Flo – Brave Ragazze (SoundFly/SELF, 2022)

#BF-CHOICE

Si veste da interprete Flo, scavando in storie intime e universali per plasmare le canzoni di “Brave Ragazze”,  album prodotto dall’etichetta napoletana SoundFly e registrato all’Auditorium Novecento, storica sala già tempio sonico dell’etichetta Phonotype.  Racconta la cantante e autrice napoletana: “Ho dovuto scoprire il tutto di qualcun altro, riempirlo di un significato mio, di una mia verità”. Cambiare punto di vista appartiene al carattere artistico della musicista napoletana, è uno dei grandi pregi nella scrittura delle sue canzoni-storie. “Brave Ragazze” si ispira a donne e artiste coraggiose, straordinarie e umili, resistenti e semplici al contempo, divise tra grande popolarità e immense solitudini. Punti di vista femminili che devono essere parte della nostra memoria, che è necessario strappare all’oblio.  Quello di “Brave Ragazze” è un racconto completato da quattro brani originali, composti dalla stessa cantante, e da un tradizionale salentino.  La dimensione acustica, essenziale ma raffinata segna l’album, in cui Flo è insieme a Cristiano Califano (chitarra classica, chitarra battente e viola da gamba) e Michele Maione (tamburi a cornice, percussioni, produzione). Poi ci sono due ospiti eccellenti provenienti da differenti mondi musicali. Approfondiamo con Flo le motivazioni creative di questo lavoro, che abbiamo scelto come disco del mese di febbraio. C.D.R.

“Brave Ragazze” è il tuo primo disco da interprete. Come vivi questa esperienza non del tutto nuova se pensiamo al passato, ma senz’altro più profonda e ragionata? 
Questa è sicuramente un’esperienza più sentita rispetto al passato. Prima d’ora quando sono stata interprete, ero al fianco di musicisti più grandi ed esperti di me. Ero protetta. Adesso la responsabilità è tutta mia; a partire dalla scelta delle canzoni, alle traduzioni in italiano, fino ad arrivare alle storie che ho scelto di raccontare durante i concerti. Questa è un’esperienza che mi coinvolge pienamente. L’ho sentita come un’esigenza forte, travolgente e, in parte, anche ragionata. Dico in parte perché io ragiono sempre a posteriori: prima mi butto, mi lascio trascinare e dopo razionalizzo e metto in ordine.

Di “Brave Ragazze”, di donne coraggiose, dalle blues women del primo Novecento ad altre donne indomite dall’America Latina fino alle nostre latitudini ce ne sono molte: come e perché le hai scelte?
Sono state le loro storie a catturarmi, prima ancora delle canzoni. Vite grandiose, sfolgoranti, ma anche tragiche e piene di solitudine. Per prima cosa volevo raccontare il loro coraggio, la loro capacità di essere “avanti”, e dopo ho scelto le canzoni che potevano appartenermi. Ce ne sono molte altre di ‘Brave Ragazze’, infatti vorrei che questo fosse il primo di una serie di dischi dedicata alla memoria delle donne, alle artiste che non sono state celebrate come meritano. Speriamo di farlo noi, almeno in piccola parte.

È un disco nato dalla condizione di emergenza o un disco la cui idea precede la situazione che viviamo?
L’idea di questo disco nasce qualche anno fa; nei quaderni che mi porto sempre dietro, soprattutto in viaggio, avevo raccolto tantissime storie, pensieri, appunti. Aspettavo il tempo giusto per metterci le mani e il primo lockdown è stato, ahinoi, perfetto per lavorare in profondità. Questo è un lavoro che aveva bisogno di un tempo lungo, di una concentrazione e di una delicatezza che non potevo avere correndo su e giù per l’Italia a fare concerti. C’era bisogno di un momento di solitudine e di concentrazione per fare, sebbene il sentimento del disco dentro di me era chiaro ed era nato molto prima.

Personalità complesse, modi diversi di cantare la propria vita, le aspirazioni, le sofferenze: come hai affrontato questa pluralità di prospettive?
Cambiare punto di vista appartiene al mio carattere; credo di avere il pregio di sapermi mettere nei panni degli altri. Questa cosa l’ho imparata in teatro. Quando affronto un testo – che  sia musicale o teatrale – non ho mai pregiudizi, cerco di essere neutrale, sgombra. Parto da lì per costruire l’interpretazione. E in più osservo molto gli altri. Quando si osservano gli altri, le scelte che fanno, le scelte che non fanno, le loro vite, ci trovi sempre qualcosa che ti appartiene. È osservando gli altri che riconosciamo noi stessi e quindi osservare con attenzione, trovare quel qualcosa che ti riguarda, ti aiuta molto nell’interpretazione, perché a quel punto quando canti o quando reciti sei veramente tu il protagonista di quell'emozione.

Conosciamone alcune di queste donne…
La prima tra le ‘Brave Ragazze’ è Leda Valladares, cantante e ricercatrice del Tucuman, che con il suo registratore negli anni ’40, raccoglieva per campagne e città, canzoni antiche, urla solitarie e riti che andavano via via scomparendo. L’ironia macabra della sorte la condannò a finire i suoi giorni in una clinica per malati di Alzheimer. Una vita spesa per la memoria che finisce senza più ricordi. Poi c’è Gilda Mignonette, la cantante napoletana più famosa d’America, la Regina degli emigranti. Morì in mare, durante la traversata da New York a Napoli, dopo aver espresso il desiderio di morire nella propria amata città natale. Sul certificato di morte vennero riportate le coordinate del punto in cui si spense. Migrante per sempre. Non poteva mancare Gabriella Ferri, la giovane di Testaccio, ironica e sofferente, che diventa “Mamma Roma”. Una storia che va dal folklore alle notti brave di New York, dalla televisione ad un rapporto difficile con la musica e col pubblico. Aveva cantato in italiano “Grazias a la vida” di Violeta Parra, un’altra di queste ‘Brave ragazze’. Violeta è un’artista tutta sacrificio e passione, Una passione feconda e dolorosa, che la porterà dalle strade di Santiago fino al Louvre di Parigi e oltre. Un’artista senza tempo, assolutamente indimenticabile. Poi c’è La Lupe, l’artista cubana con ‘el diablo en el cuerpo’, amata da Hemingway, Tennessee Williams, Marlon Brando. Nella sua vita c’è l’esilio, qualcuno dice le droghe, l’alcol. Il suo successo in America fu enorme, poi l’oblio in la sedia a rotelle, la vita da senza tetto e una crociata evangelica.


Ti sei confrontata con queste donne in qualche misura? Intendo dire, quanto c’è di autobiografico?
In ognuna di queste donne ho trovato qualcosa di me, naturalmente. Ho ritrovato nell’amore di Leda Valladares per il recupero della memoria, la mia stessa curiosità di andare a pescare nel passato e nella musica popolare l’ispirazione per scrivere delle cose nuove. Ho ritrovato in Gilda Mignonette il mio stesso amore per Napoli; il suo desiderio irrealizzato di essere sepolta a Napoli mi ha colpito molto. Ho ritrovato nella sofferenza di Gabriella Ferri, in piccolo quello che sentiamo anche noi artisti, quando ogni giorno dobbiamo confrontarci con la realtà, quando ci rendiamo conto che ogni giorno c'è una nuova partita da giocare e bisogna essere continuamente a caccia di ispirazione, avere i nervi saldi e l'animo in equilibrio. C’è molto di autobiografico in questo lavoro, nella misura in ognuna di queste donne c'è una piccola parte di me e, credo, di tutte le donne.

Come prendono forma le tue canzoni sul piano narrativo?
Le mie canzoni somigliano molto ad una ricetta di cucina, nel senso che io scelgo l’ingrediente principale. Le spezie e tutto quello che serve per insaporire il piatto, viene dopo. Quando scrivo una canzone ho in mente il sentimento che voglio comunicare, la temperatura. Le parole, la struttura, vengono fuori dopo, quando comincio a canticchiarla. La prima cosa è il messaggio di fondo che mi piacerebbe trasmettere. 

Come si è indirizzato in questi anni il tuo lavoro sulla voce e l'interpretazione?
Quando ho cominciato a cantare venivo da un percorso di studi in canto lirico, quindi il mio interesse era innanzitutto rivolto alla pulizia vocale, al tecnicismo, al virtuosismo. Ero più giovane, inesperta e ovviamente avevo poche cose da raccontare. Con gli anni mi sono allontanata da questa visione e oggi mi interessa molto di più il carattere, l’interpretazione, il movimento, il corpo. Ho smesso di preoccuparmi della tecnica – naturalmente ho studiato e l’ho acquisita, perché è chiaro che sul palcoscenico ci devi andare con i mezzi giusti e con la consapevolezza – però oggi passo molto più tempo a leggere, a guardare i film, ad andare a teatro, che a fare vocalizzi. Sicuramente il lavoro in teatro con registi internazionali, di grande spessore umano e artistico, mi ha dato tantissima sicurezza nel corpo, nella gestualità, nel modo di affrontare il pubblico. A questo proposito una menzione di merito la devo a Daniele Sepe, perché durante i cinque anni in cui ho lavorato con lui, l’ho visto relazionarsi al pubblico di un club, di un grande festival o di un teatro convenzionale e questo mi ha insegnato che non puoi essere uguale ogni sera. Il contesto cambia e l’ampiezza del tuo gesto artistico si deve declinare a seconda di dove sei, del pubblico che hai davanti e delle cose che vuoi dire e di come le vuoi dire.

Dal punto di vista musicale come avete approcciato il lavoro sugli arrangiamenti dei brani?
Gli arrangiamenti di questo disco li ha scritti Michele Maione, polistrumentista e percussionista, grande conoscitore della tradizione, non soltanto campana ma della musica popolare internazionale. Ci siamo confrontati molto su quella che doveva essere l’atmosfera che volevamo restituire attraverso questi rimaneggiamenti. Io ho raccontato a Michele le sensazioni e le emozioni che avrei voluto far trapelare da ogni canzone, ma il lavoro tecnico di scrittura è tutto ad opera di Michele. Ci siamo detti che non avremmo avuto limiti, se non il rispetto della memoria di queste grandi artiste, l’umiltà e la delicatezza nell’affrontare le loro storie. Ci siamo detti di non avere paura, di osare e di metterci del nostro. Del resto non tradire la tradizione vuol dire lasciarla morire. 

Al di là delle scelte dettate dalle condizioni della crisi politico-sanitaria, può essere questo l’assetto musicale più consono?
Credo che questo assetto – con Michele ai tamburi a cornice e Cristiano Califano alle corde – sia quello giusto. Il disco è nato così, musicalmente e umanamente.  C’è innanzitutto l’incontro di persone e questo per me è più importanti di qualunque tipo di assetto si possa immaginare sul palco; inoltre il live di “Brave ragazze” è uno spettacolo molto intimo, con uno spazio dedicato al racconto delle storie e quindi la dimensione acustica e raccolta credo sia è la dimensione ideale per portarlo in giro.

I tuoi tre inediti, “Boccamara”, “Furtunata” e “Maddalena” raccontano facce differenti della 
femminilità: ce ne parli?
I tre inediti completano la narrazione di questo femminile, che ho voluto raccontare. “Boccamara” è stata definita da Peppe Servillo, che la canta insieme a me, un ‘duetto felino’. Credo sia stato l’andamento sinuoso di questo pezzo a suggerirgli la definizione. È una canzone smargiassa, una canzone impertinente, cantata da una donna ferita e amareggiata al punto di diventare velenosa come un serpente.  Maddalena racconta la storia di una donna nata maschio, mentre “Furtunata” è la canzone dedicata alla storia d’amore più grande ci sia, cioè quella tra i genitori adottivi e i loro figli. Persone che non si conoscono, ma che si appartengono da posti lontanissimi del mondo. È una canzone ispirata alla novella di Sepulveda, “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”, una metafora tenerissima di questa meravigliosa avventura che è l’adozione.

C’è anche tradizionale salentino “Ferma Zitella”: cosa ti ha preso di questo motivo?
Io sono molto legata alla tradizione salentina e del Sud Italia in generale, essendo napoletana. Ho scelto “Ferma Zitella” perché mi piaceva l’idea che in questo disco ci fosse un brano senza autore, arrivato a noi misteriosamente, soltanto attraverso la trasmissione orale, quasi fosse un’invocazione che non principio, che sta lì da sempre, dedicata a tutte le donne, un’esortazione a tutte le zitelle, cioè alle donne senza un uomo accanto, ad aprire la porta e andare fuori.  Il racconto delle ‘Brave Ragazze’ in carne ed ossa, parte da lì.

Hai già accennato a uno dei due ospiti di gran pregio, Peppe Servillo, l’altro è Paolo Angeli. Perché loro?
Ho scelto Peppe Servillo perché credo che sia una tra le voci – se non la voce – più espressive della musica italiana e anche perché il concerto di Peppe Servillo è stato uno dei primi che ho visto in vita mia. Ero una bambina e mi emozionò tantissimo, lo ricordo come se fosse ieri: il suo modo di agire sul palco, le sue facce, le sue movenze, la sua sicurezza e ricordo che provai il desiderio di essere anch’io come lui un giorno. Mentre Paolo Angeli, perché è un musicista che ammiro nel vero senso della parola, più che stimo. L’ho scoperto qualche anno fa a Berchidda al Time in Jazz di Paolo Fresu e il suo concerto è stato uno dei momenti musicali più belli cui ho assistito nella mia vita. Quando ho scritto “Maddalena” ho pensato che avevo finalmente la giusta canzone per potermi presentare a lui e chiedergli di impreziosirla.

Hai ripreso una delle tue canzoni più potenti: le “Malamaritate”? Come hai affrontato narrativamente un tema non facile, senza cadere nella retorica o nei cliché?
Il pericolo della retorica è un pericolo che io sento sempre in agguato; ogni volta che scrivo una canzone cerco sempre di stare molto lontana dalle frasi ad effetto e dalle soluzioni più facili. Non mi fermo quasi mai alla prima parola che mi viene in testa, cerco di spostarmi, di guardare le cose da un altro punto di vista proprio per non incarnare la versione più diffusa della realtà, quello che verrebbe in mente a tutti da un’osservazione superficiale. Però questa canzone l’ho scritta nel 2015 quando questi problemi non me li ponevo neppure, scrivevo e basta. 
Mi hanno raccontato la storia delle “Malemaritate” e in treno, di ritorno da Firenze l’ho scritta. È una di quelle canzoni che sono venute fuori da sole.

Parlavamo di live, un altro tuo progetto live è “Racconti Mediterranei”? Di che si tratta?
“Racconti Mediterranei” è il mio concerto in quartetto. Coinvolge Davide Costagliola al fender, Federico Luongo alla chitarra e ancora una volta Michele Maione alle percussioni. La scaletta attraversa i miei cinque dischi, pescando tutte le canzoni che riguardano minori, poco note, che hanno per protagonisti le città di mare e le persone che le vivono. Il sound è molto mediterraneo, world, con delle incursioni musicali jazzistiche, ma al centro c’è sempre la parola e il racconto.

Hai già altro per la testa? 
Sto lavorando ad un nuovo progetto, ma sono in fase di meravigliosa confusione creativa. È ancora troppo presto per parlarne.


Ciro De Rosa e Salvatore Esposito

Flo – Brave Ragazze (SoundFly/SELF, 2022)
Cantante di assoluto talento e soprattutto raffinata cantautrice, Flo vanta un lungo percorso artistico e formativo, speso tra musica e teatro (da Lino Cannavacciuolo al musical “C’era una volta…Scugnizzi”, fino al teatro di Davide Iodice) e una fortunata collaborazione al fianco di Daniele Sepe che, a buon diritto, può essere considerato non solo il suo maestro, ma anche colui che prima di tutti ne ha intuito le straordinarie potenzialità. A partire dal debutto solista “D'amore e di altre cose irreversibili” del 2013, l’artista napoletana ha dato vita ad un percorso artistico tutto in crescendo in cui ci ha regalato dischi pregevoli come “Il mese del rosario”, “La mentirosa” e il più recente “31Salvitutti”. A distanza di poco più di un anno da quest’ultimo, la ritroviamo con “Brave Ragazze” album che, per la prima volta, la vede vestire i panni di interprete, facendo rivivere le vicende di donne e di artiste straordinarie, ritratti in musica di spiriti coraggiosi ed indomabili, istantanee di grande suggestione in cui il successo spesso fa rima con solitudine. Ispirato dalla lettura dei racconti di Anna Banti raccolti in “Le donne muoiono” del 1952, il disco mette in fila dieci brani tra inediti e riletture che, nel loro insieme, riannodano fili recisi dal tempo riportandoci alla memoria donne esemplari ora attraverso canzoni autografe che passano dalla sua vibrante sensibilità compositiva, ora interpretandone brani ad esse legati. Prodotto con Michele Maione (arrangiamenti, tamburi a cornice e percussioni) e inciso con il contributo di Cristiano Califano (chitarra classica, chitarra battente e viola da gamba), il disco si apre con due intensi brani autografi, la splendida “Boccamara” cantata in duetto con Peppe Servillo, e l’intensa “Furtunata” a cui è affidata la toccante storia di una madre adottiva. Dalle trame jazzy della sinuosa “Gran Tirana” si staglia la figura leggendaria de La Lupe, cantante cubana amata da Ernest Hemingway, Tennessee Williams e Marlin Brando, e la cui esistenza fu segnata dall’esilio negli Stati Uniti dove trovò il successo, ma poi la droga e l’alcol la condussero all’oblio di una vita da senza tetto in sedia a rotelle. Uno dei vertici del disco è la struggente “Maddalena” in cui spicca la chitarra diciotto corde di Paolo Angeli e che racconta la storia di una prostituta transgender messicana. Se la trascinante versione in crescendo di “Maldigo del alto cielo” arriva dal repertorio di Violeta Parra, “Milonga con sauces” è la riscrittura in italiano del brano omonimo, tratto dal songbook di Leda Valladares, cantante e ricercatrice del Tucuman, che negli anni Quaranta condusse una campagna di registrazioni sul campo per riprendere i canti dei “descamisados”, salvandoli per sempre dall’oblio. Il destino beffardo volle che la sua mirabile esistenza terminasse in una clinica per malati di Alzheimer. L’incontro acustico del tradizionale salentino “Ferma Zitella” ci conduce a “Me voi pe' te” di Gabriella Ferri, un inno alla libertà e all’indipendenza delle donne che Flo rilegge con ironia e trasporto e nella quale fa capolino un omaggio a Nino Rota con una citazione della colonna sonora di “Amarcord” .“Connola senza mamma” di Gilda Mignonetti, cantante partenopea  quasi sconosciuta a Napoli, ma celebre tra gli emigranti italiani negli Stati Uniti e che, morì in mare durante una traversata da New York a Napoli. Chiude il disco “Malemaritate”, già ascolta su “Il mese del rosario” e qui proposta in una travolgente versione acustica per corde e percussioni. “Brave ragazze” è, dunque, un album di grande spessore, un lavoro profondo ed ispirato, una perla preziosa che svetta nel mare magnum della canzone d’autore al femminile.


Salvatore Esposito

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