Aterraterr – Aterraterr (Tora Records/Aquadia, 2021)

Negli ultimi anni abbiamo seguito con grande attenzione l’articolato percorso artistico di Pino Basile, percussionista con alle spalle una solida formazione accademica e, negli anni, diventato uno specialista di cupa cupa e tamburi a cornice, con costanti frequentazioni nell’avanguardia e nel jazz. In particolare, vi abbiamo raccontato “Vento e Pietre”, realizzato con la moglie Eufemia Mascolo e prodotto da Marocco Music, e le splendide “astrazioni africane e i modernismi mediterranei” di “Ferrari Safari”, nato dalla collaborazione con Michael Baird. A quasi due anni di distanza da quest’ultimo lo ritroviamo protagonista del progetto Aterraterr, al fianco del giovane e talentuoso sassofonista, compositore e didatta Giuseppe Doronzo, barlettano di nascita ma ormai di base ad Amsterdam dove si è segnalato come “una delle delle voci più interessanti della scena jazz e impro europea” (Trouw/Jazzism) per le sue ricerche sul sax baritono che lo hanno condotto ad esplorare territori musicali differenti dalla musica classica alla contemporanea passando per il jazz e la musica microtonale ottomana. Dopo aver rodato la propria intesa con AVA Trio, i due strumentisti sono tornati ad incrociare i rispettivi strumenti per dare vita ad un viaggio spazio-tempo che connette presente, passato e futuro, incrociando il lascito della tradizione musicale delle Murge con l’avanguardia, il jazz e la world music. Abbiamo intervistato i due strumentisti pugliesi per farci raccontare questo nuovo lavoro, approfondire il comune percorso di ricerca e soffermarci sulle composizioni più signficative.

Partiamo da lontano. Com'è nata la vostra collaborazione?
Pino Basile 
- Siamo amici da lungo tempo ma la nostra collaborazione artistica è nata con il progetto AVA Trio, esperienza musicale nata in Olanda dall’incontro tra Giuseppe e il contrabbassista turco Esat Ekincioglu e a cui mi sono aggiunto con le mie percussioni. 
Giuseppe Doronzo - E’ accaduto tutto in modo molto spontaneo. Un giorno abbiamo deciso di vederci sulla Murgia per fare una jam in duo e, durante, quell’incontro capimmo che c’era qualcosa di speciale in quel mix sonoro e decidemmo approfondire questa avventura. 

Com'è nata l'idea di dare vita al progetto in duo Aterraterr?
Giuseppe Doronzo - Nel 2018 abbiamo fatto un lungo tour in Cina con AVA Trio. Siamo partiti dal Sud, più precisamente dall’OCT Loft Jazz Festival di Shenzen. Purtroppo, Esat Ekincioglu, il bassista del trio, ebbe un problema con il suo visto lavorativo per la Cina e, all’inizio del tour, resto bloccato per alcuni giorni in Olanda. Dalla notte al giorno, ci siamo ritrovati a ridefinire un concerto e un repertorio, ma fu un concerto veramente speciale. Davanti a centinaia di ascoltatori curiosi e intraprendenti si consolidò Aterraterr, con la forza della semplicità e dell’instabilità.
Pino Basile – Il resto lo hanno fatto l’assidua frequentazione musicale ed umana, vissuta tra l’Olanda e la Puglia. Abbiamo voluto dare una forma sonora alla relazione con il nostro personale “villaggio della memoria” di cui il grande Ernesto De Martino tanto si è occupato e che tanto ci ha insegnato.

Come si è indirizzato il vostro percorso di ricerca musicale insieme? 
Pino Basile - Il nostro percorso di ricerca musicale parte da una comune radice legata al nostro territorio d’origine, io sono un altamurano, nato all’estero e Giuseppe è un barlettano, trasferitosi in Olanda. Credo che la comune visione obliqua della nostra terra e lo sguardo che ci offre soprattutto rivolgendoci verso il Mediterraneo, ci abbia accomunato in un processo un po’ fuori dai canoni, basato su processi creativi e modalità non convenzionali. 
Giuseppe Doronzo - Tutto è nato da una matrice di interesse comune, che non è solo legata all’ effimerità del suono, ma ha anche ad un taglio pressoché’ storico e antropologico legato alla nostra terra natia, la Puglia.

Come si inserisce il progetto "Aterraterr" nei rispettivi percorsi artistici?
Pino Basile - Dopo anni di pratiche musicali e multidisciplinari, mosse in differenti direzioni ma sempre nutrite ed ispirate dalle Murge, dalla Puglia e dal Sud nel senso più ampio, sto vivendo una fase in cui comincio a vivere questo tipo di connessione in maniera più naturale e probabilmente più consapevole. L’esperienza di Aterraterr mi dona questa percezione. Non è solo un semplice progetto musicale del momento, ma un modo di vivere la musica che racconta nello stesso istante noi stessi ed il nostro modo di vivere: quello che siamo in concreto e da proveniamo… in concreto.
Giuseppe Doronzo - Durante i viaggi in Europa, Medio Oriente e Asia ho riscoperto quello che è stato il mio passato in Puglia e qual è la mia identità in un paese multiculturale come l’Olanda. Vivendo il confronto positivo con diverse culture, il modo in cui musicisti a New York e in California trattano il jazz come la loro musica tradizionale, o come in Turchia o Iran trattano la loro musica tradizionale, mi ha fatto
riflettere su quello che la mia terra d’origine ha da offrire musicalmente, storicamente e culturalmente. Aterraterr è stata una conseguenza. 

Come siete approdati all'idea di cristallizzare in studio il vostro incontro?
Giuseppe Doronzo - Aterraterr ha avuto uno sviluppo lento e graduale in linea col progetto stesso. C’è stata una maturazione parallela non solo legata al suono ma anche al gesto e al movimento. Mentre il concept musicale si sviluppava, come duo abbiamo realizzato le musiche per lo spettacolo “Genesi” della Compagnia Menhir, diretta dal coreografo Giulio De Leo. In quell’ occasione abbiamo avuto modo di sviluppare un linguaggio di improvvisazione legato non solo al nostro repertorio musicale, ma anche all’interazione con lo spazio e il movimento. Avremmo dovuto cominciare a registrare a marzo 2020, ma per via della pandemia abbiamo dovuto posticipare. Quando nel marasma generale, ad ottobre 2020, ci fu la riapertura in Italia, decidemmo di cogliere l’attimo e andare in studio per convogliare la nostra energia sulla creatività. 
Pino Basile - Da musicisti quando si entra in studio di registrazione è sempre una tappa importante di crescita artistica, soprattutto è un momento di sintesi di un percorso umano ed artistico che ad un certo punto viene rappresentato ed “immortalato”.

"Aterraterr" è intrinsecamente legato alla Puglia e alla sua tradizione musicale. In che misura ha influito il contatto con la musica di tradizione e la world music?
Giuseppe Doronzo -
La musica di tradizione, quella contadina, pastorale, è stata importante per carpire gli stati emotivi dei lavoratori del secolo scorso, delle condizioni socio-culturali a cui erano soggetti. In passato, la Puglia è stata crocevia di culture e popoli, quindi, ho ritenuto importante confrontarsi con la cultura araba, greca, balcanica. Tutto ciò si manifesta a volte esplicitamente nella nostra musica, a volte in maniera subliminale e più astratta.
Pino Basile - Siamo pugliesi fino all’osso e mai come in questo momento c’è tanta voglia di gridarlo al mondo e soprattutto ai nostri conterranei. C’è da dire che siamo pugliesi a modo nostro e abbiamo voglia di esprimerlo in totale libertà e leggerezza, assecondando le nostre maniere a volte porco ortodosse. In “Aterraterr” l’attenzione alla tradizione è altissima e ciò viene espressa con una poetica che prova ad evitare luoghi comuni e manierismi che spesso le etichette stilistiche di tendenza ti spingono ad adottare. L’influenza che la tradizione esercita su di noi si racconta attraverso la materia sonora piuttosto che attraverso la musica, elaboriamo testimonianze storiche e vissuti umani che raccontano della relazione dell’uomo con la natura, che agiscono dentro di noi innescando processi creativi che spesso ci conducono da tutt’altra parte.

Quanto è stato importante il successivo passaggio verso la sperimentazione e le intersezioni con il jazz e la musica contemporanea?
Pino Basile - Siamo ciò che respiriamo e ciò che mangiamo, e da questo punto di vista, pensando alla nostra musica la metafora mi porta a pensare che il nostro cibo e la nostra aria sono altamente
“contaminati”. Ci illudiamo di pensare a km zero, ma in effetti siamo tutti abitanti dello stesso pianeta, e le vicende degli ultimi anni ce lo raccontano bene bene.
Giuseppe Doronzo - Il jazz e la musica contemporanea fanno parte sia del mio background che della scena musicale in cui vivo da dieci anni; quindi, la ricerca sonora è andata quasi in parallelo con la scoperta della musica tradizionale. 
 
Come si è indirizzato il vostro lavoro di ricerca sugli arrangiamenti?
Giuseppe Doronzo - Dovendo confrontarci con la singolarità del progetto, ci siamo relazionati alle qualità timbriche dei nostri strumenti. Abbiamo lavorato sulle possibilità modali, armoniche e ritmiche che i nostri strumenti offrono. Ed è così che quando abbiamo iniziato a  fare un lavoro basato sulla instabilità e fragilità’ timbrica, ci siamo resi conto che in realtà era un potenziale da esplorare. Al lavoro strumentale è associato anche una ricerca sulle qualità ritmiche e timbriche del dialetto del centro-nord della Puglia.
Pino Basile - Personalmente non mi ritengo affatto né compositore, nè arrangiatore, quando provo a farlo mi aiuta il fatto di avere “le mani nella pasta”, il gusto del gioco con gli strumenti che suono e che spesso mi costruisco, mi spinge ad avere delle visioni che realizzo, ritengo, in maniera molto ingenua. A differenza mia, Giuseppe ha, invece, un approccio compositivo molto spiccato, fa parte del suo modo di essere e di vivere la musica e ne sono orgoglioso. Ha la capacità, come pochi altri, di avere delle intuizioni e svilupparle, utilizzando strumenti che praticamente non hanno mai avuto una letteratura compositiva prima d’ora. Posso sicuramente accostarlo a compositori come Riccardo Nova e Admir Shkurtaj che, oltre ad essere amici e maestri che stimo tantissimo, sono persone a cui la nostra terra dovrebbe essere molto
grata, perché hanno trattato strumenti della tradizione come la cupa cupa ed il tamburello con lo stesso rispetto e competenza che si ha solitamente per gli strumenti della tradizione “colta” occidentale, dando origine ad una letteratura compositiva di assoluto valore.

Quali accorgimenti avete utilizzato nella cura timbrica dei brani?
Giuseppe Doronzo - Volevo scrivere una composizione per due bubbù che avessero la stessa forma pensando a due strumenti molto simili fra loro, usando la tecnica medievale dell’hoquetus. Pino prontamente ha pensato ad un suo amico artigiano al quale ha proposto l’idea di creare questi flauti globulari gemelli. Dall’inforatura è risultato che un bubbù avesse un foro interno leggermente diverso dall’altro quasi fossero due gemelli eterozigoti e da questo sono nate nuove possibilità esecutive. Così, ha preso vita “Albarelli”.

Quali sono state le difficoltà che avete affrontato nel far dialogare strumenti così diversi come quelli che suonate?
Pino Basile - Non abbiamo avuto difficoltà, perché abbiamo oltrepassato quei filtri mentali, fatti di retaggi musicali precostruiti e di cliché stilistici e commerciali.
Giuseppe Doronzo - Quello che ha reso più semplice il dialogo fra i nostri strumenti musicali è il nostro comune punto di vista delle cose. Del resto, per me è stato importante capire quali fossero le possibilità esecutive del cupaphon in relazione al sax baritono, considerando la tecnica sofisticata e la sensibilità di Pino. Durante le prove, ci siamo ritagliati dei momenti dedicati alle sperimentazioni, fin quando abbiamo 
definito strumentazione e arrangiamenti.

Soffermiamoci, ora, sul cupaphon, quali sono i segreti di questo particolare set di cupa cupa?
Pino Basile - Il cupaphone potrebbe essere definito come uno strumento effimero, ma in realtà sta pian piano diventando “stabile”. Si tratta di un set di diverse cupa cupa modificate nel senso che, negli anni, partendo dalla versione tradizionale del tamburo a frizione delle mie parti, ho sviluppato un modello accordabile in cui ogni cupa cupa ha una sua nota e messe insieme diventano un vero e proprio set, acquisendo una dimensione melodica. Non ho inventato la cupa cupa che, come è noto, è uno strumento antichissimo e diffuso in varie parti del globo, ne ho semplicemente sviluppato le potenzialità trasformandolo da tamburo a frizione a suono non determinato a tamburo a frizione a suono determinato. Ne sono molto orgoglioso ancor più perché ho trovato grande attenzione in musicisti e compositori che, come Giuseppe, stanno cominciando a creare una letteratura dedicata a questo strumento. Le registrazioni del disco di “Aterraterr” ne sono una preziosa testimonianza. 

Parlando dei timbri che caratterizzano il disco, Giuseppe ha citato i bubbù. Quali sono le potenzialità espressive di questo strumento?
Pino Basile - Lavorando a questo disco, c’è stato soprattutto il desiderio di esplorare e, in particolare, abbiamo fatto suonare insieme i bubbù, flauti globulari non temperati dell’area murgiana che non sono mai stati considerati dei veri e propri strumenti, perché non intonati e non utilizzabili come, ad esempio accade, con le più note ocarine di Budrio. 
Addirittura, spesso sono venduti come souvenir nell’area tra Matera, Altamura e Gravina in Puglia. I bubbù che abbiamo utilizzato, invece, hanno un potenziale sonoro tutto da scoprire, perché non è solo l’intonazione a fare la differenza nella musica. Nel disco suoniamo esemplari costruiti dall’amico e artista della ceramica Paolo Lorusso di Altamura e dal grande Beniamino Loglisci di Gravina venuto a mancare qualche anno fa purtroppo.

Quali sono le ispirazioni alla base dei brani?
Giuseppe Doronzo - In “Aterraterr” ci sono forti connessioni sia con il territorio agro-pastorale che con quello marittimo della Puglia. C’è un immaginario sonoro connesso ai nostri luoghi d’origine, Barletta e Altamura. Allo stesso tempo c’è stato, anche, un lavoro sulla qualità timbrica e ritmica dei dialetti e sulla ritualità del gesto di mestieri ormai più o meno obsoleti. La ricerca sonora è anche ispirata agli scritti di Ernesto De Martino, al Trecento Italiano e all’improvvisazione non idiomatica.
Pino Basile - Per quanto riguarda i brani di mia composizione, sono nati grazie a tanta voglia di giocare ed esplorare. Un gioco che in realtà per me è una sorta di rituale per vivere per qualche istante in un mondo senza tempo e senza filtri di ogni tipo.

Tra i brani più suggestivi c'è certamente l'iniziale "Favo", un brano dalla trama misteriosa...
Giuseppe Doronzo - Il “Favo” è ispirato alle api, al loro modo di vivere. Anche il design del disco è ispirato al Favo e a questo elemento in natura. La cera in stretta connessione con il favo ha una connotazione legata all’alchimia che si creava nella bottega dello speziale nel medioevo, quando venivano manipolate le spezie e la cera per creare candele e medicine. Il resto è suono.

Molto intrigante è anche “Maggese” in cui giganteggia il sax di Giuseppe Doronzo...
Pino Basile - Parliamo di un’altra intuizione compositiva di assoluta originalità di Giuseppe visto gli strumenti accostati: un sax baritono che dialoga con un set di cupa cupe intonate, in cui l’atmosfera di sospensione e di concentrazione che vivo nel suonarlo è una sensazione molto speciale. 
Giuseppe Doronzo -
Pensavo a questa composizione più come ad un corole, un momento riflessivo, di dialogo interiore fra sax baritono e le cupe del cupaphon, pensate come singole voci. Un momento che chiude un cerchio. È uno di quei brani che credo rallenti la percezione del tempo. 

"Katsikodromos" invece volge lo sguardo all'Oriente con il dialogo tra ney anban e tamburo...
Giuseppe Doronzo - “Katsikodromos” evoca le strade tortuose che si trovano nelle isole greche, percorse prevalentemente da capre. In questo brano ci è piaciuto pensare al viaggio di una capra dall’ Oriente, dalla Persia, passando per la Turchia, Grecia, i Balcani, fino ad arrivare in Puglia. Nel frattempo, questo animale si carica di significati e di suono. 

Come si evolverà sul palco il progetto Aterraterr?
Giuseppe Doronzo - Ci sono molti riti sonori in una performance “Aterraterr”. Il gioco con lo spazio, l’ironia e la ricerca sonora. Con “Aterraterr “avremo modo di creare un momento di raccolta sociale, culturale, attorno a suoni e oggetti poco comuni nel panorama musicale.
Pino Basile - Lo scopriremo strada facendo, sicuramente, e speriamo di averne tante di occasioni, condividere questo processo sonoro e performativo con il pubblico ci aiuterà molto ad acquisire consapevolezza. 

Quali sono i vostri progetti futuri?
Pino Basile - È un momento delicato per quanto riguarda il panorama musicale e culturale in generale, e ciò condiziona non poco. Per fortuna, fino ad ora, non è mai mancata la voglia di esplorare nuovi linguaggi e possibilità espressive, provando a non dare mai nulla per scontato. 
Sicuramente con “Aterraterr” proveremo a riempire le occasioni che verranno con incontri e scambi con altri musicisti e rappresentanti di tradizioni e culture non solo pugliesi. Abbiamo appena realizzato questo lavoro discografico ed è il momento di cominciare a condividerlo umanamente ed artisticamente. Stiamo programmando qualcosa di molto molto interessante di cui vi renderemo presto partecipi! Come dicevo, con Giuseppe condividiamo anche l’esperienza di AVA Trio e questo è un momento molto importante per la band, perché in questi giorni siamo in tour in centro-est Europa e, concerto dopo concerto, il progetto cresce liberando energie creative inaspettate.
Giuseppe Doronzo - Oltre a continuare ad esplorare le potenzialità timbriche degli strumenti, vogliamo aprirci ad artisti e musicisti che hanno dedicato la loro vita alla ricerca sonora e culturale, senza compromessi commerciali, alla realtà di minoranze presenti in Puglia come quella Grecanica e quella albanese. In più oltre alla danza vogliamo aprirci all’interazione con il teatro. Vediamo cosa ci riserva il futuro.



Aterraterr – Aterraterr (Tora Records/Aquadia, 2021)

#CONSIGLIATOBLOGFOOLK

Simbolo archetipale dell’eterno ritorno, della rigenerazione ciclica della natura, l’ouroboros è rappresentato come un serpente o un drago che si morde la coda, formando un cerchio senza inizio né fine. Allo stesso modo, Giuseppe Doronzo (sax baritono, ney anban e bubbù) e Pino Basile (tamburi a cornice, cupaphon tamburello e bubbù), nella scelta del nome palindromo “Aterraterr” hanno racchiuso il senso profondo del concept alla base del loro incontro artistico. Nel reiterato ripetersi della parola terra c’è la necessità del ritorno e allo stesso tempo quella del proiettarsi verso il futuro. Partendo dai suoni della tradizione musicale delle Murge, i due musicisti pugliesi hanno dato vita ad un viaggio che attraversa spazio e tempo, dal passato al futuro, facendo incontrare generi e sonorità differenti. In questo senso, la rielaborazione degli strumenti della tradizione come cupa cupa e bubbù, rispettivamente tamburi a frizione e flauti globulari legati al territorio murgiano, ha rappresentato la base di partenza per una esplorazione a tutto campo, sia sotto il profilo timbrico sia da quello melodico, non senza lasciare spazio all’improvvisazione. Le architetture timbriche imprevedibili, così come le intriganti linee melodiche generate dall’incontro tra fiati e percussioni intonate, svelano una profonda consapevolezza del lascito tradizionale a cui si rivolgono con una visione libera, prendendo il largo verso i suoni del Mediterraneo, le avanguardie e la sperimentazione. Ad impreziosire il tutto è la cura riposta nelle ambientazioni sonore che rimandano ai paesaggi delle aree rurali delle Murge, ai suoni della campagna e ai ritmi che scandivano le antiche ritualità. Dopo aver rodato il progetto in duo sul palco, esibendosi in importanti festiva come l’ OCT-Loft Jazz Festival in Cina e il Talos Festival a Ruvo di Puglia, dove nel 2019 hanno presentato il progetto coreografico “Genesi” in collaborazione con la compagnia di danza Menhir di Giulio de Leo nel progetto coreografico Genesi, Giuseppe Doronzo e Pino Basile hanno cristallizzato in studio il loro lavoro, nell’arco di due giorni di sessions, tra i 20 e il 21 ottobre 2020, presso i Sorriso Studios di Bari. Così, ha preso vita il disco omonimo nel quale hanno raccolto otto composizioni inedite che, nel loro insieme, offrono l’occasione per entrare nel vivo della vibrante ispirazione di questo duo atipico. Ad aprire il disco è la suggestiva e misteriosa “Favo” nella quale vengono evocate antiche conoscenze misteriosofiche legate all’alchimia nelle intersezioni tra le linee melodiche del sax di Doronzo e gli intricati ritmi percussivi di Basile. Si prosegue con il duetto di bubbù di “Albarelli” e la brillante “Lauro” in cui sax baritono e cupaphone evocano una danza in crescendo sempre più intensa. La suggestiva “Maggese”, in cui splende il sax di Doronzo, sostenuto dalle ritmiche di Basile, ci introduce alla sequenza con la curiosa “Bubbù Sapiens” e lo sguardo verso Oriente di “Katsikodromos” in cui spicca il timbro inconfondibile del ney anban e il tamburo a cornice che produce una scansione ritmica in contrasto di grande potenza espressiva. I dieci minuti della scorribanda sonora “Strazzavisazz” ci conducono verso i territori del jazz con il sax che si inerpica tra temi che veloci si palesano per poi svanire sul ritmo delle percussioni, ma il vertice del disco arriva con le improvvisazioni libere di “Matematica Campestre” in cui si esplorano diverse soluzioni timbriche prima di lanciarsi nel duetto di bubbù di “Bubbustan” che chiude un disco di grande spessore artistico che non mancherà di incuriosire ed appassionare gli ascoltatori. Nota di colore finale la bella confezione in cartone a forma di esagono, curata da Sarah D’Angelo, che rappresenta un ulteriore elemento di unicità di questo progetto. Il disco è disponibile in vendita su Bandcamp.


Salvatore Esposito

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