Benvenuti nel bel mezzo dell’Oceano Indiano, nella piccola isola di Rodrigues, appartenente alla Repubblica di Mauritius ma con statuto autonomo. Il suo nome deriva da quello di Diego Rodrigues, timoniere di una flottiglia portoghese che, navigando alla volta di Goa sotto il comando di Pedro Mascarenhas, passò attraverso le isole nel 1538. Tra il XVII e il XIX secolo a Rodrigues furono trasportati schiavi dall’Africa continentale e dal Madagascar: dunque, una terra d’esilio, una terra creola passata attraverso le vicende politiche di diverse dominazioni coloniali europee (Portogallo, Olanda, Francia e Gran Bretagna). Oggi, Rodrigues conta circa 40.000 abitanti, in prevalenza di origine africana, con minoranze di europei, cinesi e indiani. Nonostante un secolo e mezzo di dominio britannico le lingue dell’isola sono il francese e il francese creolo (rodriguais). Dall’isola dell’arcipelago delle Mascarene provengono i Sakili, un trio di solisti formatosi a seguito di un tour nord europeo, che accoglie alcuni tra i più noti artisti locali. Il primo è Francis Prosper, voce potente e calda ma pure gran percussionista (suona un tamburo a cornice). Poi c’è Vallen Pierre Louis, appartenente a una nota famiglia musicale, anch’egli tra i migliori artisti dell’isola: è un cantante e suonatore di kabossy, sorta di piccola chitarra dalla cassa armonica quadrangolare, diffusa anche in Madagascar. Infine, c’è il terzo membro, Ricardo Legentil, che suona la fisarmonica, il principale strumento melodico di lascito coloniale.
Come nelle altre isole del sud-ovest dell’Oceano Indiano, il genere più popolare a Rodrigues è il séga, scandito da un ritmo di 6/8 ma sviluppato in varianti dalla differente velocità nell’arcipelago delle Mascarene: più lento alle Seychelles, più veloce a Mauritius e alla Réunion e ancora di più a Rodrigues, dove è chiamato séga tanbour. Si tratta di una vibrante miscela di musica, canto e danza le cui origini vanno ritrovate nelle comunità di schiavi africani che improvvisavano musiche e danze di notte all’aperto accanto ai falò. A lungo il séga ha subito l’opposizione e finanche le proibizioni delle autorità coloniali e ha, naturalmente, suscitato il panico morale della Chiesa Cattolica, sempre preoccupata di disciplinare i corpi oltre che le menti. Soltanto negli anni Cinquanta del secolo scorso è stato sdoganato ed è stato investito di una nuova dimensione, in relazione alle nuove narrazioni discorsive ed estetiche post-coloniali associate all’appartenenza locale e alle forme di promozione turistico-esotica delle isole di questa parte d’Africa. Oggi, tre tipi di séga (quello tradizionale di Mauritius, il séga tanbour di Chagos e quello di Rodrigues) sono stati inseriti nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità dell’UNESCO.
“Creole Sounds from the Indian Ocean” rivela un effervescente trio che presenta temi tradizionali e di nuova composizione tratteggiando piccole storie locali, spesso di valenza universale. Prendete la prima traccia, “Ma Ninine”, in cui un innamorato intende fare sapere del suo cuore infranto all’amata emigrata a Mauritius. La musica è un mélange che fa trapelare una varietà d’influenze, a partire dalla fisarmonica che può spaesarci e farci credere di essere finiti in Louisiana o il call & response a cappella che ricorda espressioni musicali del Canada francofono. Si prosegue tra valzer, scottish, polche (ascoltate soprattutto “Misié Benet”) e, naturalmente, ritmi séga, la cui pronuncia poliritmica ci riporta nel continente africano (“Melda”). Imperdibile, poi, la storia di quel simpatico furfante del bisnonno del vocalist Vallen, cantata in “Ti Pierre Louis”. D’improvviso, ecco che il bayou in un certo senso si materializza per davvero, quando parte il séga blues, “Solitaire”, titolo derivato dal nome di un uccello, più grande di un pollo e anch’esso inadatto al volo (è il Solitario di Rodrigues, scientificamente denominato Pezophaps solitaria), estinto perché cacciato dai colonizzatori come cibo. Il messaggio ambientalista è rivolto ai più giovani, invitati a rispettare la natura dell’isola. In conclusione, ritorna l’irrefrenabilità festiva con la polka “Misie semiz afler”, che si balla che è un piacere.
Ciro De Rosa
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