Balkan Taksim – Disko Telegraf (Buda Musique, 2021)

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“Disko Telegraf” è il debutto discografico di Balkan Taksim, il progetto di Sașa-Liviu Stoianovici, multistrumentista di Bucarest, e di Alin Zăbrăuțeanu, produttore di elettronica. In ambito world l’accoppiata produttore e multistrumentista è solo la punta dell’iceberg di una produzione musicale locale che sintetizza stilemi del posto – qualunque esso sia! – e lessici pop. Va anche detto che questo approccio non funziona sempre, non tanto per l’incompatibilità di due linguaggi – qualunque essi siano – ma per la superficialità dell’approccio creativo. Di dischi così ne abbiamo visti troppi: con la spinta EDM, qualche frammento melodico in minore armonica ripetuto fino alla nausea, e un improbabile collage di strumenti feticizzati a rappresentare la Babele acustica del XXI secolo. “Disko Telegraf” non rientra assolutamente in questa categoria, è un album con integrità strutturale ed una sua coerenza stilistico-semantica. I punti di partenza sono le culture slave, le musiche balcaniche e soprattutto l’antica musica rumena, rivisitate in chiave elettronica, psichedelica ed hip-hop. Kit elettronici accostati alla darbouka preparano un tappeto ritmico che sa essere disteso nei brani psichedelici e nei lenti, ma anche ballabile (e mai esagerato) quando serve la cassa in quattro per ravvivare gli animi. Eccellente il lavoro di sound design, forse il vero collante del disco con le sue colorazioni atmosferiche, riverberi riflessivi e appropriatissimi suoni sintetici. La voce canta raramente in maniera convenzionale, e preferisce mimetizzarsi nel retroscena lasciando le melodie al saz che fa un palese occhiolino al rock anatolico. La band ha rilasciato un piccolo antipasto ad aprile, un EP di 4 brani che ritroviamo poi nell’album completo.
“Žali Zare” è, se messo a confronto con il disco finale, un EP mediocre e non particolarmente accattivante. I brani che lo costituiscono, ho scoperto poi con grandissimo piacere, non sono i migliori del disco né per efficacia né per coerenza stilistica. Eccezion fatta per “Lunca”, una canzone d’amore ispirata ad un brano tradizionale dal sud della Romania, e per certi aspetti di “Anadolka”, un classico dei Balcani ridipinto con un tocco ottomano e parvenze di pop-rock slavo, l’EP è abbastanza monotono. Certo, un EP necessita di immediatezza e di tiro e non poteva certo contenere i nove incredibili minuti di “Ankara Expresi”, un tributo onirico al treno che connetteva Ankara e Istanbul. Un brano che nasce e muore in una nebbia ambient, dove il saz volteggia libero nei ricordi, pur conservando l’anima movimentata e notturna delle due città nella sezione centrale. Anche “Balkan Teleskop” non avrebbe funzionato, perché pur essendo un gioiellino di produzione non ha la costanza necessaria per un singolo. Lo stesso vale per “Mortu”, il cui sound iper-moderno e trascinato non è sufficiente a distrarre dal testo: poetico ma decisamente cupo. Ma un brano come “Ușak Ekspresi”, col suo fantastico intreccio tra basso e percussioni, avrebbe funzionato meglio di “Zalina”, che non riesco proprio a farmi piacere nonostante i suoi 360000 ascolti su Spotify, ma probabilmente questo è un problema solo mio. 
Un aspetto che trovo personalmente interessante di questo disco è che parte da una ricerca, nelle parole del duo la ricerca di ciò che può connettere il senso di ciò che è stato e ciò che sarà. Una definizione sicuramente vaga e indubbiamente accattivante in quanto tale, ma non per questo meno vera. Nell’esplorare le musiche dei Balcani Sasa ha viaggiato tanto, lavorando con musicisti locali con cui ha registrato pezzi tradizionali da rilavorare poi in studio. È in questo modo che scopre il saz: casualmente, girovagando in un mercato di una città sull’Egeo. E per questo trovo questo disco interessante, perché il come è spesso più importante del cosa, e qui il come è quasi etnografico. Chiaramente il prodotto non è accademico ma pratico, ma rappresenta la sintesi di rapporti umani, linguaggi, stili ed incontri basati sull’esperienza diretta. Non è certo un disco che nasce dal buio di uno studio casalingo, quello è il luogo dove il disco si trasforma. Non è un album che si appropria di stilemi, strumenti, scale, ritmi e significati ma prende vita da essi. E questo non vuol dire che “Disko Telegraf” sia un disco tradizionale, tutt’altro, ma non è certo pressapochista. È radicato in numerose tradizioni, è influenzato da molti musicisti ed è infine interpretato da due artisti e dalle loro personalissime nature musicali. 


 

Edoardo Marcarini

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