Sale – Un eterno inutile presente (Materiali Sonori, 2021)

È un lucido spaccato esistenziale, quello che Sale (al secolo Eugenio Saletti) affresca nel suo “Un eterno, inutile presente”, album che ne segna il ritorno, a distanza di tre anni da quel “L’innocenza dentro di me” che gli valse la cinquina delle Targhe Tenco come miglior opera prima, oltre che le candidature al Premio Bindi ed al Premio De Andrè. Adesso Sale, nel frattempo diplomatosi all’Officina Pasolini, ritorna, scortato da una serie di musicisti di primissimo ordine, fra la sezione ritmica di Martina Bertini e Filippo Schininà, il pianoforte e le tastiere di Seby Burgio, il violino di Erica Scherl, la tromba di Sergio Vitale, le percussioni del grande Arnaldo Vacca ed il violoncello di Giovanna Famulari, con dieci nuove tracce, ben calibrate nel far emergere tutti i riferimenti del nostro. Si comincia con “Aspettando l’arrivo di un’altra canzone” (“E’ poi difficile capire come fare a respirare/ perché vorresti urlare fino a farti male/ E’ poi difficile restare seduti in equilibrio/ quando cerchi di aggrapparti a qualcosa che ti parli/ Lo sai non è così facile sedersi a guardare le ombre/ al tramonto sembrano infinite/ si allungano in terra come i miei pensieri/ che poi sono gli stessi di ieri”), brano che si snoda lungo un languido tappeto di synth ed elettronica, scosso solamente da un delicato pattern ritmico e dai delicati ricami del violoncello. La title- track (“Noi viviamo in un eterno, inutile presente/ ci specchiamo in un vuoto che non sa di niente/ Siamo soli in questo eterno, inutile presente/ e viviamo in un vuoto che non sa di niente”) è scandita dallo strumming di una chitarra acustica, su cui si incastrano alla perfezione i fraseggi della chitarra elettrica ed i delicati contrappunti di pianoforte. Ad aprire “Una canzone” (“Cammino per la strada anche se è chiaro/ che davanti è tutto nero/ ma lo faccio per raggiungere la mia meta/ preferita, te./ E adesso che sto qui, davanti alla tua finestra, canterò/ una canzone che potrà fermare il tempo”), brano scritto e cantato insieme ad Alice Caronna, c’è una morbidissima tromba, scortata dallo strumming della chitarra, da una elastica linea di basso e dagli ostinati ritmici del pianoforte: scuola romana della migliore ispirazione. Il levare reggaeggiante di “Chimica” (“Il tempo è instabile e io sono di passaggio/ Qui tutto è fragile e noi siamo di passaggio/ Siamo figli della chimica che guida le dinamiche/ Siamo pezzi di sinapsi che si incontrano su un taxi/ Quando fa notte”) ci introduce dentro uno degli episodi più interessanti dell’intero lavoro, con una avvolgente linea di basso e lo splendido contraltare climatico creato dalle venature elettroniche e dagli arpeggi di chitarra. “Non ho più voglia” (“Diamoci del tempo per respirare/ Per poi guardarci senza farsi male/ Ho voglia di tornare in quel locale/ dove tante storie sono nate e poi finite”), giro di boa del disco, è sorretta da un malinconico pianoforte, allargato dagli echi di un delicato violoncello. Su “Dammi un minuto” (“Provavo imbarazzo e abbassavo lo sguardo/ e non trovavo più niente/ “Chi mi ha fatto le carte, mi ha chiamato vincente”/ noi cantiamo Francesco mentre il rimmel ti scende/ e scende la notte, e brucia la notte”) a saltare all’orecchio è il tempestoso pattern di batteria del ritornello, coadiuvato dai nervosismi elettrici della chitarra e da una tuonante linea di basso, in un pezzo che profuma di raffinato pop d’autore. Altra linea di basso spettacolare, quasi un workin bass, è quella di “Cambiamenti” (“E restiamo in silenzio ascoltando le nostre ansie/ per quello che accade quando tutto il mondo ci cade giù/ quando giriamo aspettando di trovare un qualcuno / che ci faccia parlare ed anche tanto senza pagare”), canzone colorata dal levare di una chitarra acustica e dagli squarci funkeggianti dell’elettrica. “Ma questo sono io” (“E mi ritrovo a viaggiare completamente solo/ e mi ritrovo a lottare come un guerriero che vuole cambiare/ cambierò il mio mondo in cui sono un alieno/ cambierò il mio modo di essere serio”) ci riporta su atmosfere da ballad, scandite da un intenso incastro fra piano e chitarra acustica, ben squarciato dalle tensioni distorte della chitarra elettrica. Penultimo passaggio di questo album è “Quello che è stato e quello che sarà” (“Un'altra estate è passata adesso/ e un'altra arriverà/ passeranno le stagioni nuove/e passeranno i nuovi amori sapevamo quasi tutto quello che c’era da fare/pensavamo fosse un trucco e invece era un affare/ Che bello perdersi di notte/ che bello ritrovarsi/ e torneremo infine a casa”), giocosa ed interessante commistione fra i colori elettronici dei sintetizzatori e le aperture melodiche della sezione archi e del pianoforte, con una sezione ritmica praticamente perfetta a dinamizzare il tutto. A chiudere il lavoro ci pensa “Deja vu” (“Passano i giorni come il vento/ che ci porta delle nuove sensazioni/ che sentiamo come un deja vu”), col suo raffinato arpeggio di chitarra acustica, contrappuntato da una elegantissima sezione archi e, soprattutto, dai fraseggi di una chitarra suonata col bottleneck. In conclusione, con questo ritorno in studio, Sale si conferma come una delle penne più interessanti della sua generazione, con un indubbio gusto tanto nella scrittura quanto nella composizione. 


Giuseppe Provenzano

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