“Cais”, di Zé Nigro è illuminato da una delle più potenti voci pernambucane, quella di Alessandra Leão e riannoda il filo con “ACESA”, l’album dalla lunga gestazione pubblicato a fine 2021 a due anni di distanza dall’ipnotico “Macumbas e Catimbós” che vedeva protagoniste voci e percussioni.
Una lettura dei tarocchi le aveva preannunciato: "Il disco sarà fatto con la luce che hai". Alessandra Leão ha preso seriamente quel monito e ne ha tratto il senso del suo nuovo lavoro: “"ACESA" non è necessariamente uno stato di fiamma, un sole di mezzogiorno. È più un’osservazione di quale luce sia accesa in questo momento: un tizzone in mezzo a un campo, quella della luna nella notte, il riverbero di una candela. In definitiva, il disco è un grande invito al movimento, a percepire queste sfumature diverse di chiarezza". Insieme a lei
alle percussioni ci sono Mestre Nico, Guilherme Kastrup, Abuhl Junior, Mauricio Badé e Bruno Prado. Gli strumenti sono quelli tipici dei gruppi che suonano coco e ciranda della regione Mata Norte che attraversa Pernambuco e Paraíba: tamburi suonati con le bacchette (bombo, bombinho, caixa, surdo) e ganzá. Ma c’è anche Caê Rolfsen col suo personale approccio ai synth, specie di rosa dei venti: evitando scelte armoniche dominanti e accordi, a favore di contrappunti, frasi melodiche, linee che vanno a comporre un puzzle dinamico. Ne è nato un album intenso e ben riucito, che trascende i dualismi, fra percussioni e suoni digitali, fra tradizione e modernità. E’ il frutto di un percorso che viene da lontano, da una frequentazione dell’elettronica che già collegava la trilogia di EP “Pedra de sal” (2014), “Aço” (2015) e “Língua” (2015).
L’album raccoglie tredici tracce ed è intersecato ad una serie web in quattordici episodi che si muovono fra gli stati di Pernambuco, Paraiba, São Paulo, interamente disponibile nel canale YouTube della cantante, percussionista e compositrice. In quest’ultima veste ha firmato la maggior parte dei brani, a volte a quattro o sei mani, come nel caso del singolo che ha lanciato l’intero lavoro, “Borda da pele”, scritto in collaborazione con il poeta Micheliny Verunsky e con Caê Rolfsen; e nel caso di “Silêncio da pedra” frutto del lavoro comune con Juliana Godoy. “Já Carminha” è un brano tradizionale arrangiato da Odete de Pilar e il richiamo al repertorio popolare è esplicito anche in “Sombra do dia” che accoglie voci e percussioni del coco “Não vá se enganar com farol da Bahia”, registrato nel 1938 da Mário de Andrade durante la “Missão de Pesquisas Folclóricas” che toccò Pernambuco, Paraíba, Ceará, Maranhão e Pará.
L’album è anche l’occasione per ascoltare alcune delle voci più significative della geografia musicale brasiliana, da contesti “tradizionali” – Filhas de Baracho, Aldeia Ibiramã Kiriri do Acré, Lia de Itamaracá, Mestra Ana do Coco, Odete de Pilar, Mestre Barachinha, Mestra Nice Teles – e da ambiti urbani che a quei contesti guardano con attenzione - Juçara Marçal, Laura Tamiana e Renata Rosa – insieme a musicisti quali Siba, Caçapa, Helder Vasconcelos, Nilton Jr.
A fine dicembre, il lavoro è stato presentato sul palcoscenico del Sesc Pompeia a São Paulo in compagnia di Guilherme Kastrup (percussione e programmazione), Thamires Silveira (sintetizzatori) e Marcelo Cabral (synth bass), oltre ad una visita molto gradita di Mestre Nico alle percussioni.
La composizione più recente, “Pé de baobá”, fa i conti con i troppi lutti causati dal Covid ed è stata composta per Guitinho de Xambá, per poi essere dedicata anche a Leo Arrais, Flavão Oliveira e Letieres Leite.
Alessio Surian
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