Claudio Prima & Seme – Enjoy (Ipe Ipe Music, 2021)

Organettista, compositore e didatta Claudio Prima è uno dei musicisti di spicco della scena musicale salentina, avendo alle spalle un lungo percorso artistico intrapreso nel 2000 con i Manigold e proseguito successivamente attraverso diversi progetti dedicati alle “musiche di confine” come Tabulè, Adria con Redi Hasa e Emanuele Coluccia e Bandadriatica di cui ricordiamo pregevoli album come “Maremoto”, “Babilonia” e “Odissea”. In parallelo, ha dato vita a belle realtà come la Giovane Orchestra del Salento, e gli ensemble Turké e La Rèpètition con i quali ha esplorato le connessioni possibili tra la tradizione salentina e quella africana. Non meno importante è stato il suo contributo a diverse edizioni del Concertone de la Notte della Taranta prima come strumentista e, poi, anche come assistente dei maestri concertatori Goran Bregovic e Giovanni Sollima. All’intensa attività live in Italia e all’estero, ha affiancato diverse collaborazioni di profilo internazionale, nonché l’attività come compositore di colonne sonore per il cinema e il teatro, oltre che un costante impegno nell’ambito didattico con l’organizzazione di diversi stage nel corso dell’anno. La tensione costante verso la ricerca musicale in ambito world e la capacità di esplorare nuovi sentieri espressivi per l’organetto, lo ha condotto negli ultimi anni a dare vita ad un nuovo side-project con la complicità del quartetto d'archi formato da Vera Longo (violino e voce), Paola Barone (violino), Cristian Musìo (viola) e Marco Schiavone (violoncello) e di Vito De Lorenzi alle percussioni. 
Insieme a loro ha esplorato le connessioni tra i suoni del Mediterraneo e gli stilemi della musica classica, giungendo a nuove composizioni che hanno dato forma e corpo al disco “Enjoy”. 
Abbiamo intervistato Claudio Prima per farci raccontare questa nuova esperienza artistica, soffermandoci sulla genesi e le ispirazioni del disco.

Ci puoi raccontare l'incontro con il quartetto d'archi che ha dato vita al progetto Claudio Prima & Seme?
Il quartetto si è andato via via costruendo in questi quattro anni di lavoro. Si sono avvicendati diversi musicisti e finalmente, dopo una lunga ricerca, devo dire, una serie di fortunate coincidenze ha portato all’incontro con questi quattro musicisti giovani e ricchi di talento, con cui ora sono in perfetta sintonia. Non è facile suonare in un quartetto d’archi, è un gioco molto delicato di equilibrio e empatia, inoltre per me l’aspetto umano e relazionale è fondamentale nella scelta dei musicisti, quindi non è stato facile trovare quattro persone che hanno la stessa umanità, visione, professionalità oltre che lo stesso talento.

Com'è nata l'idea di dare vita ad un percorso di ricerca attraverso l'incontro tra musica popolare e sonorità classiche, percorrendo le rotte già battute da Béla Bartók e Igor Stravinskj?
Accostare il suono dell’organetto a quello del quartetto d’archi mi ha sempre intrigato e da tempo avevo iniziato a frequentare i quartetti classici, soprattutto quelli di Beethoven, di cui mi sono innamorato per la straordinaria logica interna, prefigurando la presenza dell’organetto, che inizialmente poteva risultare un intruso in quell’architettura perfetta. Scoprendo poi gli esperimenti di Bartok, Stravinskij, Liszt, Haydn, che hanno scavato nella musica tradizionale per prendere ispirazione e trovare punti di contatto, mi sono lasciato sedurre da questa idea e ho iniziato a ricercare in questa direzione.

Misurarti con un quartetto d'archi ha rappresentato per te una nuova sfida. Quanto ti ha arricchito sotto il profilo musicale?
Già dai primi esperimenti di scrittura ho capito che la linea era giusta e che il suono dell’organetto si sposava benissimo con gli archi. Mi sentivo ispirato e ho iniziato a scrivere a manetta. Anche troppo all’inizio. Solo col tempo ho capito che dovevo imparare a semplificare, a portare all’essenza. E’ stato un processo di studio, di ricerca e di approfondimento che ha aperto capitoli nuovi per me e ha ampliato notevolmente il mio raggio d’azione. Rimane l’idea, che mi accompagna da sempre, di accostare mondi diversi, ma questa volta invece che geograficamente, diciamo sull’asse dello spazio, mi sono mosso stilisticamente, più sull’asse del tempo. 

"Enjoy", il vostro primo album esplora i suoni del Mediterraneo attraverso il tuo originale approccio compositivo. Quali sono state le ispirazioni alla base di questo disco?
Le ispirazioni per un lavoro di questo genere sono molteplici. Come sempre mi lascio ispirare dalle esperienze della vita, dalle sensazioni, dai viaggi, dalle relazioni. La musica mi da l’opportunità di entrare in contatto con persone e situazioni molto diverse tra loro, con altre forme d’arte, come il teatro ad esempio, che in questi ultimi anni mi ha dato moltissimo. Musicalmente invece due delle registrazioni che più mi hanno ispirato sono Almah di Avishai Cohen e l’Alban Berg Quartet che suona il quartetto n15 op.132 di Beethoven. Due dischi molto diversi fra loro nei quali mi sono completamente perso e che mi 
hanno sostenuto sia dal punto di vista tecnico e compositivo sia dal punto di vista emotivo, come due fari molto luminosi che vedo alla fine di questo viaggio.

Come si è indirizzato il tuo lavoro sotto il profilo compositivo?
Ci sono state due direzioni di lavoro molto diverse. In alcuni casi mi sono lasciato completamente ispirare dalle suggestioni che arrivavano dall’organetto, anche in sessioni di pura improvvisazione, per poi trovare un’estensione per il quartetto. In altri casi sono partito dal quartetto e poi ho aggiunto l’organetto. Mi sembra che unendo queste due esperienze compositive posso oggi arrivare, dopo circa quattro anni di esperimenti, errori, correzioni, sostituzioni e perfezionamenti ad una migliore consapevolezza di come raggiungere il risultato che voglio con la musica e con questo ensemble, che poi è sempre la comunicazione di un’emozione quanto più vicina possibile a quella che io ho immaginato o provato.

Dal punto di vista degli arrangiamenti, quali aspetti e quali timbri hai esaltato nell'incontro tra archi ed organetto?
Come dicevo l’amalgama è inaspettatamente molto efficace. L’organetto si muove su un range intermedio che può avvicinarsi ai violini e alla viola, meno al violoncello che quindi si comporta più spesso come un basso, per coprire le frequenze più gravi. Mi sono concentrato quindi sul rapporto tra gli strumenti in 
termini di frequenze e sul dialogo che ne poteva risultare, cercando di esaltare le potenzialità di tutti gli strumenti in tratti solistici e al contempo di creare un suono d’insieme che fosse efficace e completo.
Ho usato spesso un contrappunto classico, ma cercando di armonizzarlo con la mia sensibilità, che è più vicina alla musica world contemporanea.

Tra i brani più belli del disco c'è "Domenica", primo singolo estratto dal disco. Ci puoi raccontare la genesi di questo brano?
E’ un brano nato in lockdown, in una domenica mattina ‘qualunque’ ma, come tutti sappiamo, molto speciale. Mi sono seduto al pianoforte ed è nato, quasi sgorgato direi, spontaneamente, questo tema, come a volte succede quando sono particolarmente sensibile o ispirato. Mi piace pensare che ci fosse già da qualche parte dentro di me, e che è solo venuta fuori. Dal pianoforte poi è passata all’organetto e al quartetto, ma nel video e nel cd ho conservato l’idea iniziale, suonando il tema anche con un toy piano.

Elegantissima è anche "Nina" nella quale ritornano echi della tradizione musicale salentina. Cosa ti ha ispirato questo brano?
Il brano fa parte della colonna sonora dello spettacolo teatrale Nina balla. Un racconto che ho scritto in lockdown, ancora una volta (è stato per me un periodo molto fertile dal punto di vista artistico!) e che racconta la storia di una ragazza albanese nata sull’isola di Saseno e poi venuta in Italia. Il brano è il tema 
portante dello spettacolo e il testo racchiude la speciale storia di Nina e il suo rapporto d’amore e odio per la danza.

La sequenza con "Easy", "Yond" e "DeeP" mi ha colpito molto dal punto di vista della scrittura. Come avete lavorato a questi brani?
Sono tre brani molto diversi, che toccano stili e geografie lontane fra di loro. Fanno anche parte di tre periodi compositivi diversi. "Yond" è uno tra i primi esperimenti per il quartetto, ha dentro il tango e Beethoven, un tema semplice e passionale che si intride di un andamento classico, quasi una danza, un tango appunto fra gli strumenti e gli stili musicali. "Deep" invece è un brano che affonda nella tradizione salentina e nella nuova pizzica, nella quale il quartetto sostiene l’organetto alla ricerca di una linea evolutiva della musica tradizionale, percorso al quale sono molto legato. "Easy" invece è l’ultimo nato del cd, il brano nel quale ho maggiormente utilizzato l’idea della sottrazione, l’idea che la semplicità è al servizio della musica. 

Nel disco c'è anche la tua rilettura del tradizionale cipriota "To Ghiasemi”. Come mai hai scelto proprio questo brano?
L’ho scelto perché è uno dei simboli dell’unicità delle tradizioni del Mediterraneo. Il Mediterraneo è un mare di musiche che si richiamano l’un l’altra, l’abbiamo indagato in tutte le direzioni con i molti progetti che mi hanno visto coinvolto negli ultimi vent’anni. "To ghiasemi" è un canto antico, un canto d’amore,
nascosto fino a poco tempo fa in un’isola al centro del Mediterraneo, come forse da sempre - questo ci piace immaginare - tutta la nostra musica tradizionale, arrivata poi ‘onda dopo onda’ a tutti i paesi che vi si affacciano.

Recentemente hai pubblicato anche la splendida performance video "Moon fragment" per il National Sawdust di New York. Com'è nato questo progetto?
Il mio rapporto con il National Sawdust, questo centro culturale e live stage attivissimo a New York e soprattutto con Paola Prestini, che ne è la direttrice artistica, nasce dal 2010 con la mia partecipazione a Oceanic Verses, un’opera contemporanea a cavallo fra le tradizioni italiane e la musica classica, scritta da Paola appunto. Da lì sono tornato spesso a New York per una serie di progetti molto belli e fra questi è nato Moon fragment (che peraltro è anche il nome di un brano scritto a New York qualche tempo fa), un live di cinque brani girato vicino alla magnifica Torre Sant’Emiliano, forse il posto più bello del Salento, pensato per il pubblico americano.

Concludendo. Come si evolvono i brani di "Enjoy" dal vivo?
Suoniamo tutti i brani del cd nel live, creando un percorso che tocca tutte le sponde possibili di questo lavoro, che per me è proprio una nuova navigazione. Dal vivo i brani sono cresciuti molto quest’estate, grazie al tour di presentazione del disco. Maturano ad ogni esecuzione. Molto spesso è così, il cd dovrebbe essere fatto alla fine e non all’inizio di un percorso musicale, perché la musica, suonandola, cresce, come i nostri strumenti, che migliorano col tempo perché il legno, di cui sono fatti, si nutre del suono, si compatta e suona meglio.


Claudio Prima & Seme – Enjoy (Ipe Ipe Music, 2021)
#CONSIGLIATOBLOGFOOLK
 

Musicista in continuo movimento e costantemente animato dalla febbrile ricerca di nuovi sentieri sonori da esplorare, Claudio Prima ha fatto dell’organetto uno strumento per tessere relazioni e ricercare nuovi incontri musicali che, come sottolinea lui stesso è “una lente d’ingrandimento, portata sempre in valigia e pronta ad esplorare. Ha il suono e il sapore della mia terra d’origine e lo sguardo rivolto al prossimo approdo”. Lo abbiamo, così, apprezzato alle prese con le intersezioni tra Salento e Balcani con Adria e Bandadriatica, così come non ci ha sorpreso ritrovarlo alle prese con la ricerca di connessioni possibili tra la musica tradizionale della sua terra e l’Africa con gli ensemble Turké e La Rèpètition. Negli ultimi anni, le sue ricerche si sono concentrate sull’incontro tra due universi musicali, solo in apparenza distanti ma profondamente legati da una osmosi costante sviluppatasi nel corso dei secoli: la musica classica, considerata come colta, e quella popolare ritenuta da essa ben distinta ma che, al contrario, ne è stata nutrice. Ad accompagnarlo in questa nuova avventura è l’ensemble Seme che vede protagonisti il quartetto d’archi composto da Vera Longo (violino e voce), Paola Barone (violino), Cristian Musìo (viola) e Marco Schiavone (violoncello), a cui si è aggiunto Vito De Lorenzi (percussioni). Nell’arco di quattro anni Claudio Prima e Seme hanno lavorato a lungo sulle composizioni e, partendo dalle opere di Béla Bartók e Igor Stravinskj, hanno declinato al futuro le connessioni che legano da sempre le musiche del Mediterraneo con il mondo classico. A cristallizzare il lavoro insieme è “Enjoy”, opera prima del combo salentino, prodotta da Domenico Coduto per Ipe Ipe Music, nel quale hanno raccolto dieci composizioni originali firmate dall’organettista salentino e la rilettura del tradizionale cipriota “To Ghiasemi”. Durante l’ascolto a spiccare è la scrittura cinematografica dell’organettista salentino nella quale convergono addentellati sonori con le musiche balcaniche come quelle del nord Africa, ma anche influenze che vanno dalla musica minimale di Michael Nyman a quella cameristica. In questo senso, l’approccio compositivo mira ad esaltare la potenza evocativa degli archi impreziositi dalle perfette architetture ritmiche costruite da De Lorenzi. Si spazia, così, da atmosfere riflessive e quasi malinconiche a spaccati più movimentati ed avvincenti nei quali si riflettono le forme coreutiche della tradizione. Ad aprire il disco è il trascinante ed avvincente strumentale “Moon Fragment” in cui l’organetto guida gli archi imprimendo al brano un grande dinamismo. Si prosegue con gli echi di una pizzica pizzica che permeano la brillante “Siamo venuti” che fa da preludio al lirismo onirico di “Domenica”, primo singolo estratto dal disco e per la quale è stato realizzato uno splendido videoclip, realizzato nelle campagne di Otranto e Torre Sant’Emiliano, uno dei luoghi più belli di tutto il Salento. L’elegante “Adagio” che sembra venire dalle pagine di uno spartito ottocentesco ci guida all’invito al ballo di “Nina” in cui gli archi impreziosiscono la linea melodica tracciata dall’organetto. Il vertice del disco lo si tocca con la superba sequenza in cui ascoltiamo la gustosa “Easy”, la cinematografica “Yond” che sembra la colonna sonora di un road movie immaginario e il vulcanico climax di “DeeP” nella quale apprezziamo tutta la versatilità del quartetto d’archi nell’approccio agli stilemi della tradizione salentina. La ricercata melodia di “Ogni giorno” ci accompagna verso il finale in cui spiccano la bella rilettura del tradizionale cipriota “To Ghiasemi” e quel gioiellino che è la title-track, altro esempio della originale ricerca compositiva messa in campo da Claudio Prima in questo progetto. Insomma, “Enjoy” è un album che esce dai convenzionali sentieri della world music per aprirsi alla musica classica contemporanea, ma è soprattutto un lavoro da ascoltare dal vivo dove le composizioni del musicista salentino trovano la loro perfetta collocazione in una narrazione vibrante di emozioni.


Salvatore Esposito

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