A Bobo Dioulasso, capitale della musica burkinabé, esiste un particolare luogo di aggregazione, la Maison De Jeunes, dove artisti professionisti e semplici appassionati si ritrovano spontaneamente, ogni sera, per dare vita alla “repetitiòn” ovvero suonare, cantare e ballare con l’obiettivo di perfezionarsi insieme fino a dare vita ad uno spettacolo in continuo divenire. Questa particolare modalità di condivisione della musica, tipica del Burkina Faso, è stata osservata e studiata dal percussionista salentino Giovanni Martella, durante un lungo viaggio di ricerca effettuato nel 2016 nello stato africano. Ritornato in Salento e alla sua attività con la Giovane Orchestra del Salento, Martella ha condiviso l’esperienza fatta in Africa con Claudio Prima, organettista e frontman di Bandadriatica, e ben presto è nata l’idea di riprodurre queste sessions a Lecce, coinvolgendo alcuni strumentisti locali, già impegnati nelle medesime ricerche musicali in ambito world. Dopo alcune prove aperte alle Manifatture Knos di Lecce, ha preso vita La Répétition - Orchestra senza confini con l’obiettivo di ritrovare la dimensione originaria della musica intesa come momento di condivisione e socialità ed in parallelo dare vita ad un percorso di ricerca che stendesse un ideale ponte tra la cultura e la musica del Mediterraneo e quella del West Africa.

Ci puoi raccontare la genesi del progetto La Répétition Orchestra Senza Confini? Com’è nata l’idea di un’orchestra multietnica?

L’esperienza delle orchestre multietniche sembra aver fatto il suo tempo o meglio sembra essere passata di moda. Quali sono le particolarità di questa esperienza?
La Répétition più che un’orchestra multietnica è un progetto di ricerca sulle possibili caratteristiche comuni delle musiche tradizionali del Salento e delle regioni del WestAfrica, un laboratorio aperto che è diventato un collettivo di musicisti. Parte del repertorio è originale nei testi e nelle musiche. La focalizzazione su una geografia musicale precisa e la tensione verso la ricerca di una sintesi compositiva originale danno a questo progetto una peculiarità che lo diversifica di fatto dalle orchestre multietniche intese in senso classico, nelle quali solitamente i repertori spaziano toccando le tradizioni dei musicisti che ne fanno parte.

L’esperienza che ci ha riportato Giovanni, che in questo viaggio era accompagnato anche da Claudia Giannotta, una delle voci dell’orchestra, è veramente straordinaria, soprattutto per quello che riguarda la relazione con la cultura Mediterranea e in particolare salentina. La Rèpètition è un momento di incontro che avviene a Bobo Dioulasso e che scandisce il tempo della comunità, come parte integrante della vita della gente. E’ un momento rituale, collettivo, durante il quale musica e danza sono strumento d’incontro della comunità, un momento che vive di una necessità legata alle dinamiche sociali e culturali della città, non un semplice svago. E’ la stessa modalità, a nostro avviso, che utilizzano molte culture Mediterranee (anche quella Salentina), nella quale fino a qualche decina di anni fa la musica aveva un ruolo centrale e appunto, necessario per la comunità.
L’orchestra ha riprodotto inizialmente queste sessioni a Lecce, invitando una serie di musicisti ospiti, da quelle sessioni sono nati i brani del disco “Mondo!”. Ci puoi raccontare com’è stato lavorare con questo metodo creativo di condivisione?

Questo disco è una sorta di ponte musicale e culturale tra il Mediterraneo e l’Africa. Come siete riusciti a rendere tutto questo?
Abbiamo dapprima lavorato accostando gli strumenti salentini (tamburello e organetto in particolare) al repertorio westafricano, quindi abbiamo esteso l’accostamento anche a chitarra elettrica, oud, violino, percussioni mediorientali e sezione fiati. Abbiamo iniziato a scrivere arrangiamenti originali, seguendo l’ispirazione nata in sala prove, cercando di lasciar trascorrere un tempo più organico di osmosi fra le diverse geografie musicali in gioco. La musica del West Africa ha tempi generalmente più lunghi di quella occidentale moderna, capendo questo, si può dare il tempo necessario alla musica di penetrare e lasciar fluire le nuove suggestioni, questo è stato un passaggio centrale. Su alcuni brani abbiamo cambiato idea diverse volte e un paio di volte abbiamo anche dovuto ‘capovolgere’ il brano, dopo averlo ascoltato nei workshop fatti con Ousmane Coulibaly, Omar Kounè, Petit Solo Diabatè,

I testi dei brani mescolano alcuni stralci di brani tradizionali in bambarà e wolof e parti in italiano, inglese e dialetto salentino. Come si è indirizzato il vostro lavoro in fase di scrittura?
Ci siamo fatti ispirare molto dalla musica, i testi sono nati sempre dopo. Non sempre accade così, ma questo processo creativo non poteva essere diverso: la musica ha generato le idee e le tematiche. I testi in bambarà e in wolof sono generalmente molto essenziali e raccontano degli stralci molto affascinanti della vita del West Africa, storie mitiche o usanze speciali. I testi inediti si ispirano a questa essenzialità e raccontano principalmente del nostro rapporto con l’idea di convivenza fra culture diverse insita in questo progetto e dell’opportunità che questa convivenza genera. I testi in dialetto salentino, poi, condividono il carattere essenziale di quelli africani, la lingua è più asciutta, diretta e quindi scrivere in dialetto è risultato un ottimo modo per trovare una connessione più intima.
Quali sono state le difficoltà che avete incontrato?

Ci puoi presentare la formazione dell’orchestra?
L’orchestra è formata da me all’organetto e alla voce, Giovanni Martella al balafone e alla batteria, Claudia Giannotta, Rachele Andrioli e Mike Eghe alle voci, Meissa Ndyaye al djembè, Somieh Murigu ai dum dum, Luigi Colella al djembè, Antonio Alemanno Oud, Luca Ferro e Marco De Paola alle trombe, Lorenzo Lorenzoni e Elia Leardi al trombone, Giovanni Chirico al sax tenore, Caterina Calò al violino, Riccardo Basile al basso, Maurizio Pellizzari alla chitarra elettrica e al kamalè ngonì, Federico Laganà e Alessandro Chiga al tamburello e alle percussioni. Il disco è impreziosito dalla presenza di Omar Kounè al djembè.
“Siamo uguali” è un brano a cui siamo molto legati. Parte da un ‘classico’ senegalese chiamato kakilambè e poi incontra i nostri ritmi tradizionali e un arrangiamento originale. Abbiamo sviluppato tutto insieme in sala prove ed è stato un processo graduale e organico che ha portato il brano alla sua forma finale. E’ anche il primo singolo estratto e il brano del nostro primo videoclip. Il testo parla di uguaglianza di fatto fra europei e africani, di ciò che ci accomuna e ci rende inconfutabilmente uguali, nonostante in questo periodo storico ci siamo numerosi ed inspiegabili tentativi di farci credere diversi come esseri umani.
Qual è il tuo brano preferito?
“Siamo uguali” mi piace molto, ma anche “Orodara Sidiki”, il brano tradizionale burkinabè con il quale tutto è cominciato, vi sono particolarmente affezionato e forse rappresenta il risultato migliore in termini di incontro fra la cultura africana e la nostra idea di arrangiamento e riproposizione.
Dal 2017 ad oggi come si è evoluto il suono dell’orchestra?
Nella prima fase è cambiato tante volte in seguito all’arrivo dei musicisti che si sono aggiunti volta per volta alle sessions. Migliorando gradualmente la conoscenza del repertorio e completandosi la formazione, abbiamo orientato gli arrangiamenti e il suono è diventato sempre più compatto ed efficace.

Concludendo quali sono le peculiarità dell’orchestra dal vivo? Chi viene ad un vostro concerto cosa deve aspettarsi?
Dal vivo l’orchestra è molto potente e festosa, i ritmi sono travolgenti e lo spettacolo è vario e molto vivo. C’è la possibilità di danzare dall’inizio alla fine o di ascoltare e lasciarsi incuriosire dalle diverse sonorità. La proposta musicale è intrigante, un modo originale di portare sul palco la musica africana accostata a quella europea. Il balafon, un parente della marimba, che usa le zucche come casse di risonanza, è il simbolo di questa orchestra, uno strumento semplice e al contempo ricco di storia e suggestioni, strumento magico e rituale, come la musica che cerchiamo volta per volta di rievocare e suonare insieme.
La Répétition - Orchestra senza confini – Mondo! (Finisterre, 2019)

Salvatore Esposito