“I Ṛṛways si spostano da un raggruppamento tribale all’altro, a volte rimanendo per lunghi periodi nelle Kasbah dei caïds più generosi. I loro predecessori sono i rapsodi dell’Antica Grecia, i menestrelli e i giullari medievali”, così si esprimeva, poco meno di un secolo fa, Léopold-Victor Justinard, militare francese, studioso e specialista della lingua e cultura tachelhit, l’idioma berbero parlato nella regione del Souss e nella parte meridionale dell’Alto Atlante marocchino. Justinard non è stato il solo a occuparsi dell’arte dei poeti-cantori girovaghi, la tiṛṛuysa, di cui, nel tempo, hanno parlato numerosi viaggiatori, ricercatori e musicologi.
Prestito dalla lingua araba, in cui significa “capo” o “padrone”, il termine ṛṛays (il plurale è ṛṛways) e il suo corrispettivo femminile taṛṛayst (plurale taṛṛwaysin) individua cantori e cantatrici professionisti di cultura Amazigh che percorrevano le campagne dell’Alto Atlante occidentale, dell’Anti-Atlante e del Souss esibendosi in troupe. Le prime testimonianze su questa pratica risalgono allo scorcio finale del XIX secolo: queste compagnie itineranti che compivano l’amuddu, il viaggio performativo attraverso il Marocco, includevano anche danzatori e acrobati. Se da un lato si riconosce che nelle comunità berbere del Marocco meridionale i fatti musicali hanno segnato le principali occasioni sociali, dall’altro – come osserva lo studioso Aboulkacem-Afulay El Khatir” – le attività dei poeti cantori va inquadrata all’interno dei processi di cambiamento interni alle comunità berbere di fronte ai rivolgimenti economici e politici del Marocco di fine Ottocento.
L’organizzazione sonora della musica Amazigh si fonda sulla scala pentatonica, articolata in quattro diversi modi, anche se non mancano influenze provenienti da modi egiziani, libanesi e iracheni o, ancora, dalle strutture musicali occidentali. Ciò detto, l’uso della scala pentatonica lascia spazio a personali e originali procedure interpretative da parte degli esecutori. I canti trattano tematiche universali e senza tempo, come l’amore, la natura o il rispetto di Dio. Però, nella poetica berbera trovano spazio anche motivi contemporanei, tra cui commenti sui cambiamenti sociali, sulle condizioni dell’emigrante o sulle aspirazioni delle nuove generazioni.
La parola cantata è al centro di quest’arte, ma non meno importante è l’aspetto strumentale. Il ribab, la viella monocorde, suonata dal cantore leader della troupe, si è imposto come strumento principale all’inizio XX secolo. Tuttavia, gli ensemble sono dotati di altri strumenti, tra cui primeggia il liuto a tre corde luṭaṛ.
C’è poi il taswisit, che è un altro liuto più piccolo di dimensioni affine al ngoni subsahariano, l’hajhouj, che non è altro che il guembri usato anche dai musicisti delle confraternite Gnawa, il flauto lɛwwad, le percussioni metalliche nnaqus, i sonagli di rame nwiqsat, i tamburi a cornice allun e bendir, la coppia di tamburi ṭbilât e il tṭbel, tamburo bipelle percosso su entrambi i lati. Più di recente, altri strumenti sono stati innestati nella musica dei Ṛṛways: prima il violino occidentale, quindi, nei tardi anni ’90 del secolo scorso il banjo, le chitarre e la batteria.
La performance delle compagnie si compone di più fasi: si parte con l’astara, un’introduzione strumentale affidata al ṛṛays o alla taṛṛayst che dà la nota melodica di base; segue la poesia cantata, l’amarg, con le sequenze improvvisative che costituiscono il cuore dell’evento musicale, in cui un coro ripete in forma responsoriale le strofe della prima voce. Successivamente, parti danzanti si alternano al canto e ad altre transizioni strumentali in un crescendo ritmico che porta alla conclusione dell’esibizione. Nel tempo, da pratica comunitaria l’arte dei poeti e delle poetesse, emerse nel frattempo a tal punto da assumere ruolo di primo piano in questo genere, ha eletto a proprio palcoscenico le piazze delle città, a cominciare dalla famosa Jemaa El-Fna di Marrakech, ma anche di altre città come Tiznit o le cosmopolite Agadir e Casablanca.
Di fronte al fatto che quest’arte possa rischiare sempre più di disperdersi con il modificarsi del gusto e della fruizione delle musiche, un équipe marocchina ha messo a punto l’impresa di fissare su disco i repertori dei cantori Amazigh del presente al fine di recuperare e valorizzare questo patrimonio.
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