Piombo a blues – Piombo a blues (Cheyenne Records, 2020)

Il progetto Piombo a blues nasce dall’incontro tra un poker d’assi della scena musicale napoletana: Mario Insenga (voce e batteria), Daniele Sepe (sax), Gigi De Rienzo (basso) e Gennaro Porcelli (chitarra e voce), amici da sempre e accomunati dalla medesima visione del blues, ben lontana dai manierismi nostrani, ma piuttosto volta a rimettere al centro la sua grezza ruralità sporca, sanguigna, quasi piratesca e libera da qualsiasi orpello. Un blues scostumato, dunque, che è figlio irrequieto del Neapolitan Power come si evince sin dalle prime note della title-track che apre il disco, introdotta da una schitarrata funkeggiante squarciata dall’intervento del sax. A dinamizzare ulteriormente l’atmosfera ci pensa una linea di basso incessante, su cui si innestano gli scatenati fraseggi di sax e chitarra elettrica. A schiuderci le porte a “Groupies” ci pensa il più classico degli shuffle, sostenuto da un working bass operaio, e contrappuntato dalle svisate anarchiche del sassofono e da uno scapigliato solo di chitarra. “Ritorno a Mondragone” (“E quando il sole tramonta dietro il Lido Antonio, m’magn’na fella ‘e muzzarell’all’uranio… a Mondragone”) è accompagnata da toni più acustici e quasi estivi, sottolineati dai ricami di una chitarra suonata col bottleneck e dai fraseggi compassati di un sax. All’apparente disimpegno musicale fa da contraltare un testo che, seppur in chiave molto ironica, racconta dell’inquinamento che flagella la Baia Domizia. Un muscolare ed elettrico riff di chitarra ci accompagna da “Polifemo”. A recitare la parte del leone è, però, un sax indiavolato, che intavola un infernale e svisante dialogo con la chitarra, in una fantasiosa ordalia musicale. A completare il tutto ci pensano le zampate di un vocoder, che colorano di tanto in tanto la voce di Insenga. A questo punto troviamo il primo dei quattro brani in inglese, una rilettura di “Don’t you lie to me”, dal repertorio del grande Elvin Bishop. Un working bass ed uno shuffle di elettrica sostengono l’architettura ritmica del pezzo, che trova la sua dose di imprevedibilità nei volteggi solisti del sax e nell’infuocato solo (in gran parte giocato- meravigliosamente- sulla leva del tremolo) della chitarra. Altro giro, altro omaggio al blues delle origini: con “Wait and see” entriamo, infatti, nel repertorio di una leggenda come Fats Domino. A sorpresa, ad accoglierci c’è un flauto, che poggia sul pattern ritmico cucito dalla batteria. Come sempre, la zona degli assoli è equamente abitata da chitarre e, in questo caso, flauto, in un’atmosfera che strizza l’occhio alla surf music. “Arrepuosate Cachisso” (“E tu, italiano aperto, tu italiano buono, tu italiani- diciamolo- di sinistra, se vuoi avere una corretta opinione su tutto, sul pianeta, il meridiano, il parallelo, tu devi leggere i miei articoli, perché io sono ‘a verità”) è uno dei gioiellini dell’intero lavoro: un recitato al vetriolo di Daniele Sepe mette alla berlina certo radicalchicchismo da salotto buono e certa imbecillità razzistoide, venendo prontamente sbeffeggiato dai ritornelli irriverenti di Insenga. Anche i colori musicali sono bel alternati: ad una strofa sorretta dall’incastro fra acustica ed elettrica con slide e dai contrappunti dell’ocarina, fa da contraltare un ritornello con una chitarra quasi jazzata e i fraseggi del sax. A seguire troviamo “Mamma me vo’ cchiù bene”, che si muove lungo una sinuosa linea di basso, su cui si posano, forsennati, gli strappi del sassofono e i fraseggi della chitarra elettrica. La modulazione finale è il definitivo tocco di colore su un brano reso brioso e fluido dal wah- wah dell’elettrica. E, dal momento che un album blues non è un album blues senza l’immancabile Hammond, eccoci serviti: su “You’ve got to love her with a feeling”, omaggio ad un altro grandissimo come Freddie King, arriva un ospite, l’ennesimo pezzo da novanta di questo lavoro: Ernesto Vitolo. La base melodica che ricama con l’Hammond è proverbiale, il perfetto terreno di gioco per i ruggiti della chitarra elettrica e per i folli voli del sassofono. Ultimo episodio in inglese è la superba rilettura di “Rainy Day Woman”, dal canzoniere di un certo Bob Dylan: un ruvido shuffle detta i tempi del pezzo, riempito dai deliri del sax e da un muro di fraseggi elettrici. A chiudere il disco è “Nun è cosa toja”, con un testo molto autoironico che è la perfetta conclusione di un lavoro in cui la libera bellezza del suonare insieme risalta meravigliosamente. Anche sul versante musicale, ci troviamo di fronte ad un brano che è, in qualche modo, la carta d’identità dell’intero disco: un bluesaccio sporco sostenuto dalle schitarrate elettriche ed aperto dal sax sul pre- ritornello. “Piombo a Blues” riporta al senso più profondo del fare musica: la sintonia ed il divertimento di questo irresistibile quartetto si respirano a pieni polmoni. 


Giuseppe Provenzano

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