Le canzonette secondo Pier Paolo Pasolini - II Parte

La seconda parte di questo intervento tenterà di affrontare nel dettaglio il rapporto diretto avuto da Pier Paolo Pasolini col mondo delle canzoni. Nel 1959 si presenta la prima concreta occasione “professionale” per scrivere i testi di alcuni brani, ma va ricordato che già nei primi anni Quaranta Pasolini aveva cominciato a scrivere villotte e altri testi poetici in lingua friulana, musicate poi dalla musicista Pina Kalĉ e da Giovanna Bemporad. E poco prima di affrontare su “Avanguardia” il tema delle canzonette e dei testi – come abbiamo visto nella prima parte di questo articolo – il poeta pubblica nel 1955 la monumentale opera del “Canzoniere italiano”, una raccolta di canti e poesie popolari di tutta Italia, con una introduzione ricchissima. Un lavoro molto criticato successivamente dagli studiosi, ma che porta con sé tutta la forza della novità e tutto il gusto poetico del curatore. La critica principale che è stata mossa a Pasolini è quella della mancanza di una ricerca musicale che accompagni il volume. Non è questo il contesto per affrontare quale fosse all’epoca lo stato del lavoro sul campo, a che punto fossero le registrazioni o dove fosse Carpitella. Ma è senza dubbio da consultare il volume di Domenico Ferraro: “Roberto Leydi e il Sentite buona gente” (Squilibri), che approfondisce l’argomento e spiega come in realtà Pasolini avrebbe dovuto muoversi in origine insieme con i ricercatori sul campo, ma che l’attesa sarebbe stata in effetti troppo lunga e che quindi avesse scelto di pubblicare. 
Ma eccoci finalmente arrivati al 1959, con Laura Betti che già da un paio di anni sta chiedendo agli amici intellettuali e artisti di trasformarsi in parolieri. Il tutto per realizzare un formidabile spettacolo, dal titolo “Giro a vuoto”, che debutta nel 1960, per la regia di Filippo Crivelli. Sono in molti ad aderire all’appello della Betti: tra gli altri Flaiano, Moravia, Arbasino, Fortini e naturalmente Pier Paolo, che fresco dei suoi romanzi dialettali “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta” (dove – accenniamolo – sono molto i riferimenti alle canzoni che fanno da “colonna sonora” alle vicende dei protagonisti) le scrive tre canzoni con protagoniste tre prostitute romane (o forse è sempre la stessa persona in vari momenti di vita). Si tratta del Valzer della toppa e Macrì Teresa detta Pazzia, con la musica di Piero Umiliani, e Cristo al Mandrione, musicata da Piero Piccioni. Dieci canzoni dello spettacolo vengono inserite in tre EP pubblicati nel 1960. Di Pasolini vengono scelte Macrì Teresa e il Valzer della toppa. Cristo al Mandrione esce invece su disco nel 1972, in un album collettivo di canzoni in romanesco. È una esperienza che Laura Betti ricorda, sempre ai microfoni di Radio Tre, con allegria, spiegando come cantare in romanesco fosse stato per lei davvero complesso e come fosse stata in grado di farlo solo grazie all’aiuto di Sergio Citti e malgrado i rimproveri di Pasolini. La canzone delle tre più famosa è senza dubbio Il Valzer della toppa, portata al successo popolare da Gabriella Ferri e coverizzata talmente tanto da diventare un classico della canzone “romana”. Sempre in queste interviste radiofoniche su Radio Tre, anche un po’ scherzosamente, Laura sostiene di non essere mai stata contenta di queste cover; la cantautrice Bianca “La Jorona” Giovannini” racconta per il documentario radiofonico “Pier Paolo Pasolini. Appunti Musicali”, già citato nella prima parte di questo articolo, che Luisa De Santis – che a lungo ha cantato con la Ferri – ebbe modo di raccontarle una telefonata di Gabriella alla Betti per chiederle il permesso. Pare che il consenso della Betti fosse però minaccioso: “Se me la rovini...” 
Per tornare alle tre canzoni, come già scritto, e come sempre in Pasolini, più che di testi, si tratta di immagini, di quadri, di rappresentazioni sacre potremmo azzardare a dire, nell’eterno contrasto pasoliniano, che poi è anche totale comunione, tra Dio e la “Passione” degli umili, dei diseredati, delle puttane: è la crocefissione con indigestione del sottoproletario nell’episodio cinematografico del film RO.Go.Pa.G del 1963 “La Ricotta”, ovvero è Bach che si fa colonna sonora e colonna portante nella rissa di “Accattone”. E per tornare alle canzoni, in questo senso Cristo al Mandrione è addiruttura straziante. E, va detto, particolarmente moderna dal punto di vista musicale. Nella seconda edizione di “Giro a vuoto”, Pasolini regala un’altra perla alla sua grande amica Laura: si tratta della “Ballata del suicidio”. La musica è di Giovanni Fusco. Betti però la incide solo in versione francese (“La parade du suicide”, traduzione di Jean Rougeul). La prima incisione in italiano risale al 1989: a cantarla Grazia De Marchi nell’album Tutto il mio folle amore, che raccoglie le canzoni del poeta e nasce da uno spettacolo ideato e curato dal giornalista e storico della canzone Enrico de Angelis, appassionato di Pasolini e del suo lavoro musicale e al quale dobbiamo molto per la realizzazione di questo e altri lavori sull’argomento. Da questo spettacolo ne nascerà un altro, insieme con Duilio Del Prete, dal titolo “Realgar”: l’idea è mettere a confronto – grazie alle voci dei due artisti – le canzoni di Calvino con quelle di Pasolini. Il tutto col patrocinio del Club Tenco. Altra versione del brano è quella di Anna Nogara, nella raccolta Luna di giorno, del 1995, curata dal giornalista e cantautore Luciano Ceri, con la supervisione e il benestare della stessa Betti. Anche a Luciano, e in particolare al suo articolo “Intermittenze del cuore” (Vinile, n. 1, 2016) dobbiamo molto per la stesura di questo articolo. Un’ulteriore versione è quella di Aisha Cerami contenuta nell’album Le canzoni di Pier Paolo Pasolini. Con Aisha Cerami, Nuccio Siano e Roberto Marino, del 2007. In questo disco Marino ha musicato anche Chi è un teddy boy, brano anch’esso destinato a Laura Betti, ma rimasto inedito tra 
le carte di Pasolini, insieme a Tango de li sette veli (canta Nuccio Siano), Beguine, Ay desesperadamente e Dedica (canta Aisha Cerami). In realtà Dedica era già stato musicato nel 2002 da Sandro Stellin del gruppo I Dis Robàs, in un album che raccoglie alcune liriche del poeta in friulano. Sempre per Laura Betti, Pasolini scrive una poesia dal titolo “Marilyn”, dedicata alla Monroe, scomparsa nel 1962. Il brano è solo recitato e viene musicato da Marcello Panni, ma non viene inciso e non è chiaro se venga regalato all’amica Laura per la terza edizione di “Giro a vuoto” del 1963, come afferma Ceri, o per l’altro suo spettacolo, “Potentissima Signora”, che debutta nel 1964. Verrà incisa finalmente dalla Betti in Luna di giorno, con le musiche di Luigi Cinque, scritte per l’occasione. Nel documentario radiofonico già citato, Luciano Ceri e Luigi Cinque raccontano le vicende straordinarie di quella particolare incisione. Tralasciando necessariamente i famosi stornelli di “Mamma Roma”, cantati da Anna Magnani, Franco Citti e Maria Bernardini (ricordiamo che la colonna sonora del film è curata da Carlo Rustichelli), torniamo al 1962, quando avviene l’incontro tra Sergio Endrigo e Pasolini, grazie a Ennio Melis dell’RCA, che pensa di far scrivere delle ballate sui ragazzi di vita per il cantautore istriano, che ha appena inciso con buona fortuna Via Broletto. Pasolini però in quel momento sta partendo per l’Africa, inseguendo alcuni suoi progetti e non ha tempo per scrivere qualcosa di nuovo; suggerisce quindi di scegliere dei versi dalla sua raccolta “La meglio gioventù”. Endrigo si innamora de “Il Soldàt di Napoleon”, ma gli chiede di cantarla in italiano e di ridurla. Pasolini accetta e gli suggerisce di usare la sua versione italiana in nota. Ne esce un piccolo gioiello, che però non viene mai mandato in Rai a causa della scena truculenta in cui il soldato squarcia il ventre del cavallo per ripararsi dal freddo e dalla neve. Non accettando la censura e rifiutandosi entrambi di modificare il testo, il pezzo è stato ingiustamente trascurato. Questa poesia viene anche cantata dai già citati Dis Robàs, ma con altra musica e rigorosamente nella versione friulana. Pochi anni dopo Pasolini inconta un altro grande cantautore. È Domenico Modugno, a cui viene affidato il compito di cantare i titoli di testa del film “Uccellacci e uccellini” con Totò e Ninetto Davoli. 
Il testo è di Pier Paolo – che svela anche tutta la sua buona dose di ironia – e la musica è di Ennio Morricone. L’anno successivo, per il film a episodi “Capriccio all’italiana”, Pasolini chiede a Modugno di partecipare come attore e di scrivere la musica del brano che lo stesso cantautore pugliese canta nel film. SI tratta dell’episiodio – e dell’omonimo brano - “Che cosa sono le nuvole”, sempre con Totò e Ninetto, questa volta trasformati in burattini con i fili, portati a “morire” in una discarica proprio dal Mimmo nazionale. Il perché è noto: sono marionette di Otello e Jago, ma nell’ultima rappresentazione il pubblico mostra di non apprezzare affatto tutta la storia, e così viene deciso di disfarsene. Proprio in quel momento, abbandonati, i due scoprono la bellezza delle nuvole (“straziante, meravigliosa bellezza del Creato...”). Il tema di Modugno si trasforma in un adagio di Mozart. Per approfondire sull’argomento consigliamo di nuovo le pagine di Claudia Calabrese nel volume già citato nella prima parte dell’articolo: “Pasolini e la musica. La musica e Pasolini”. Il testo della canzone musicata da Mimmo è scritto dal poeta ed è una specie di adattamento e montaggio del monologo dell’ “Otello” di Shakespeare. E si tratta di un capolavoro, coverizzato da moltissimi artisti, tra cui, ad esempio, gli Avion Travel e Stefano Bollani. Lo stesso Pasolini riconosce – anche con una certa meraviglia nella voce – la bravura del cantautore in questo brano, nell’intervista radiofonica di Marina Como, riscoperta quest’anno negli archivi Rai e citata nella prima parte di questo articolo. Abbiamo visto come Endrigo abbia utilizzato una lirica di Pier Paolo per una canzone nuova; non sarà il solo in vita e saranno in tantissimi a farlo dopo la sua morte, come proveremo a vedere nella parte finale di questo articolo. Nel 1968 il musicista Ettore De Carolis utilizza tre strofe di un “Notturno” tratto dalla raccolta “L’usignolo della Chiesa Cattolica” e le inserisce nella sua canzone psichedelica Danze della sera, 
incisa col suo gruppo Chetro&Co (un trio composto da lui, Gianfranco Coletta e Gianni Ripani). Il 45 giri che la contiene è prodotto da Vincenzo Micocci e anche da Ennio Morricone, anche se non risulta: “Il progetto di Chetro lo buttai giù sulla tovaglia di carta di un’osteria a Roma. Feci proprio una struttura di come avrei voluto fare il disco, quasi in forma di sceneggiatura. (...) Per me fu spontaneo mettere i versi di Pasolini su Danze della sera, perché proprio in quel periodo amavo molto un suo libro, L’usignolo della Chiesa Cattolica, da cui poi sono tratte le parole della canzone. Lo andai a cercare, ci incontrammo e lui reagì positivamente a questa proposta, non sapeva bene in cosa consistesse la cosa e volle sentire la canzone. Era ben disposto, perché aveva già avuto esperienza con le canzoni, aveva lavorato con Umiliani per due canzoni per Laura Betti. Una volta, mi ricordo che lo incontrai a Roma in un ristorante, dove lui andava spesso; noi eravamo di ritorno da un posto dove avevamo suonato, il disco era uscito da poco e cercavamo di farlo sentire in giro, anche in formazione ridotta con due sole chitarre acustiche, in posti tipo il Folkstudio. E così la facemmo dal vivo, al ristorante, lui era con i suoi amici, c’erano Moravia, Laura Betti...” (De Carolis in Vinile, n. 1 2016). Il rapporto di Pasolini con le canzoni si conclude nel 1974 con un lavoro di traduzione realizzato insieme con Dacia Maraini. Si tratta di due brani inclusi nella colonna sonora del film “Sweet Movie” (i due curano tutti i dialoghi per la versione italiana) del serbo Dusan Makàvejev, con le musiche del compositore greco Manos Hadjidakis: I ragazzi giù nel campo (Les enfants dans le champs, nella versione originale col testo dello stesso compositore e cantata nel film da Maria Katria) e C’è forse vita sulla terra? (Is There Life on The Earth?: nella versione originale il testo è del regista e dell’attrice e cantante Anne Lonnberg, che la interpreta nel film). Le canzoni vengono incise nel dicembre del 1974 da Daniela Davoli. Nel testo de I ragazzi giù nel campo c’è un passaggio che fa tremare i polsi per la sua forza profetica:”i ragazzi giù nel campo / dan la caccia ad un pazzo / poi lo strozzano con le mani / e lo bruciano in riva al mare”. Dopo la morte del Poeta, nel 1975, in tanti scelgono di musicare le sue poesie ed è praticamente impossibile
rendere conto di tutto. Vogliamo ricordare però, tra i molti, "Recessione", (tratto da “La nuova gioventù”), musicato da Mino De Martino (dei Giganti), cantato da Alice nel 1992 e ripreso dal gruppo pugliese Fabularasa nel 2012. De Martino musica, sempre per Alice, anche Febbraio (“La nuova gioventù”) e Al principe (“La religione del mio tempo”). Giovanna Marini fa poi su Pasolini un lavoro enorme e tra l’altro, musica il poema giovanile “I turcs tal Friul” nel 1998 (lo farà anche il cantautore friulano Luigi Maieron nel 2007) e “Le ceneri di Gramsci” nel 2005. Sempre in questo anno il cantautore toscano Massimiliano Larocca musica il Nini muart (Poesie a Casarsa) e nel 2019 Stefano Battaglia e Elsa Martin pubblicano due brani, Ciampanis e L’amuar, nell’album "Sfueâi". Dei Dis Robas e del lavoro di Marino, Siano e Cerami abbiamo già accennato. Infine, anche i Radiodervish riadattano nel 2018 la Profezia del poeta, in Alì dagli occhi azzurri. E per concludere, siccome la “creatività crea”, un accenno va fatto ai tanti artisti che si sono ispirati a Pasolini o a Pasolini hanno reso omaggio. Trascurando per forza di cose – e purtroppo – i tanti compositori (Roberto De Simone, Nicola Piovani, Stefano Battaglia, Remo Anzovino, Ennio Morricone ecc.) vogliamo accennare ad alcuni brani che a lui e alla sua opera sono stati dedicati da tanti cantautori. La prima è Giovanna Marini, che nel 1975 pubblica "Lamento per la morte di Pasolini": una canzone che richiama la scansione delle ore come nei canti popolari della Passione di Cristo in Centro Italia. 
La realizza anche la “Cantata per Pier Paolo Pasolini” (tutto il lavoro sul poeta di Giovanna Marini, e non solo, è edito da Nota). Anche Renato Zero nel 1993 dedica un brano al poeta: "Casal de’ Pazzi" (Evangelisti, Rivieccio, Serio, Zero); esiste poi l’arcinota "Una storia sbagliata", di Massimo Bubola e Fabrizio De Andrè (canzone che nasce nel 1980, commissionata da Rai Due come sigla per il programma “Dietro il processo”); molto belle anche "La giulia bianca" di Flavio Giurato e "Le Ceneri di Pasolini" del già citato Massimiliano Larocca; Maurizio Fabrizio compone Pasolini scrive, per la cantante Linda, mentre Anzovino con Giuliano Sangiorgi realizzano L’alba dei tram per Mauro Ermanno Giovanardi. Non è mai stata pubblicata su disco la bellissima A Pier Paolo Pasolini della band romana Têtes de Bois; tra le più riuscite ed emozionanti canzoni è sicuramente Io so di Pino Marino, che addirittura si immagina un ritorno del poeta sul “luogo del delitto” a ricercare gli occhiali rotti; la forza di una vera denuncia civile del territorio di Ostia è poi Sotto lo stesso cielo di Marco De Annuntiis; pasoliniane all’estremo – anche nelle citazioni - sono le due canzoni di Bianca "La Jorona" Giovannini: "I fascismi ora" e "Le scarpe nòve. Coinvolgente e a tratti straziante "L’angelo ucciso" di Michele Gazich del 2012. Ricordiamo ancora "Non luogo" di Andrea Cassese e "Totem contorto" (dedicato al monumento presso l’Idroscalo di Ostia) dei Garçon Fatal. Non solo Italia: ci sono anche i brani "Ostia". "The Death of Pasolini" dei Coil e "You have Killed Me" di Morrissey. E sono solo una piccola parte del grande lavoro realizzato dal 1975 ad oggi intorno al poeta. Abbiamo voluto lasciare per ultima la canzone che – a parere di chi scrive – ha saputo più di tutte e in pochi versi raccogliere l’essenza poetica dell’opera di Pasolini. Parliamo di A Pa’, brano di Francesco De Gregori. Viene pubblicato su Scacchi e Tarocchi nel 1985: “… è una canzone su una persona che io non ho mai conosciuto ma che amo molto, che ammiro molto”. Il senso della canzone è proprio nel richiamo al “Discorso della Montagna” (Matteo, 5-7), quando Gesù invita a non avere paura del futuro: “Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? (6,26) e “Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede?” (6,28,30). È il Vangelo secondo Matteo e sono i versetti che il poeta ci fa ritrovare anche in «Teorema»: “Tu vivi tutta nel presente. Come gli uccelli del cielo e i gigli dei campi, tu non ci pensi, al domani”, e che fanno scrivere a De Gregori: “E voglio vivere come i gigli nei campi/ e come gli uccelli nel cielo campare/ e voglio vivere come i gigli dei campi/ e sopra i gigli dei campi volare”. E per concludere, non ci resta che rubare proprio un passaggio dell’articolo che il cantautore romano scrive nel 26 ottobre 1995 su L’Unità: “Non si deve parlare di Pasolini solo in termini di assenza, perché Pasolini è caparbiamente presente nella società di oggi, malgrado ogni esorcismo e ogni censura”. Anche nella nostra musica. 


Elisabetta Malantrucco
Immagini selezionate da Marco Sonaglia

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