“Ensemble”, secondo album del sassofonista Vittorio Cuculo (classe 1993), si presenta come un insieme di suggestioni che poggia su basi ben solide. Da un lato la prospettiva musicale di un giovane (talentuoso) musicista, aperto alla sperimentazione dei linguaggi e, allo stesso tempo, ancorato a una tradizione jazzistica di lungo corso: leggi bebop. Dall’altro lato la voglia di sviluppare alcune delle visioni comprese nel primo album “Between” – uscito nel 2019 per Alfamusic – con il contributo di un quartetto strutturatissimo, composto da Gegè Munari alla batteria, Enrico Mianulli al contrabbasso e Danillo Blaiotta al pianoforte. L’idea dell’album è esplicitamente racchiusa nel titolo e rimanda all’insieme, alla coralità, a una dimensione narrativa in cui l’interpretazione collettiva assume alcuni dei significati primari, espressi in un linguaggio sempre dinamico e vivace, in cui nessuno degli elementi prevarica sugli altri: equilibrio, brio, ritmo pieno, storia e contemporaneità. E mescolanza, si potrebbe aggiungere (al quartetto si aggiunge, infatti, la marimba di Dimitri Fabrizi nel brano “Misty). Perché basta scorrere la scaletta per comprendere le direzioni seguite dal giovane musicista: nelle nove tracce convivono composizioni originali (“Io non ridevo” e “Fuga di notizie”, entrambe scritte da Roberto Spadoni, il quale suona la chitarra anche in “Bye-Ya”), classici jazz di maestri come Thelonious Monk (“Bye-ya”) e Charlie Parker (“Donna Lee”), Duke Ellington (“Caravan”, firmata con Juan Tizol) e Errol Garner (“Misty”), e la straordinaria “Brava” di Bruno Canfora, portata al successo da Mina e qui interpretata da Lucia Filaci. Sì, perché la visione d’insieme è riflessa non solo nell’idea che Cuculo ha posto come baricentro del programma. La vera visione trova completamento nell’organicità del metodo, cioè nel pensiero e nell’approccio, in una forma di adattamento che non si risolve nell’improvvisazione e nelle sue dinamiche caleidoscopiche, ma nella condivisione di un’interpretazione multipla e multiforme, che si pone (forse, anche) come nuova propaggine dello spirito irriducibilmente rivoluzionario, innovativo, antagonista del jazz. Se a questo aggiungiamo la presenza dei Sassofoni della Filarmonica Sabina “Foronovana” – vale a dire l’intera sezione di sax dell’orchestra, costituita in associazione musicale nel 2017, che determina con piacevole sicurezza il profilo di un suono pieno e vivace, con cui Cuculo dialoga con determinazione e divertimento – il quadro ci appare ancora più equilibrato e completo: “Ensemble” risuona in infinite direzioni, propagando suoni e melodie sempre diverse ma amplificate, riverberate, sviluppate allo stesso modo, nel solco di ritmi accesi e decisi, infilate in un grande fraseggio che sembra non concludersi con la fine di un brano, ma al contrario rinvigorirsi dentro il brano successivo. Insomma, al di là della bravura di tutti gli artisti coinvolti e di Cuculo – il quale, è bene dirlo, è riconosciuto anche all’estero come uno dei nuovi talenti del jazz italiano – ciò che colpisce fino in fondo è la corrispondenza tra l’idea di “Ensemble” e l’organizzazione dei suoi contenuti. Si percepisce, anche al primo ascolto, una sorta di entusiasmo liberatorio, un’energica meraviglia che sostiene ogni nota, ogni passaggio e fraseggio. Ciò che, in fondo, ci suggerisce è che la dimensione plurale (“comunitaria”) non si determina attraverso la sola condivisione di un’idea o di un palco. Quella dimensione – che può essere riconsegnata a infinite riflessioni dentro il quadro sociale, politico, culturale, oltre che artistico – deve essere “dichiarata” fin nei dettagli, percorsa, analizzata e incorporata, perché la si possa condividere in tutte le sue sfumature. E perché musicisti e ascoltatori possano goderne forza e profondità, deve essere compresa e interpretata con lo stesso animo, dentro quella visione che diviene essa stessa estesa e stabilmente inclusiva.
Daniele Cestellini
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Suoni Jazz