Ora la musica è un po’ più sola: hommage a Jivan Gasparyan e altri due spostamolecole come Jon Hassell e Frederic Rzewski

Il mondo come ci “cuntano” i saggi indocaucasici (oggi lo conferma anche la fisica quantistica ), non è un grande meccanismo, piuttosto, è un grande pensiero e in questa luce ci sta che l’improvvisa scomparsa di artisti e pensatori importanti, con cui ci siamo relazionati nell’iperspazio per via di emozioni, concezioni del mondo, vibrazioni d’ogni genere, parole, segni, finisca per generare astrali solitudini non dissimili talora dal trapassare di una persona di famiglia. Così molti di noi sono rimasti più soli. In questo primo scampolo d’estate 2021 ci hanno lasciato tre veri spostamolecole: Jivan Gasparyan, Jon Hassell, Frederic Rzewski. Mi sono fatto l’idea che stanno viaggiando insieme, nel Bardo Uranico. I musicisti diceva Zappa, suonando, spostano molecole e queste, aggiungo, che sono energia meccanica, entrano nelle nostre orecchie e mediante una complessa fisiologia si trasformano in energia chimica per essere infine decodificate dal cervello. Spostare molecole è l’anima del mondo e la musica, certa musica, è la sua profetessa. Per farlo nella maniera giusta ci vuole un senso speciale per il cosmo, la volontà di uscire dal misero io e di ritualizzare l’azione. Di tale pasta erano i tre che ultimamente, involandosi (come essi stessi avrebbero detto) verso quel tempo che è il non tempo, ci hanno lasciato più soli. Il primo, Jivan Gasparyan l’ho conosciuto bene. Ne parlo più a lungo perché in questa disamina interpreta per me i due ruoli. Quello di fratello maggiore amico di oltre duecento date suonate insieme e di angelo cosmico. Nel 2000 lo invitai attraverso la sua manager Eva Skalla, per una collaborazione da solista con la mia Hypertext O’rchestra. L’occasione era un Prometheus Concert alle Orestiadi di Gibellina, voci recitanti Massimo Popolizio e Laura Marinoni. La cosa curiosa è che allora, per mia semplice ignoranza, non conoscevo la sua musica. 
Per dirla tutta non l’avevo mai sentito se non di striscio in qualche documentario. Lo chiamai su una suggestione razionalmente indefinibile. Né mi informai ulteriormente in attesa del suo arrivo, per una specie di progressione magica tutta personale. Grazie alla produzione delle Orestiadi ci stava raggiungendo una vera e propria leggenda e questo mi bastava. Avrei saputo dopo, da Eva, che Jivan era reduce dalla collaborazione con Peter Gabriel per la scrittura della colonna sonora dell’Ultima Tentazione di Cristo di Martin Scorsese e che aveva appena partecipato alla colonna sonora del film “Il Gladiatore” (vincitore di 5 Oscar) e suo era quel suono profondissimo che ci aveva incantato durante le discese a campi di grano e papaveri dalle Gallie a Roma di Russel Crowe; che aveva poi inciso con Michael Brook un memorabile disco in duo. Ma le notizione sulla sua vita sarebbero arrivate più avanti, conoscendolo meglio. All’aeroporto di Palermo dove arrivavano, lui ed Eva, da Yerevan via Londra, li vidi uscire dal gate e notai subito l’eleganza classica degli abiti di Jivan. Aveva un debole per i vestiti, per la qualità delle stoffe d’occidente, italiane o inglesi, per il taglio dei sarti nostrani. Mi sarei trovato spesso ad accompagnarlo in negozi importanti. Toccava, maneggiava l’anima delle stoffe, con perizia di mondo antico, di quelli che del cognac si ascolta il colore del cuore, che l’oro zecchino va comunque tastato con i denti e i coltelli si passano con la giusta inclinazione della lama sul polpastrello per saggiare la qualità dell’acciaio. Al pomeriggio quasi sul calar della sera al Baglio di Santo Stefano, accanto alla montagna di sale di Mimmo Palladino disseminata di cavalli caduti e in fuga come dopo una battaglia, iniziammo le prove. 

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