e parenti. Allora, durante i giorni interminabili del confinamento in casa ho capito cosa sarebbe avvenuto se fossi morto. Qualcuno avrebbe aperto i miei armadi, esaminato i miei libri, le mie foto, i miei filmati, i miei oggetti, i miei strumenti musicali e ne avrebbe cercato un senso e un ordine. Avrebbe cercato di capire cosa trattenere e cosa gettare via. Allora l’ho fatto io. Ho riguardato foto e immagini, ho riletto note, appunti e ho vissuto giorni in una folla di persone e di ricordi, un viaggio emozionante, uno dei momenti più forti della mia intera esistenza. Ho trovato naturale che questo si tramutasse in musica e in scrittura.

Dal punto di vista strumentale: in che misura questi brani rispecchiano il tuo rapporto, anche di ricerca, con strumenti tradizionali e con altri più consueti come la chitarra?
Qui metti l’accento sul discorso di una vita. La musica di tradizione orale della Calabria come del Sud Italia mi ha molto influenzato nella costruzione di quello che è diventato un suono personale. Questo non solo mi ha portato a suonare lire, zampogne e chitarre battenti ma anche di inseguire certe utopie acustiche. Per esempio, negli ultimi tempi sono molto tornato alla chitarra. Forse devo meglio dire che mi sono avvicinato alla chitarra, uno strumento che non ho mai veramente studiato, che certe volte ho rifiutato. Invece ho ripreso un certo mio vecchio discorso sulle accordature, sulle scale popolari, sul far suonare la chitarra “come” una lira o come una zampogna. Non so se ci riesco ma credo di cercare un 
suono mio, il suono adatto per le mie canzoni.

Vuoi raccontare come hai coinvolto i numerosi musicisti che ospiti nell’album ed il loro apporto?
Il bello è che in un album che si intitola “Solitudine” (perché questa è la traduzione italiana di “Ἐρημία/Eremìa”) c’è un numero incredibile di amici musicisti ma devo dire che non c’è una prevalenza di suoni etnici. Ci sono apporti rocchettari, jazzistici, tocchi di musica leggera e di vero e proprio pop. Insomma, si tratta di quella zuppa planetaria nella quale sguazzo da sempre come musicista. Mi viene impossibile nominarli tutti ma posso solo fare qualche esempio. È stata veramente strategica la collaborazione con un cantautore come Carmine Torchia perché mi è stato decisivo mettere a fuoco la mia idea di forma canzone, poi ci sono i musicisti fratelli del mio storico gruppo Re Niliu che mi hanno dato una mano nel confermare certi aspetti del mio sound storico. C’è una canzone dedicata in modo agrodolce all’esperienza di Riace insieme a incredibili musicisti iraniani. Infine, è stato affascinante trovare i punti di incontro con talenti come Yiannis Panaiotopoulos alla lira greca, oppure Abdullah Adjerraer al gwembri, ma l’intero album spero che riservi più di una sorpresa all’ascolto.

“Ἐρημία/Eremìa” segna una nuova tappa nella vita dei Re Niliu: cosa c’è nel futuro del gruppo e nel tuo?
Re Niliu direi che resta il mio marchio di fabbrica. L’attività del gruppo è stata parecchio frenata prima dalla crisi dei concerti e poi da due anni di Covid. Non sarà semplice ripristinare un discorso per il live. Il progetto Re Niliu in questo momento è, per così dire, in pausa. Al contrario la solitudine ha incoraggiato il mio furore creativo. Dal 2016 sto uscendo con un romanzo ogni due anni. Musicalmente parlando, invece, un altro album già pronto e un altro ancora già strutturato. Di questi ulteriori progetti per ora preferisco non parlare. Ho sempre la proverbiale paura per la troppa carne al fuoco. Certe volte penso che forse dovrei addirittura rallentare ma mi diverto troppo.

Ettore Castagna – Ἐρημία/Eremìa (AlfaMusic/EGEA, 2022)
Intervistato da Ciro De Rosa nel 2013, Ettore Castagna raccontava: “Ho dei sogni realizzabili. Un primo progetto potrebbe essere un CD in solo a cui penso da anni”. “Ἐρημία/Eremìa”, dunque, ha vissuto un processo di maturazione decennale che ha trovato nel periodo segnato dal Covid il suo punto di svolta e di rinnovamento e approfondimento dell’ispirazione creativa: la musica come “rifugio, riflessione, memoria”. Questo percorso ha portato a compimento di diversi testi, ognuno con una propria identità in calabrese, greco, arabo, italiano: lingue diverse ma che rimandano ad un terreno musicale comune, la cornice in cui si muovono le undici tracce dell’album, nel gioco a rimpiattino fra sonorità tutte ugualmente desuete rispetto ai prodotti dominanti di consumo e tutte, in diversi modi, memori di strumenti e periodi che hanno attraversato l’universo folk del meridione italiano e di un Mediterraneo che risale fino alla Persia. Castagna si spende a tutto campo: voce, corde (chitarre comprese), fiati e percussioni, ma anche i collaboratori sono tantissimi: non potevano mancare i Re Niliu (Mimmo Mellace, Nico Canzoniero, Chiara Mastroianni, Giuseppe Muraca), ma i contributi arrivano anche dal Marocco, Abdullah Adjerrar, dalla Grecia, con uno specialista della lira come Yiannis Panayotopoulos, ma anche dall’India, con Rashmi Bhatt, dall’Iran, Vajiheh Hadjihosseini e Vahid Hadjihosseini e dagli Stati Uniti, Charles Ferris. Inoltre, Castagna ha saputo interpellare e ricevere splendidi contributi da Lavinia Mancusi, Dario Rosciglione, Paolo Modugno, Salvatore Zambataro, Alessandro Santacaterina, Enzo Tropepe, Mimmo Morello, Carmine Torchia, Nando Citarella, Fabrizio Salvatore. L’album non poteva che aprirsi con un’introduzione offerta in solitaria dalla lira, lo strumento cui forse è maggiormente legato il contributo etnomusicologico di Castagna e che qui fa da preludio a un brano acustico, “Middalo Pricio” cantato in greco, con la lira a riprendere e sviluppare la melodia dopo ogni strofa. La seconda canzone allarga lo spettro sonoro, ci fa viaggiare fino in Persia e passando per Smirne rimanda a Riace, al mare, alle spiagge e alla montagna aspromontana, alla lingua calabrese, ai temi dell’ospitalità di ieri e di oggi, a chi cerca salvezza, al sangue che, per chi lo voglia sapere, è sempre lo stesso, ovunque, per tutti. E’ solo con il terzo brano che l’arrangiamento apre più esplicitamente anche alla dimensione elettrica e richiama un’estetica che ad inizio degli anni ‘90 aveva reso popolari i Re Niliu in giro per il mondo, alternando cadenze narrative ad ostinati ballabili, suggerendo un senso di coralità dell’esperienza musicale. A questa estetica si allinea anche la prima traccia “Ἐρημία/Eremìa”, più scura e musicalmente intensa della seconda traccia, la penultima dell’album, che propone un registro più intimo, di esplicito dialogo in calabrese con la solitudine, con i propri ricordi, esperienze e curiosità più profondi. Come quelle domande cosmiche che attraversano anche i romanzi: “Te lo figuri se sulla luna la zampogna c’è per davvero? Chi lo sa come suona in quel silenzio…”. Ed è proprio la zampogna, da sola, a chiudere “Dimenticanza”, il brano di commiato, aperto da passi e cicale nei campi, voci femminili, un marranzanu a lanciare gli ultimi canti, l’ultima sfida al buio incombente.


Alessio Surian

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