Angélique Ionatos: Risplende dentro me quel che ignoro. E tuttavia risplende

In questi giorni, non ho visto riportata dai giornali la notizia che purtroppo è mancata Angélique Ionatos (Aggelikí Ionátou/Αγγελική Ιονάτου). Dal canto della sua voce grave e sensuale nasceva un blues mediterraneo che prendeva radici dalla poesia della tragedia greca. Il 7 luglio 2021 la malattia l’ha vinta a Les Lilas in Francia, a soli 67 anni. Le sue ceneri saranno sparse in Grecia. Angélique viveva in Francia oramai da più di 40 anni, il suo ultimo concerto è stato al Triton Club di Les Lilas, periferia di Parigi, il 6 aprile 2018. Suo padre era un marinaio, avevano lasciato la Grecia nel 1969, quando Angélique era poco più che una bambina, scappando dalla dittatura dei colonnelli e sua madre aveva bruciato di nascosto sulla terrazza di casa tutti i libri di poesia banditi dalla giunta militare. Erano andati in Belgio e poi scelsero la Francia. Ma lei era anche figlia di Apollo e il suo talento si manifestò e venne riconosciuto assai velocemente, cantava in greco, spagnolo, francese, contro corrente rispetto agli stereotipi. Per molto tempo si è dedicata a difendere, con purezza e teatralità, poesie di eredità greca d’ogni epoca. Con una chitarra, gli orecchini da pastore e le parole cantate riusciva a far tremare la terra e resuscitare i suoi amati poeti. 
Nel suo repertorio ne apparvero davvero molti: Konstantinos Kavafis, Dimitri Mortoyas, Kostas Karyotakis, Manolis Anagnostakis, Sappho de Mytilène, Kostis Palamas e il suo preferito, il cretese Odysseus Elytis, premio Nobel per la letteratura nel 1979. Musicò anche poesie antiche di 2500 anni, circondandosi di strumentisti provenienti dall’improvvisazione, dalla musica classica o da quella popolare. Il suo ultimo disco è “Resta la Luce” e risale all'ottobre del 2015, intitolato così perché il suo amato paese d’origine stava vivendo una grande depressione. Vi sono citati lo scrittore spagnolo anti-franchista Gabriel Celaya (1911-1991), morto in esilio o il greco Yannis Ritsos (1909-1990), comunista come Aragon, a lungo imprigionato dalla dittatura militare e di cui aveva musicato il poema Habitudes “la poesia ha inventato il mondo, ma il mondo lo ha dimenticato". Ma interpretò anche canzoni giudeo-spagnole come “Puncha puncha”, di poeti francesi d’altra epoca come Anna de Noailles oppure contemporanei come Jean-Roger Caussimon, (“Le Funambule”) 1  autore di molti dei testi delle canzoni di Léo Ferré. Si cimentò nei tanghi, nelle poesie di Pablo Neruda e cantò i testi del diario della pittrice messicana Frida Kahlo. Anche le sue composizioni erano immerse nella prosodia della poesia e la musica possedeva i ritmi irregolari caratteristici di quella tradizionale greca. Per Angélique la speranza non poteva spegnersi mai, finché "la poesia rimarrà un'arma carica di futuro". "Io sono il prodotto della mia vita", diceva, questa cantante ellenica della diaspora che faceva crepitare il marmo. Non componeva musica greca nel senso di “bouzouki e rebetico”, le sue interpretazioni avevano uno stile che comprendeva in loro una parte di Oriente e una di cultura europea all’interno di una struttura balcaniche. La sua voce trasmetteva l’aspetto tragico che la accompagnava nella vita. "Bisogna piangere per sentire finalmente le melodie che accompagneranno le parole". Spesso è accaduto che ci siano paesi la cui drammatica storia origina magnifici esuli. 
Sola, minuta, con una chitarra che pareva addirittura più grande di lei, era stata anche qui in Italia, invitata a Sanremo al Premio Tenco, in un venerdì d’ottobre del 1984. Ha partecipato alla Notte dell’Anarchia al Teatro Toursky di Marsiglia e nel settembre del 2015, al film-documentario sulle lotte sociali e politiche in Grecia e Spagna “Combatto dunque sono” di Yannis Youlountas, al quale offrì testimonianze e canto. Sapeva che la tristezza abbellisce perché le assomigliamo e l’immaginazione può essere indossata anche all’incontrario e in tutte le sue taglie. Sosteneva che la poesia non è fuori dal mondo e da questa vita, un luogo in cui rifugiarsi e rinchiudersi, piuttosto una vera forza vitale che sostiene i nostri pensieri nell’oggi e ci tiene all’erta contro quelli che vorrebbero indirizzarli o svuotarli. E cantava i testi di Mortoyas: “Le parole univano gli umani nell'era dei dinosauri, ora, nell’era dei cortigiani, dei correttori, dei tori neri, dei minotauri, li separano come fossero ordini militari”. Il canto di Angélique assomigliava a quei “gerani che vedevi senza fine, macinare il grano nero del sole” perché “tra un fiore colto e l’altro donato, l’inesprimibile nulla”


Flavio Poltronieri

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