Francesca Corrias & Sunflower – De Diora (S’Ard/JazzIn’Sardegna/Egea, 2021)

Cantante, musicista, compositrice e didatta Francesca Corrias vanta un articolato percorso formativo speso tra gli studi di violino e solfeggio presso il Conservatorio di Cagliari e numerosi seminari e lezioni in ambito jazz tenuti, tra gli altri, da Paolo Fresu, Maria Pia De Vito, Tino Tracanna, Airto Moreira, Uri Caine e David Linx. Nel 2008 ha dato alle stampe “Frattale”, opera prima del progetto Sunflower ovvero Filippo Mundula (contrabbasso), Pierpaolo Frailis (batteria) e Sandro Mura (piano) a cui si aggiungeva qualche ospite ad arricchire una bella raccolta di brani cantati in inglese, italiano e portoghese, nella quale le sonorità del jazz contemporaneo incrociavano suoni e ritmi world. Quattro anni dopo, nel 2012 è la volta di “Songshine” che segna qualche cambiamento di line-up nei Sunflower con l’ingresso di Stefano D’Anna e Alessandro Di Liberto, ed amplia il raggio della ricerca sonora incrociando linguaggi musicali differenti. All’attività artistica, Francesca Corrias ha affiancato anche quella didattica con la cattedra di canto jazz presso il Conservatorio di Cagliari e i seminari tenuti nel corso di Nuoro Jazz. La tensione costante verso l’esplorazione di nuovi territori musicali, ha condotto Francesca Corrias ad intraprendere, parallelamente, un nuovo cammino con il progetto Roundella con il quale ha inciso “Biography” nel 2015 e il più recente “Mind The Loop Of Mind” nel quale soul, R&B, rap e new funk incrociano il jazz contemporaneo e la black music americana. 
A breve distanza da quest’ultimo arriva “De Diora” album completamente cantato in limba sarda e che segna il ritorno dei Sunflower nella formazione originaria. Abbiamo intervistato Francesca Corrias per ripercorrere insieme a lei il suo cammino artistico e soffermarci su questo nuovo lavoro. 

Partiamo da lontano, ripercorrendo la tua formazione musicale che ti ha condotto dal 2009 all’insegnamento del canto jazz presso il Conservatorio di Cagliari…
La mia formazione musicale comincia ben prima, a partire dai miei inizi alle Scuole medie del Conservatorio di Cagliari, dove ho studiato violino e mi sono innamorata del solfeggio cantato! In seguito, ho seguito un percorso prevalentemente da autodidatta, imparando da sola a suonare il piano e la chitarra. Dopo l’incontro con il jazz ho frequentato numerosi seminari e lezioni con alcuni tra i più grandi maestri di questa musica. Dal 2009 la mia formazione è stata molto sul campo, ma continuo a studiare ancora oggi, sia per preparare le lezioni che per ottenere dal mio ‘strumento’ esattamente ciò che ho in mente. 

Dal punto di vista prettamente artistico quali sono i tuoi punti di riferimento musicali e i tuoi numi tutelari? 
Io sono nata nell’anno in cui Stevie Wonder pubblicava “Songs in the Key of life”. Quindi mi ritengo una bilancia, ascendente Stevie Wonder! Ho imparato l’inglese con i Queen e i Beatles, da entrambi ho imparato come una canzone può virare inaspettatamente e cambiare direzione. Molto più tardi ho conosciuto il jazz e la mia vita è cambiata. Tante stelle polari, una su tutte Ella Fitzgerald. 

Hai debuttato discograficamente nel 2008 con “Frattale” inciso con il trio Sunflower e che sintetizzava le tue passioni per il jazz contemporaneo e i ritmi world con particolare riferimento alla musica brasiliana. Quanto è stato importante dal punto di vista formativo questa tua opera prima.
Ovviamente molto. L’album era nato in maniera molto naturale, mettendo insieme composizioni di tutta la band, ma quello che ne nacque fu un sound molto personale, a mio avviso molto moderno, frutto di tante influenze che ognuno di noi portava nel gruppo. Il lavoro in studio è stata una vera scuola. Abbiamo dato la forma ai brani insieme al nostro produttore Michele Palmas e da lui abbiamo imparato tante cose.

Nel 2012 è arrivato “Songhine” realizzato ancora con Sunflower ma in una line-up diversa. Anche in questo caso il disco si muove attraverso coordinate sonore e linguaggi differenti. Rispetto all’esordio quello che risalta è sicuramente una diversa maturità e consapevolezza. Come giudichi questo lavoro a distanza di quasi dieci anni? 
Questo disco per me è una vera perla. Adoro ognuno dei pezzi che lo compongono e penso che non sia stato ascoltato abbastanza. È un tributo alla canzone e al potere che essa ha di risvegliare le coscienze, di unire le persone con il linguaggio universale della melodia. I miei testi impreziosiscono le già meravigliose composizioni di Alessandro Di Liberto, Stefano D’Anna e Filippo Mundula. 

Ci puoi raccontare la tua esperienza con il progetto Roundella? Quanto ti ha arricchito esplorare il jazz nelle intersezioni con la black music: soul e R&B ma anche rap e new funk? 
Roundella è un progetto a cui io tengo moltissimo con cui appena pubblicato il secondo disco in coproduzione con S’Ard Music e distribuito da Egea, “Mind the loop of Mind”. Tutto si è creato in maniera molto spontanea anche qui, mettendo insieme suggestioni di mondi musicali diversi avendo come obiettivo il far “rotolare”, fluire la musica. Insieme a Gianrico Manca, Filippo Mundula e Mauro Laconi, con cui il lavoro di scrittura dei pezzi è sempre più sinergico, si è unito a noi il grande pianista e arrangiatore Luca Mannutza, che ha coordinato tutta la fase dell’arrangiamento dei brani. 
 
Come si è evoluto il tuo percorso di ricerca sulla voce in questi anni? 
Dal punto di vista dello studio della voce io sono completamente autodidatta. Ma questo non vuole certo dire che io non studi! Nonostante abbia imparato molto di quello che so dai dischi ho dovuto e voluto intraprendere un percorso di ricerca sulla mia voce, a partire dalla lettura di libri e articoli sull’argomento fino a seguire seminari e corsi. Ovviamente il lavoro sul proprio strumento è sempre “ in progress”, ma devo dire che rispetto anche solo a dieci anni fa, grazie a questi studi ho un controllo sulla mia voce molto maggiore. 


Veniamo a “De Diora”, il nuovo album che rappresenta una piccola rivoluzione copernicana nella tua carriera. Se musicalmente le sonorità sono permeate dalla tua visione del jazz e dalle tue passioni, i testi in campidanese sono la vera novità che segna, da questo punto di vista, il tuo ritorno a casa, riappropriandoti delle tue radici. Ci puoi raccontare com’è nato questo disco?
 
La volontà di fare un disco in sardo aleggiava da tanto tempo. Avevo già scritto qualche testo in passato su musiche di Marcella Carboni, per esempio, avevo cantato in sardo nel progetto del sassofonista Gavino Murgia Abba Mama, ma l’idea di un lavoro a mio nome interamente in sardo mi spaventava moltissimo. Così, quando con Filippo, Pierpaolo e Sandro abbiamo iniziato a raccogliere idee musicali per il nuovo disco ho deciso che ci avrei quantomeno provato e che se il suono non mi avesse poi soddisfatto pienamente avrei sempre potuto abbandonare (ancora una volta) l’idea. Le prime bozze invece mi hanno dato coraggio e sono piaciute alle orecchie a me più vicine. Così abbiamo iniziato. 

Quali sono state le ispirazioni alla base dei brani?
Mi piace parlare delle cose che vedo e che mi sono vicine. Il primo brano, che ha poi determinato il mood di tutto il disco, è stato quello che parla di mia nonna. Poi parlo del pane, del vento, dell’amicizia e dell’amore. Un testo è stato scritto dal batterista Pierpaolo Frailis e descrive una danza tra due innamorati dentro un sogno. 

“De Diora” vede protagonista al tuo fianco la nuova line-up ampliata dei Sunflower. Com’è stato lavorare in studio con loro? 
In realtà il Sunflower resta un quartetto. Ci sono però degli ospiti illustri. Il grande Luca Faraone, presente in tre brani e Massimo Ferra presente nel brano di Pierpaolo, ci hanno regalato dei bellissimi suoni di chitarra, un colore di cui sentivamo l’assenza. Poi ci sono i fiati, Marco Argiolas e Matteo Sedda al sax e 
tromba, e infine gli archi con Gianluca Pischedda al violoncello e Olesya Emelyanenko al violino. È stato molto entusiasmante uscire dalla nostra solita formula del quartetto e interagire con questi altri strumentisti. 

Come si è indirizzato il lavoro di Silvano Lobina sugli arrangiamenti del disco? 
Silvano è un grande esperto di world music ma è anche un musicista eclettico che fa ascolti a 360 gradi. È stato quindi l’arrangiatore perfetto per questo disco che dal punto di vista musicale era molto variegato, anche grazie alle composizioni di Filippo e Sandro che sono diverse per stile e influenze. Silvano ha dunque creato un ponte sonoro tra tutte queste idee, attingendo talvolta dalle sonorità calde del mediterraneo con dei bellissimi arrangiamenti di chitarre, fino a portare soluzioni più contemporanee nell’uso degli archi o black nei fiati. 

Quanto è stato determinante nella definizione del sound il contributo dei diversi ospiti? 
Credo moltissimo, in termini di colori e dinamiche. Sono anche fermamente convinta che il quartetto abbia un suono molto personale, ormai riconoscibile. 

Nel disco è presente un omaggio a Djavan. Come è nato l’amore per la musica brasiliana?
La musica brasiliana è una delle prime musiche che io ho incontrato nella mia vita, quando ero veramente piccola mio zio Toto, che viveva tra l’Italia e il Brasile, portava coloratissimi souvenirs e anche tanta musica. Mio padre poi, chitarrista e cantante, adorava Vinicius e Toquinho; quindi, io dai primi anni ho potuto assaporare le canzoni brasiliane. Djavan, insieme a Chico Buarque e Caetano Veloso è uno dei miei compositori preferiti e così, anziché tradurre pedissequamente la sua canzone l’ho voluta trasformare in una storia al femminile e cosi Milagreiro (l’uomo dei miracoli) è diventato “Sa Mainargia”, cioè colei che fa sa meixina.

Hai già proposto in concerto i brani di “De Diora”. Quali sensazioni hai provato nel cantare nella tua lingua? 
È una meravigliosa sensazione. Mi sembra di averlo fatto sempre e mi sento sempre più a mio agio. Mi sento anche molto tranquilla perché ad accompagnarmi in questo lavoro di scrittura di testi in sardo, ma 
anche nella pronuncia ho avuto una maestra eccellente, Maria Gabriella Ledda, esperta di lingua sarda, con una conoscenza sconfinata della nostra storia e della nostra cultura, che mi ha insegnato tantissime cose e mi ha aiutato a ricordare parole che avevo dimenticato. 

Concludendo, ad accompagnare l’uscita del disco è stato il videoclip di “Pepina” e in cantiere ci sono anche gli altri videoclip realizzati per tutti i brani che, in sequenza, comporranno uno short movie. Com’è nata questa idea? 
È nata da Michele Palmas, nostro produttore e direttore artistico. L’idea è quella che io attraversi una porta, un portale magico che mi proietta in tanti mondi diversi, che sono poi i mondi delle singole canzoni. Il risultato finale sarà quindi un piccolo viaggio nei dieci mondi sonori che compongono questo album.


Francesca Corrias & Sunflower – De Diora (S’ard/JazzIn’Sardegna/Egea, 2021)
La riscoperta delle proprie radici e con esse il senso di appartenenza ad una terra e ad una tradizione profonda, rappresenta per un artista un momento centrale del proprio cammino e lo è ancor di più se questo momento giunge a corollario di un articolato insieme di esperienze in ambiti differenti. Una sfida ulteriore consiste, poi, nell’incrociare tutte le esperienze stratificatesi nel tempo e ciò a cui si è tornati. E’ il caso di Francesca Corrias che, a undici anni dalla pubblicazione di “Frattale”, opera prima del quartetto Sunflower, torna con “De Diora”, album nel quale ritrova i compagni di viaggio Sandro Mura (pianoforte e Rhodes), Filippo Mundula (contrabbasso) e Pierpaolo Frailis (batteria) per dare vita ad un viaggio alla riscoperta della limba sarda campidanesa nell’intreccio con le sonorità del jazz contemporaneo e della world music. A riguardo nelle note di copertina, la cantante sarda scrive: “Ho capito di avere trascurato, in maniera del tutto inconsapevole rifiutato, l'esistenza dentro di me, di un piccolo tesoro, uno scrigno di ricordi tutti in sardo campidanese, nella varietà a metà strada tra Quartu Sant'Elena e Villaspeciosa, che mia nonna materna, Giuseppina Pau, mi ha lasciato in eredità. Ho dovuto solo permettere a questi ricordi, che partono dalla mia primissima infanzia, fatti di meravigliose, divertentissime chiacchierate (tutte bilingue, lei in sardo e io in italiano) di riaffiorare e da quel momento mi sono sentita finalmente legittimata a raccontare delle storie nella lingua che, in fondo, meglio rappresenta le mie origini”. Ad accompagnare Francesca Corrias nella scrittura dei brani in campidanese è stata la scrittrice Maria Gabriela Ledda che ne ha curato la parte poetica e linguistica delle composizioni, mentre Silvano Lobina ha firmato gli arrangiamenti e le partiture per archi e fiati. Ad impreziosire il tutto la presenza degli ospiti Marco Argiolas (sax), Matteo Sedda (tromba), Gianluca Pischedda (violoncello), Olesya Emelyanenko (violino), Luca Faraone (chitarre) Massimo Ferra (chitarra). Prodotto e mixato da Michele Palmas e registrato presso il S'ardStudio di Cagliari il disco mette infila dieci brani, di cui nove originali e un omaggio a Djavan) che, nel loro insieme compongono una sorta di diario personale in musica nato dall’esigenza di raccontarsi, riportando alla luce ricordi d’infanzia, frammenti di passato e storie di vita legate alla propria esistenza. Rispetto ai precedenti lavori con i Sunflower questo nuovo album rimette al centro la semplicità e l’essenzialità di un sound acustico con influenze che si dipanano dai suoni del mediterraneo a quelli del sempre amato Brasile. Ad aprire il disco è il profumo del pane fragrante fatto in casa raccontato nell’elegante climax di “Pani” con i fiati che progressivamente si inseriscono nella melodia guidata dal pianoforte e sostenuta dalla sezione ritmica. Si prosegue con la trascinante title-track nella quale a spiccare è l’eccellente prova vocale della Corrias e la chitarra di Luca Faraone. L’affettuoso ritratto della nonna tratteggiato in “Pepina”, primo singolo estratto dal disco e per il quale è stato realizzato uno splendido videoclip, spicca per il brillante arrangiamento giocato sul dialogo tra pianoforte e chitarra a cui progressivamente si aggiungono gli archi. Se “Bentu” è dedicata al vento che porta con sé voci, storie e melodie che arrivano dal lontano, la successiva “Norel” è una raffinata ballad con protagonista la chitarra di Massimo Ferra. La musica brasiliana che pervade con i suoi echi quasi tutti i brani è protagonista del tributo a Djavan con il gustoso adattamento in sardo della solare “Milagreiro (Sa Mainarga)”, a cui segue l’introspettiva “Su Prexiu Miu” con i sax di Marco Argiolas e la tromba di Marco Sedda che incorniciano la linea melodica tracciata dal pianoforte di Sandro Mura. La pungente invettiva contro un uomo poco sincero e codardo di “Fèrula” e l’emblematica riflessione sulla formazione di “Imparimì” ci conducono verso il finale con la bellissima ninna nanna “Cabalelè” che chiude un disco di grande pregio che unisce Sardegna, Brasile e Mediterraneo in un caldo abbraccio di ricordi, emozioni e ritorni.


Salvatore Esposito
Foto di Stefano Barni

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