Gnoss – The Light of The Moon (Blackfly, 2021)

La gran novità del secondo disco del quartetto scozzese è che contiene materiale originale, quattro canzoni scritte da Aidan Moodie (voce e chitarra acustica) e sette strumentali composti da Graham Rorie (violino, mandolino, chitarra tenore elettrica) e Connor Sinclair (flauto e whistle). A completare l’organico c’è Craig Baxter (bodhrán e percussioni), con ospite James Lindsay dei Breabach al contrabbasso, ad aggiungere sostanza ritmica. Ma procediamo per ordine. Formato dai due orcadiani Moodie e Rorie, conosciutisi da studenti del Royal Conservatoire of Scotland di Glasgow nel 2015, il duo ha raddoppiato i fattori nel giro di due anni e inciso un debutto molto apprezzato, intitolato “Drawn from Deep Water” (2019), che è valsa loro una nomination come Album dell’anno negli Scots Trad Music Awards, mentre la band ha dato il meglio di sé al celebre festival Celtic Connections nel febbraio. Concedetemi una digressione personale per dire che non mi avevano lasciato indifferente nella loro esibizione all’English Folk Expo di Manchester nell’ottobre dello stesso anno, dove avevano messo sul tavolo le loro carte: una misurata sintesi tra moduli tradizionali scozzesi e linguaggio cantautorale combinati con notevole capacità di stare in scena, il che non sempre si può dare per scontato con una band ancora giovane. Così il cantante Aidan Moodie racconta l’ispirazione e la traiettoria del secondo capitolo: “Il processo creativo ha attraversato il periodo più strano della nostra vita. La maggior parte della scrittura è stata fatta in isolamento, con noi che finalmente ci siamo riuniti per arrangiare e scolpire il suono dell’album in autunno. Abbiamo deciso di creare un disco che fosse distintamente Gnoss, non solo scrivendo tutto materiale originale, ma guardando più da vicino la fusione delle trame sonore dei nostri strumenti. L'album è stato registrato alla fine di un anno che avrebbe dovuto essere pieno di momenti salienti della carriera e invece è diventato tutto il contrario – e penso che tutta l’emozione connessa a questo sia stata incanalata nel processo creativo dell'uscita e che ci siamo spinti in nuovi spazi musicalmente”. Prodotti da Scott Wood (dei folk rocker Skerryvore), i 37 minuti del disco sono aperti da “Gordon’s”, un brillante e arioso strumentale guidato dal whistle con bel sostegno della chitarra: è stato composto da Graham per il sessantesimo compleanno dello zio. Ecco, poi, “The River”, una canzone costruita su una progressione vincente a cui la chitarra tenore e il coro conferiscono un sapore Americana e una sensibilità pop, mentre il flauto rimanda ai moduli tradizionali scozzesi. 
L’attacco di violino in “Good Crieff” è di quelli che ti sollevano da terra all’istante con il suo ritmo serrato; il reel rallenta nel mezzo dando spazio al dialogo tra flauto e chitarra prima di riprendere il suo disegno coreutico. Segue un altro strumentale, “Alistar & Katrina’s”, omaggio di Connor ai suoi genitori che inizia più compassato per prendere slancio nel suo sviluppo. Chitarra e violino sono al centro di “Honey Dew”, una canzone ben rifinita sulla tentazione di lasciare il lavoro per concedersi una rinfrescante pinta. Il violino porta fino in fondo “Tuction” (scritta da Graham), brano dal temperamento mutevole. Si cambia di nuovo registro con “Cold Clay”, un’altra canzone ben rifinita sul piano dell’arrangiamento, in cui il mandolino è protagonista e che conferma le doti di Moodie come autore e cantante. È il racconto del senso di frustrazione per i tempi migliori che se ne sono andati usando l’immagine dello scavo della terra solida per cercare inutilmente diamanti. I Gnoss infilano uno dopo l’altro tre strumentali di differente portamento: c’è la moderazione a tempo di valzer di “Becky’s, bella celebrazione del dialogo tra violino e chitarra, il tratto percussivo e l’iterazione di violino in “Prelude” che cede la strada al calore del jig “Adelaide’s”, scritto da Connor per la nonna scomparsa ma che prende la forma di un danzante omaggio alla vita. L’ultima song dell’album è “Sun That Hugs the Ocean”, in cui ancora una volta Moodie dimostra di padroneggiare le forme folkloriche e popular, giocando con le immagini e il linguaggio delle ballate (l’ispirazione proviene dal mondo scozzese e appalachiano)e plasmando una folk song di vena contemporanea, accompagnata da chitarre (acustica ed elettrica), flauto e percussioni, che è una vivida riflessione sull’amore e sul dubbio. Il finale lo porta “That’s me”, un reel scritto per un genetliaco, introdotto da percussioni e strumming di chitarra per poi lasciare entrare in primo piano il violino e il flauto: la band gira a pieno regime dando il meglio di sé. Più che di una sorpresa, per “The Light of the Moon” dobbiamo parlare della conferma e soprattutto della crescita per una band – il cui nome, beninteso, non significa nulla e si pronuncia con la G muta – che dà bella prova della sua capacità di equilibrare sottigliezze timbriche ed energia, calore e tecnica, di produrre canzoni accattivanti ma che non smarriscono il senso del luogo usando un linguaggio poetico che raccorda generazioni. www.gnossmusic.com




Ciro De Rosa

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