Le canzonette secondo Pier Paolo Pasolini - I Parte

#I PARTE

Pier Paolo Pasolini è probabilmente la figura più importante e allo stesso tempo controversa della storia culturale italiana del Novecento. Nella commemorazione funebre Alberto Moravia grida: “Abbiamo perso prima di tutto un poeta e poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono soltanto tre o quattro dentro un secolo. Quando sarà finito questo secolo Pasolini sarà tra i pochissimi che conteranno come poeta: il poeta dovrebbe esser sacro”. Moravia ha ragione, da ogni punto di vista. La poesia è il minimo comun denominatore di ogni lavoro artistico di Pasolini e non solo; la poesia è il collante anche nei suoi saggi sulla poesia popolare, nel Canzoniere, nei saggi su Bach. E forse, in qualche modo, è sempre la poesia a segnare la strada anche nell’approccio visionario e polemico del Pasolini corsaro. Ed è poetico, naturalmente, il suo rapporto con la musica, alla quale si è avvicinato sempre con rispetto e passione. Dichiara anche di aver voluto essere uno scrittore di musica e pur non potendolo essere, ha con la stessa un rapporto creativo, da vero e proprio “musicista” senza strumento. Anche se uno strumento Pasolini lo ha eccome e lo sa suonare meglio di tutti: la sua testa vorticosa, geniale, contraddittoria, complessa, rinascimentale, caratterizzata da quella “disperata vitalità”, che è forza assoluta del poeta, ma anche inquieta condanna dell’uomo. Intellettuale, regista, scrittore, poeta, Pasolini disegna e ha una visione pittorica della vita. 
La rappresenta nei suoi film e la musica in questo contesto non è un contorno, ma elemento essenziale del complesso artistico, come – ci si consenta l’azzardo – la luce in Caravaggio. Pasolini ama la musica “seria”, è “ossessionato” da Bach e da Mozart; e ha interesse e curiosità per la musica popolare, nel senso stretto e vero del termine. Guarda invece al mondo delle canzoni – soprattutto quelle italiane, che considera intellettualmente volgari – come un prodotto corrotto della borghesia e però, suo malgrado, ha un rapporto anche con quel tipo di musica che gli “gira intorno”. Lui le chiama canzonette. Questo articolo intende raccogliere gli appunti sparsi intorno a questa storia che lega il poeta alle canzoni; in realtà bisognerebbe affrontare l’argomento più vasto del suo rapporto con la musica: un tema che nelle infinite possibilità di approfondimento e studio che il grande artistyle="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"sta consente e promette, sembra avere un ruolo marginale. Eppure senza la musica alla sua opera mancherebbe una parte importante ed essenziale. È però purtroppo impossibile affrontare un tema così vasto in un articolo solo. Ci limiteremo alle canzoni, anche se non mancheranno certo i doverosi accenni al complesso mondo sonoro di Pasolini. Appare necessario specificare che non esistono abbastanza fonti sull’argomento Pasolini e la Musica; quelle che esistono sono però approfondite ed essenziali; inoltre non mancano gli appassionati e i ricercatori che pur non avendo pubblicato, hanno continuato tuttavia ad approfondire e a raccogliere informazioni. Esistono poi musicisti e artisti che hanno messo mano alla materia proprio perché innamorati di Pasolini e la sua opera è stata per loro fonte costante di ispirazione. E se l’argomento è stato affrontato solo a margine della sterminata bibliografia intorno al Poeta, probabilmente è dovuto al fatto che l’arte di Pasolini ha avuto compimento in forme diverse da quelle musicali, tranne rare eccezioni. Cercheremo in questa sintesi di dare conto di alcuni lavori intorno all’argomento. 
 Lo faremo partendo però soprattutto dalle sue stesse parole. Nel 1956, sulla rivista Avanguardia, Pasolini rilascia una dichiarazione in un articolo dal titolo “Rinnoviamo i canzonieri”. Il giornale chiede l’opinione di alcuni poeti sulla possibilità di scrivere i testi delle canzoni. Pasolini è fresco dei suoi studi sulla poesia popolare e parte proprio da lì: “Ogni nazione possiede una propria tradizione di poesia popolare: musica e testi poetici. Lo stile musicale di una nazione si evolve assai lentamente (...). Quanto alla forma poetica, essa generalmente "discende" dagli strati colti e dominanti della nazione (...) e acquista poi, nel popolo, caratteri propri (...). (In Italia) Tutto questo è stato per secoli un patrimonio sconosciuto o noto al solo popolo che ne faceva uso. Dalla seconda metà dell'Ottocento in poi, con l'ideologia romantica e il risorgimento nazionale, se ne è presa coscienza. E la borghesia ha cercato in parte di acquisire tale patrimonio; l'intervento colto ha fatto sì che i canti popolari in qualche modo si "commercializzassero". (...) A tal punto stavano le cose, quando si è cominciata a diffondere la moda del jazz e della canzonetta di tipo negro-americano. Che, nella tradizione popolare italiana, è un fenomeno del tutto nuovo. È nella piccola e media borghesia che il nuovo gusto ha cominciato ad affermarsi, e dalla quale, attraverso la radio e il cinema, si è diffusa largamente e profondamente in tutti gli strati del popolo. Insomma si può dire che l'odierna canzonetta non sia che un aspetto della diffusione ideologica della classe dominante sulla classe dominata. Stando così le cose, non vedo perché sia la musica che le parole delle canzonette non dovrebbero essere più belle. Un intervento di un poeta colto e magari raffinato non avrebbe niente di illecito. Anzi, la sua opera sarebbe sollecitabile e raccomandabile. Personalmente non mi è mai capitato di scrivere versi per canzoni: ossia, come alla maggior parte dei miei amici, non mi si è presentata l'occasione. Musicisti e parolieri si sono stretti in un impenetrabile clan, si sono ben protetti dalla concorrenza (e si capisce, i diritti di autore fruttano talvolta milioni). 

Quanto a me, credo che mi interesserebbe e mi divertirebbe applicare dei versi a una bella musica, tango o samba che sia”
. Torna sull’argomento nel 1964 su un articolo di Vie Nuove, specificando meglio il suo pensiero e la sua classificazione piccolo borghese delle canzonette: "Sulle "canzonette" potrei dare due tipi di risposte del tutto contrari. Niente meglio delle canzonette ha il potere magico, abiettamente poetico, di rievocare un "tempo perduto". (...). Le "intermittences du coeur" più violente, cieche, irrefrenabili sono quelle che si provano ascoltando una canzonetta. (...). Il modo immediato che io ho di mettermi in rapporto con le canzonette è dunque particolare, e non so prescinderne. Non sono un buon giudice. Soffro inoltre di antipatie e simpatie profonde per i cantanti e le melodie (il massimo dell'antipatia è per la canzonetta "crepuscolare" di cui potrei dare come paradigma "Signorinella pallida"...). Aggiungo infine che non mi dispiace il timbro orgiastico che hanno le musiche trasmesse dai juke-boxes. Tutto ciò è vergognoso, lo so: e quindi contemporaneamente devo dire che il mondo delle canzonette è oggi un mondo sciocco e degenerato. Non è popolare ma piccolo-borghese. E, come tale, profondamente corruttore." Nella ricerca volta alla realizzazione di un radio documentario in undici puntate su questo argomento, dal titolo “Pier Paolo Pasolini. Appunti musicali” – preceduto da un altro speciale radiofonico, del 2015, dal titolo “Pasolini secondo la Radio” – per la radio digitale specializzata Rai Radio Techeté, la persona che scrive questo articolo ha ritrovato una intervista grezza – cioè non montata e non si sa nemmeno se mai andata in onda – del 1970 (o al massimo della fine del 1969, come si deduce dall’intervista stessa), in cui ai microfoni della giornalista Marina Como, Pier Paolo Pasolini si lascia andare sull’argomento “musica e canzonette” e rivela anche qualche gradimento particolare. L’intervista viene realizzata per il programma “Serio ma non troppo” di Radio Uno. Ed eccone alcuni passaggi: 
“Ascolto genericamente della musica classica, sono ossessionato da Bach o da Mozart; quando non ascolto musica classica allora ascolto musica popolare, ma quella vera, cioè quella raccolta da etnologi, quella che ho adoperato per esempio come commento musicale di Medea: canti tibetani popolari, canti iraniani, eccetera, ma insomma non riesco mai a staccarmi da Bach e da Mozart.”
Incalzato dalla Como che gli chiede se si disinteressi completamente della musica leggera, risponde: “Non è che non mi interessi assolutamente, perché amando la vita in tutti i suoi aspetti l’amo in certo senso anche in questo aspetto che io considero intellettualmente piuttosto volgare e di basso livello in Italia. La musica leggera italiana mi sembra veramente brutta, però ci son certi momenti in cui non si può prescindere dal fatto che questa musica leggera ci sia. Non so, risentendo certe canzonette di dieci anni fa c’è un po’ quel fenomeno che Proust chiama intermittences du coeur: se improvvisamente sentite delle note pur stupide di dieci anni fa improvvisamente un brano del mondo come era dieci anni fa appare ai nostri occhi, quindi la musica leggera è molto legata alla nostra vita quotidiana, misteriosamente legata alla nostra vita quotidiana, quindi un certo amore ce l’ho per questa musica leggera. Certo poi a livello intellettuale devo fare delle scelte piuttosto rigorose. L’unica musica contemporanea che mi è piaciuta in questi ultimi tempi naturalmente è quella dei Beatles o quella dei Rolling Stones, ecco. In Italia forse dell’Équipe 84, qualcosa”. Interrogato sul tema importante del contenuto che può o non può avere una canzone, prosegue: “Io non generalizzo: per esempio ci sono alcune canzoni napoletane della fine dell’800 e inizio ‘900 che non davano nessun messaggio di carattere politico o ideologico. Erano semplicemente canti d’amore o d’allegria o di vitalità, eppure erano bellissime. E così certe canzonette francesi molto poetiche. Io stavo parlando in particolare della musica leggera italiana dagli anni Trenta, cioè da quando ero ragazzo io, ad oggi. 
Non ha mai avuto un momento di splendore, di poesia, o anche di un certo realismo; insomma è stata sempre una cosa superficiale, puramente commerciale.”
Ricapitolando quindi, Pasolini non ama le canzoni italiane, le trova stupide, commerciali, piccolo borghesi. Ritiene che i testi potrebbero essere più poetici, non disdegna la possibilità di cimentarsi, ma considera quella dei parolieri una lobby chiusa nel difendere soprattutto la parte commerciale. Non salva i contenuti della nascente canzone d’autore: non salva apparentemente Tenco, scomparso pochi anni prima, non salva Paoli, non sappiamo se conosca la musica di Ciampi. Ha parole buone per Modugno nell’intervista citata, ma tace sul suo lavoro, e su quello di Endrigo che ha musicato un suo brano, come vedremo. Ama invece i suoni nuovi, ama quindi i Beatles, i Rolling Stones, l’Équipe 84. Per quanto riguarda le canzoni ci pare un interessante punto di vista e di partenza. A queste informazioni è però necessario aggiungere quelle che, rispetto alla musica, ci ha fornito anche Laura Betti; la citiamo in due diverse interviste radiofoniche. La prima è del 1982, ed è realizzata all’interno del programma Pomeriggio Musicale: “Pier Paolo la musica la sentiva proprio nella vita: la vita per lui era musica. Quindi per lui la musica era naturale e inclassificabile (...); certo aveva delle preferenze però poi passava per Vivaldi, buttati su Mozart, passa a qualcun altro e poi Amado mio”. Amado mio è proprio l’intermittance du coeur più importante per Pasolini. Lo spiega lui stesso anche nell’intervista a Marina Como e soprattutto è importante riferimento in un racconto autobiografico uscito postumo. Nel 1993 la Betti è ospite di Radio Tre Suite e svela altre informazioni interessanti, dicendo che Pasolini “... era un grandissimo ballerino di tango e adorava ballare. (...) alla musica va aggiunto il ballo perché io ho ballato più di tutti con Pier Paolo e con una coscienza professionale che non finiva più.” Oltre il Tango, spiega l’attrice, anche il madison e il twist. 
Ma al di là di questa che può sembrare una nota di colore – anche se evidentemente non lo è – Laura Betti spiega ai microfoni di Radio Tre altri passaggi importanti, rispetto all’importanza che la musica andava a ricoprire nel momento in cui si facevano i film e prima di girarli. “... per esempio agli inizi della musica lui ne parlava molto con Elsa Morante, che siccome era un temperamento focoso, ogni volta che Pier Paolo diceva una cosa che non gli andava lei faceva delle urla che arrivavano al soffitto e tirava su l’ombrello e l’agitava, ma insomma... però Pier Paolo aveva una profonda ammirazione per la musica. Non solo: era quasi umile di fronte alla musica, come se fosse davvero qualcosa di talmente immenso come è, che lo intimidiva, lo rendeva davvero più che umile, insomma. Aveva più conoscenza forse Elsa, più cultura musicale, ma lui aveva un istinto straordinario e quello di cui lui non poteva fare a meno mai, anche nel lavorare, era Mozart, soprattutto Bach, Vivaldi, però aveva un gusto delle contaminazioni, era lui che ha scoperto la Missa Luba, certe musiche giapponesi, per i film. Anche nel jazz, nel jazz colto, aveva un’avidità di scoprire straordinaria ed erano momenti bellissimi quelli della ricerca dei film, bellissimi.” Impossibile affrontare in questo contesto il tema delle colonne sonore del cinema pasoliniano, ma per arrivare a comprendere anche il suo lavoro di “paroliere” è fondamentale tenerne conto. I testi scritti da Pasolini sono infatti essi stessi delle sceneggiature, delle immagini, dei cortometraggi. O, se vogliamo, dei quadri. Perché se tutto nella sua opera è poesia, tutto nella sua opera è anche pittura. Un importante approfondimento sul tema è però dato nel lavoro di Claudia Calabrese “Pasolini e la musica, la musica e Pasolini: correspondances” (Diastema), volume indispensabile e non solo da questo punto di vista. Indispensabile appare pure l’intervista a Ennio Morricone, disponibile anche in video, pubblicata da Città Pasolini e tratta dal volume di Alessandro De Rosa “In His Own World”. Infine, va ricordato il primo lavoro sistematico sull’argomento, realizzato da Roberto Calabretto: “Pasolini e la musica”, reperibile ancora e disponibile in qualche biblioteca italiana, del 1999. 

Elisabetta Malantrucco

Immagini selezionate da Marco Sonaglia

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