Femi & Made Kuti – Legacy + (Partisan Records, 2021)

Tre generazioni. Made Kuti è il nipote di Fela Kuti e il figlio di Femi Kuti e una dote tutta sua che gli permette di percorrere le orme del padre e del nonno senza perdere di vista un orizzonte tutto suo che attinge alle sue esperienze nel “tempio” di famiglia (il New Afrika Shrine a Lagos) e nel gruppo del padre (i Positive Force), ma anche all’educazione londinese nel Conservatorio Trinity Laban per oltre cinque anni. A fare da trait d’union fra questi tre straordinari musicisti è il produttore Sodi Marciszewer, con Fela dalla fine degli anni Ottanta, poi, a più riprese, con Femi dalla fine degli anni Novanta, ed ora a legare insieme in un’unica uscita (“Legacy +”) i due album “Stop The Hate” di Femi e “For(e)ward”, in cui il venticinquenne Made suona tutti gli strumenti. Nel caso di Femi si tratta del suo undicesimo album: “un grido di battaglia ai nigeriani contro la disonestà dei politici locali”, registrato prima della sindemia provocata dal Covid-19. Come d’abitudine, Femi ha composto i brani per poi provarli e riprovarli dal vivo allo Shrine: le registrazioni in studio sono il precipitato di suoni che per mesi hanno respirato l’aria dei concerti dal vivo nel luogo iconico della tradizione afrobeat. “Sto davanti a voi e voglio che mi ascoltiate. Il governo sta rovinando il nostro tempo, le nostre vite, non stanno facendo il loro lavoro: niente sanità, niente acqua potabile…”. Con “Pà Pá Pà”, l’album comincia a pieno ritmo e senza giri di parole per poi lasciare cantare fiati, sezione ritmica e cori in risposta al canto che, su un tempo medio, accompagna le vicissitudini di chi lotta ogni giorno (“As we struggle everyday”) per una vita migliore. Quando arriva il primo assolo di sax alto, è, allo stesso tempo, in volo sulla macchina ritmica e immerso nel coro vocale: dolente, ma determinato. Con “Stop the Hate” e “Na Bigmanism Spoil Government”, terzo e quinto brano, arrivano i riff di chitarra e la festa è completa, orgogliosamente nel solco dell’afrobeat che sa far pensare proprio mentre il corpo prende la via del ballo e lo abbandona alla vitalità di energetici poliritmi. Ma è in “Land Grab” che il tono politico si fa più acceso, aprendo direttamente con il canto corale che denuncia e chiede di fermare l’accaparramento delle terre. “For(e)ward” non è certo da meno e si propone quale manifesto di libertà, per spingersi oltre i confini dell’afrobeat. Racconta Made Kuti: “Ho composto vari brani pensando ad un album durante i miei studi al Trinity Laban. Poi sono arrivati i tour con mio padre, altri studi e fra i brani originali ne ho scelti otto, alcuni perfezionati prima del diploma, altri dopo. Ho dedicato parte del biennio 2018-2019 a scrivere sviluppando la libertà di divertirmi, sperimentando con suoni, armonie, i dialoghi fra gli strumenti. Poi sono tornato a Lagos e sono stato sollecitato dall’esperienza di vivere questa città, i problemi cui deve far fronte la Nigeria e che sono riflessi nelle parole che ho scritto per le canzoni, riprendendo a studiare la storia, che in Nigeria, a scuola, non viene insegnata. Mi sono ritrovato con lo stesso spirito di mio padre di fronte a questi fatti e anche se avevo già scritto molto a suo tempo ho rimesso mano a molte cose per veicolare il mio attuale modo di sentire”. Il risultato è un album zeppo di idee, ma anche solido e coerente, con Madi che ha inciso in prima persona non solo voce e sax, ma anche tutti i cori, le percussioni, la batteria, i fiati e la sezione ritmica, rinsaldando i legami familiari con la voce dei fratelli e delle sorelle in “Hymn” e del padre in “Blood”, in questo caso con una torsione funk che interroga la passività di fronte al malgoverno. Il recente concerto per KEXP li ha visti ancora una volta insieme, a intersecare i reciproci repertori con quello di Fela: Legacy! 


Alessio Surian

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