Re Niliu – In a Cosmic Ear (Alfa Music/Felmay, 2015)

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Calabria, patria cosmica ed emozionale. Ettore Castagna racconta il ritorno del Re Niliu

Quando nel 1979, un gruppo di giovani di Catanzaro e Tiriolo (Ettore Castagna, Sergio Di Giorgio, Francesco Forgione, Gino Parisi, Goffredo Plastinoe Emilio Rinaldo) diede vita al Canzoniere popolare calabrese Re Niliu, prendendo a simbolo della loro terra il nome di un personaggio dell’immaginario folklorico presilano – un re di cera destinato da un destino sfavorevole a non poter godere delle proprie ricchezze – conoscemmo  una Calabria musicale che non aderiva all’estetica del folk revival campano, pur essendone i Re Niliu debitori per ispirazione, che non si travestiva con abiti folkloristici né tantomeno si conformava allo stile di mediazione autoriale del mondo popolare praticata da Otello Profazio. Piuttosto, ci trovammo di fronte ad una formazione che vantava una conoscenza diretta della musica contadina calabrese, che produceva una documentazione scientifica sulle zampogne e lira calabrese, che era lontana da ogni visione idilliaca e nostalgica del sud. Tra ribalta nazionale e internazionale, favorita anche dall’incontro con Pietro Bianchi e Mireille Ben dei Lyonesse, e ricerca sul campo condotta nella propria regione i Re Niliu costruirono solidi rapporti con il mondo folk revivalistico ma soprattutto con i maestri musicisti della tradizione locale.  Già il loro primo lavoro, “Non suli no’ luna” (1984, Madau), con formazione in quintetto (a Castagna, Di Giorgio e Plastino si erano intanto aggiunti Salvatore Megna e Danilo Gatto), non era solo filologia etnomusicologica: il disco si configurava come riesecuzione e rielaborazione, ma anche composizione e ricerca di nuovi timbri e di nuove ispirazioni che arrivano rivolgendo l’orecchio verso la Grecia, l’Albania e la sponda sud mediterranea: il che significava anche consapevolezza della densità storica e culturale della Calabria, dei suoi contatti, dei suoi lasciti. 
Quell’elleppi si chiudeva con “Sonata streuza”, una “tarantella” che si sviluppava balcanizzandosi. Con “Caravi” (1988, Robi Droli), divenuti intanto un quartetto (dissidi sulle prospettive musicali e controversie di natura politica, relative a paternità, proprietà e gestione dei materiali prodotti durante le ricerche sul campo, avevano portato all’abbandono di Plastino), i Re Niliu accentuavano la loro cifra compositiva, esaltando l’essenza urbana e le “affinità” con le musiche del bacino del Mediterraneo. Tuttavia, erano sempre le forme espressive, gli strumenti popolari e le lingue della Calabria a rappresentare la via maestra. Insomma, “Caravi” anticipava quelle che sarebbero state le successive tendenze world. “La svolta elettrica di “Pucambù” (1993, Il Pontesonoro), pienamente riconducibile al nuovo immaginario culturale della world music, significò per il gruppo, dall’organico rinnovato, il successo al Womex di Berlino e l’inserimento in antologie di musiche world. Come per ogni grande gruppo che si rispetti, arrivò una nuova crisi artistica e relazionale (con l’uscita di Megna e Gatto), motivo non secondario la supposta dicotomia elettro-acustico della band. Di conseguenza, ecco nuovi mutamenti di organico (entrano Mellace e Tropepe) e di assetto strumentale, e perfino la coesistenza di un doppio profilo, con una formazione etnorock ed una etno-acustica, aperta a collaborazioni con giovani musicisti tradizionali aspromontani. Agli albori del nuovo millennio, mentre era sul punto di registrare un album live (“Sciafrò”, rimasto inedito), il Re si assopisce. Impossibile dare conto di tutte le storie parallele dei musicisti che ruotano e hanno ruotato intorno al gruppo calabrese. Qui ci limitiamo a seguire la traccia di Ettore Castagna, che dei Niliu è stato sempre l’anima ma anche, in un certo senso, protagonista della narrazione storiografica del gruppo, forma i calabro-salentini Nistanimera, poi le Antiche Ferrovie Calabro-Lucane, magnifiche formazioni acustiche, che riportano lusinghieri consensi nel mondo trad italiano e internazionale. 
Si arriva a qualche anno fa quando, soprattutto per volontà di Mellace e Castagna, alcuni componenti storici della band e nuovi compagni ricostituiscono Re Niliu, riprendendo in sostanza il tratto sonoro elettroacustico di “Pucambù”, con la massiccia presenza di strumenti popolari calabresi e mediterranei, di stili esecutivi che ci riportano alla tradizione vocale calabrese, dotati di una robusta verve rock e funky e di potenti innesti elettronici. “Futuro-Antico”, verrebbe da dire, se non temessimo di scadere nello slogan pubblicitario o nel logoro lessico da marketing post-industriale. Di conseguenza, gennaio 2015 ci porta “In a Cosmic Ear”, nuovo lavoro. Matrici popolari, strumenti tradizionali che si legano a quelli elettrificati e digitali, tradizione e reinvenzione, il tutto condito con salutare autoironia di musicisti (in larga parte) appartenenti alla diaspora calabrese. Proprio con Castagna, musicista e vivace affabulatore, studioso e accademico (ricordiamo i suoi studi sulla danza nella Calabria grecanica e sul rapporto tra ‘ndrangheta, musica e danza popolare), direttore artistico del festival Paleariza, che si svolge ad agosto nell’Aspromonte grecanico, parliamo dell’atteso ritorno del re di cera.

Visto che i dischi fisici si realizzano ancora, con tanto di titolo e copertina, tanto vale iniziare da qui. Ci spieghi il titolo “In a Cosmic Ear”. Sembra un titolo kraut-rock anni Settanta più che calabrese? È’ vero che di calabresi ce ne sono tanti in Germania… ma qui tutto inzia a Toronto trent’anni fa….
Il kraut-rock, come il rock britannico degli anni ’70 e ’80, rappresenta molta della nostra formazione. Questo, certamente, si sente in certe scelte e modalità di proporre la musica che suoniamo. In questo caso però il titolo viene da una magnifica poesia dello scrittore calabro-canadese Antonino Mazza. L’ho conosciuto tanti anni fa a Toronto, avevo trent’anni e parlavamo guardando il lago Ontario. Una corte di grattacieli dalla finestra di casa sua. 
«Sai che diceva mio padre?», mi raccontava Nino. “Li vedi questi palazzi in fila davanti al lago, tutti illuminati? Sono belli… Sì sono belli… Non lo sai quanto ferro e cemento a sacchi abbiamo portato. Tutto su queste spalle, figlio. Che ne puoi sapere tu della fatica…”. A Nino gli lucevano gli occhi per il racconto e per il padre. L’orgoglio del lavoro, della costruzione, della fatica, della dignità. Quanta magnifica bellezza in quel racconto. Ci ho ripensato tanti anni dopo, scrivendoci sopra una canzone: “In a Cosmic Ear”, che inizia con le parole di Antonino. Sono versi magnifici ma è tutto in inglese, tradurre certe volte è un po’ violentare. Quindi, niente traduzione. Poi continua con le parole mie. Che credo siano pure un po’ sue. E di tutti quelli che hanno vissuto una Calabria diversa, un altro Sud in giro. È una lunga lirica sulla Calabria come patria cosmica in un mondo in movimento, al centro di un orecchio cosmico che è ascolto e possibilità identitaria. 

E la copertina? 
La copertina è un artwork di Aldo Zucco, che non è solo un caro amico ma un artista contemporaneo calabrese fra quelli che più ci piacciono. Noi gli abbiano dato il tema, lui ci ha improvvisato sopra. La grafica è di un altro amico che è Luca Andreoni. Qualcuno lo ricorderà come il grafico della vecchia rivista italiana “World Music”, altri lo conoscono come un grande fotografo perché è un grande fotografo per davvero. Insomma siamo per la linea good friends, good music. In questo caso goodgraphic.

Re Niliu 2.0? Chi siete? 
Beh, sempre gli stessi di prima, direi. Aggiungere 2.0 è solo un segnale per dire che c’è un nuovo capitolo. È stata un’idea per rendere meglio identificabile il sito. A proposito, è www.reniliu.it. Non credo che oggi si possa fare a meno del linguaggio digitale, per cui il gruppo ha la sua pagina Facebook, sta su SoundCloud, lo trovi su Spotify, su Itunes … Apparteniamo pure noi al secolo in corso.

Siete una formazione translocale, ma il vostro villaggio della memoria è la Calabria. 
La Calabria della mia infanzia non c’è più e non può tornare: maghi, cantatori, narratori di fiabe, intagliatori, santàri. Era un mondo altro, ancora sospeso fra occidente e oriente. Oggi c’è un’altra Calabria, ricca e povera di cose e di idee ma è come l’Itaca di Kavafis. La Calabria ci ha donato un bel viaggio. Non siamo a rimproverarle i limiti o a cantarne i pregi. È il viaggio che conta. Noi siamo in viaggio da anni e non torneremo indietro.

“In a cosmic ear”, non è affatto nostalgia canaglia… È la ripresa di un discorso o una nuova strada? 
Entrambe le cose. Èovvio che se esci dopo vent’anni devi avere qualcosa da dire creativamente, se no è meglio che resti in dignitoso silenzio. Pertanto, la ripresa del cammino doveva pure dare dei segnali di novità. Credo che questi segnali ci siano tutti. Come pure c’è la vecchia mano al timone che sa dove vuole andare. La nostalgia non ci interessa. Anzi è un sentimento pericoloso. Fa rivedere il passato come mai è stato davvero.

“Affinità e divergenze” con i Re Niliu del secolo scorso… 
Io sono l’unico sopravvissuto di quei pochi che fondarono il gruppo nel 1979. Certo anche Mimmo Mellace, Salvatore Megna, Enzo Tropepe, presenti ancora oggi nel Re Niliu, ne sono pezzi importanti di storia. Direi che non ci sono né affinità né divergenze. Re Niliu è un modo di suonare, di pensare la musica. Questo basta. C’è il vecchio padre dei fratelli Vitelli in “Mac” di Turturro che dice: “C’è il modo giusto e il modo mio… e sono la stessa cosa”. Esiste la ricetta ed esiste una certa capacità di cucina: questo è il Re Niliu. Se piace piace. Se no si può cambiare ristorante. McDonald avrà sempre più clienti dell’osteria del tuo paese. A questo bisogna rassegnarsi. D’altra parte, u morseddu ‘e baccalà ccu l’ariganu McDonald non lo fa…

Vent’anni passati da “Pucambù”… svolta elettrica di Re Niliu. Com’è cambiato l’assetto della band?
Quattro vecchi lupi di mare su sei dell’epoca “Pucambù” sono ancora sulla barca. Però, non è solo nel personale il problema dell’assetto ma nelle scelte timbriche e di cifra stilistica. Il nostro rimane un sound elettroacustico nonostante qualche minimo capolino digitale nell’ultimo album. Diciamo che gli anni passati hanno portato consiglio. Oggi c’è più esperienza, più saggezza nell’amministrare le scelte, nel sapere cosa vuoi da un brano e cosa vuoi dal musicista che ci suonerà sopra.

Ci racconti questo nuovo disco? Cosa contiene? 
Il disco contiene materiali di diversa provenienza storica. La gran parte è stata composta negli ultimi due anni ma ci sono alcuni brani che erano rimasti inediti negli anni ’90 e che abbiamo recuperato. Erano destinati a un album che doveva seguire “Pucambù” ma non lo seguì. Qualche bootleg digitale di questi pezzi gira da anni in Rete. Direi che ora, però, hanno trovato un equilibrio di arrangiamento e di scelte sonore. La maggioranza del disco resta di nuove composizioni, soprattutto mie e di Mimmo Mellace. Tutto sta nella traccia dello stile Re Niliu. In fondo il nostro sound non ha trovato veri prosecutori durante i vent’anni di silenzio. Abbiamo pensato di proseguirlo direttamente noi, un po’ per divertirci un po’ perché crediamo ne valga davvero la pena.

Calabria metafora di tutti i Sud? O più sud della Calabria non si può? 
Già Pasolini in una bella poesia aveva visto la Calabria come metafora di quello che era il terzo mondo allora e come porta di accesso del Sud verso Sud e dal Sud. L’epoca degli sbarchi ha dimostrato che questo è vero. La terra con maggior numero di emigranti in Italia è diventata la soglia da attraversare per l’accesso all’Europa di una quantità biblica di fratelli, disperati, profughi, fuggitivi, sognatori, ingenui e illusi. La Calabria resta il peggio dell’Italia senza lavoro, senza strade, senza servizi, senza una società civile vera e propria. Mia madre con amara ironia dice che la crisi da noi è iniziata nel 1860 e nessuno, credo, possa dire che ha torto.

C'è un brano che più di tutti rappresenta il nuovo corso?
In più di trent’anni abbiamo fatto solo quattro album. Noi più che concepttracks facciamo dei concept album. Ogni lavoro è nel suo insieme una specie di punto esistenziale e artistico insieme. Non abbiamo mai fatto nulla di commerciale, mai nessuna strizzata d’occhi al mercato né presente né futuro. Per il primo videoclip estratto dall’album abbiamo scelto “PsicoSyla”, effettivamente è proprio un brano rock nonostante le voci all’antica e la surdulina suonata come una mezzoued.

In qualità di autore di testi, come ti sei avvicinato alla composizione. Quali sono le fonti di ispirazione? In passato hai pubblicato anche dei racconti.
Ho iniziato a scrivere testi di canzoni proprio per Re Niliu e in particolare in occasione di “Pucambù”. Diciamo negli anni ’90. Non c’è una fonte d’ispirazione precisa ma una voglia di racconto. Quando intravedo una storia da qualche parte, mi piace raccontarla. Il mio io letterario preme e io lo accontento.

Accennavi prima all’incipit poetico di “In a cosmice ar”. Tra gli altri autori dei testi ci sono Rocco Domenico Pulitanò, che ha firmato “Pagai nu sonaturi” e Orlando Vitale per “Strumbiota”. Non è la prima volta che riprendete liriche di scrittori o poeti calabresi Ce ne parli?
I due autori che citi sono poeti popolari calabresi. In passato abbiamo avuto modo di musicare anche altri testi. Forse il più noto è “Pucambù”, in greco di Calabria, scritto da Salvino Nucera. Durante i concerti fanno capolino anche citazioni varie da Pasolini a Espriu sino ad Omero. Te l’ho detto: abbiamo il vizio della letteratura. È un male inguaribile. Speriamo che non passi.

La molteplicità di riferimenti musicali e culturali si avverte in vari brani. Voglio soffermarmi su “Danza Marranza” in cui tra liriche tradizionali, citate un sedicente vinile registrato nella Neto valley, e c’è una dedica a Morris Pert…
È’ uno scherzo! Ovviamente il vinile che non esiste. La filologia ci piace. Ci piace a volte rifare le cose per come le abbiamo sentite. Altre volte no. Per cui è meglio prenderla con ironia e soprattutto, non prendersi sul serio. Il Sud Italia è pieno di autentici portatori della tradizione. Credo che addirittura superino il numero dei residenti. Morris Pert poi è una dedica che stava a cuore al Mellace. Io se dovessi fare dediche mi dirigerei sugli Ozric Tentacles.

La voce di Abdullah Ajerrar apre “Mara Tundu”… Potrebbero essere gli occhi e lo sguardo di un migrante nella Calabria di oggi che trovano, in un certo senso, sponda nelle liriche del brano successivo: “Metitura”, dove si fa riferimento al lavoro che il padrone deve retribuire equamente. 
Ci sono le canzonette e ci sono le canzoni che vogliono dire qualcosa. Di sicuro siamo sensibili ai temi della giustizia, dell’emigrazione, del lavoro, della dignità umana. È ovvio che tutto ciò si rifletta nelle musiche e nei testi. “Mara Tundu” è una vecchia composizione degli anni ’90 che era rimasta inedita. Già allora era un riflessione sul viaggio come sradicamento e nuovo radicamento. L’attuale arrangiamento e l’amicizia con Abdellah hanno fatto il resto. Allora come oggi la Calabria era/è terra di sbarchi. Le umanità si mescolano e certe volte, nelle facce di chi passa, riconosci la tua.

Concludete l’album con un titolo irresistibile “Lira e frittura di patate e peperoni sulla Statale 18”. Ci devi una spiegazione…
Una volta a casa di Teresa Mascianà, il nostro fonico di fiducia degli ultimi anni, suonavo la lira mentre lei friggeva patate e peperoni con un’amica. Eravamo ad Archi, Reggio Calabria, proprio sulla Statale 18. Una delle arterie storiche del Sud. Dalla frittura si passò alla registrazione, lo studio di Teresa è al piano inferiore, proprio sotto la cucina. È avvenuto tutto con una naturalezza che mi fece pensare che le due cose dovevano convivere sia nella traccia sonora chenel testo.


Re Niliu – In a Cosmic Ear (Alfa Music /Felmay, 2015)
Canto “usuanticu”, ostinato della surdulina il cui timbro ci conduce dirimpetto, sull’altra sponda del piccolo mare, incalzante tempo funk-rock:è “Psico Syla”, ottimo opener e biglietto da visita del potente ritorno della band del re di cera. Le voca aspra e melismatica di Salvatore Megna e il timbro duttile di Domenico Corapi riprendono le liriche di una canzone d’amore tradizionale, il suono è gonfio con la coppia basso-batteria (Enzo Tropepe e Mimmo Mellace) a pompare ritmo tra ricami di organetto diatonico (Giampiero Nitti) e inserti di chitarra elettrica dai rivoli psichedelici di Ettore Castagna. Se i titoli valgono qualcosa – e noi crediamo di sì – allora questo brano dà il senso di tutta l’operazione Re Niliu reloaded. L’archetto scorre sulla lira che fa da guida alla sonata post-pastorale “A nuvola avant’a luna”, tra ironia fischiettante, campanacci e chitarra battente. C’è elogio della trance, ma anche una massiccia dose di ironia dietro l’assortimento ipnotico di zucu, pentole,drum machine, malarruni, chitarra elettrica, basso e saz elettrico (questi ultimi due affidati a Nico Canzoniero) e ritualità cantata in“Danza Marranza”, in origine un canto di questua carnevalesco per voci e tamburo a frizione. In “Setta Pianeti”, dove il farfisa (Rocco Marchi) si unisce a lira, battente, tamburi, fischiotti e suoni campionati, lo sguardo si protende oltre il mare di Calabria trovando sponde ritmiche in tempo dispari nell’altra parte del Mediterraneo. La riflessione sul viaggio domina la vivace “Mara Tundu”, coni suo inserti esotici e le sequenze danzanti:è un brano che si riallaccia pienamente al suono di “Pucambù”. Fisionomia techno-dark con precipitati di tamburi, beat digitali, pipita, organetto, campionamenti di zurna e shakuhachi, interferenze, effettiin “Metitura”. Su simili coordinate sonore è la poetica dello sradicamento messa in risalto nella title-track, “In a Cosmic Ear”. I due brani successivi, “Pagai nu sonaturi” (diviso in due parti: una poderosa sezione psycho-folk strumentale e una seconda parte cantata)e la lirica e solare “Strumbiota”, accolgono versi di poeti popolari calabresi. Più avanti, pelli mediorientali, malarruni, lira basso, basso synth, chitarra battente e voci costruiscono “Vesperata”, un tradizionale che ci fa capire tanto dell’antico rapporto tra Calabria e Balcani. Vocinon addomesticate, zampogna a moderna, organetto, tamburello, chitarra elettrica, con supporto di batteria, basso e piano elettrico nell’onda folk-rock di “Zonaria”, che vuol dire dirupi in grecanico. Chiude laconfluenza culturale di corde sfregate e olii sfrigolanti di “Lira e frittura di patate e peperoni sulla Statale 18”. Benvenuti nella Calabria cosmica e in movimento. Ci scappa di dire Viva il Re… Niliu 2.0!


Ciro De Rosa

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