“Dal momento in cui “Segundo” ha preso forma, ho iniziato a percorrere un sentiero che non ho ancora abbandonato. Ecco perché è così importante per me. Sento che questo è stato il seme di tutto ciò che ho fatto da allora. Ho scoperto il gusto di comporre in tempo reale, il fascino di scartare l'idea stessa di demo, la grazia di documentare questi momenti di ricerca e ritrovamento. Tutto il resto è diventato superfluo”. Così Juana Molina scrive nelle note introduttive alla ristampa di “Segundo”, il suo secondo album in carriera, pubblicato originariamente nel dicembre 2000 dalla Bla Bla (sussidiaria dell’etichetta argentina Fràgil Discos) e ristampato dalla Crammed Disc (distribuito in Italia dalla benemerita etichetta toscana Materiali Sonori) in una speciale versione rimasterizzata dai nastri originali ed impreziosita da un corposo libretto nel quale trova posto il dettagliato racconto del making of, i testi dei brani, e un ricco apparato iconografico con disegni originali e foto inedite. Illuminante per comprendere la genesi del disco è proprio la lettura del booklet, nel quale viene Roque Di Pietro ha ricostruito il lungo e tortuoso percorso che condusse Juana Molina alla pubblicazione di “Segundo”, attraverso le interviste con l’autrice, i musicisti che collaborarono alle session tra cui Ron Aniello, noto per essere il produttore di Bruce Springsteen, e gli interventi di DJ di KCRW Chris Douridas, Laurence Bell della Domino Recording che scoprì l’album ascoltandolo nell’auto di Will Oldham, e David Byrne la invitò ad aprire i concerti del suo tour americano del 2003. Il cammino di Juana Molina verso il secondo disco fu tutto in salita. La sua opera prima “Rara” del 1996 era stata, infatti, un fallimento commerciale e questo, nonostante il supporto della casa discografica e la discreta notorietà di cui godeva, almeno in patria, per i suoi trascorsi televisivi come comica. A peggiorare le cose furono, poi, una serie di date promozionali negli Stati Uniti, dove si ritrovò a suonare nei locali praticamente vuoti. Il risultato poco gratificante dell’esordio, la indusse a scegliere di abbandonare le scene per qualche anno per concentrarsi sul suo approccio alla canzone e mettere meglio a fuoco le sue potenzialità rimaste inespresse. Nell’arco di quattro anni, perseguì con caparbietà il suo progetto alla ricerca di una precisa identità musicale, viaggiando periodicamente tra Argentina e Stati Uniti e confrontandosi con produttori ed etichette discografiche diverse. Alla fine, scelse di restare sé stessa scegliendo in prima persona la direzione da intraprendere, senza condizionamenti esterni. Non casuale fu, infatti, la scelta di farsi carico in prima persona di tutti gli strumenti e di avvalersi di Alejandro Franov (tastiere, programmazione e voce) a cui si aggiungono gli interventi di John Baxter (chitarra), Ron Aiello (dulcimer, sampling, percussioni e sequencer), David Miner (basso), e Fernando Kabusacki (chitarra). Quando nei negozi argentini arrivò il disco ebbe un buon riscontro, ma il vero successo arrivò nel momento in cui fortunosamente approdò in Giappone dove decollò definitamente. Nel 2003 venne ristampato su scala internazionale dalla Domino e questo le consentì di esibirsi in tutto il mondo e raccogliere una solida base di fan. Riascoltato a distanza di ventuno anni, il disco non ha perso smalto, ma anzi la rimasterizzazione ci consente di cogliere sotto una nuova luce le diverse sfumature che caratterizzano i vari brani. La sua scrittura raffinatamente espressionista, alterna momenti densi di lirismo e spaccati minimalisti quasi ipnotici, il tutto permeato da una particolare cura riposta nelle melodie e nell’approccio vocale. Sotto il profilo degli arrangiamenti tutto questo si sostanzia in un peculiare approccio folktronico che esalta la potenza evocativa dei testi nell’incontro tra chitarre acustiche, elettronica e percussioni. In questo senso, non meno importante è la centralità della voce che le consente tanto di inerpicarsi attraverso armonie sofisticate, quanto l’utilizzo come vero e proprio strumento aggiunto. Aperto dalle poliritmie africane della straniante “Martin Ferro” il disco ci regala una serie di piccole perle come la cantilena jazzy “El Desconfiado”, la ninna nanna folkie “El Pastor Mentiroso”, la sinuosa atmosfera lounge di “Quien?” e il solare pop di “Que Llueva!” per giungere alla oscura “Misterio Uruguayo” e lo spiazzante strumentale “Medlong”. Tra i vertici del disco meritano una citazione il trascinante shuffle di “El Perro”, la travolgente danza di “Mantra Del Bicho Feo e la jam electro-blues della conclusiva “Sonamos”. Insomma, per quanti hanno apprezzato “Wed 21” del 2013 e lo splendido “Halo” del 2018, l’ascolto di “Segundo” sarà una bella sorpresa, ma è anche l’occasione per scoprire un artista di grande livello che meriterebbe una ancor più ampia visibilità.
Salvatore Esposito
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