Questo disco porta di nuovo alla ribalta la RTD, la Radiodiffusion-Télévision de Djibouti (RTD). Siamo a Gibuti, all'estremità meridionale del Mar Rosso, sullo stretto di Bab el-Mandeb, luogo di transito di merci da tutto il mondo e di innumerevoli scambi e prestiti culturali. L’emittente radio-televisiva nazionale vanta un archivio che varca volentieri le frontiere statali e rappresenta uno scrigno ben custodito di tesori musicali dall’Africa orientale, a cominciare da Etiopia e Somalia. Se n’è accorta l’etichetta newyorkese Ostinato che due anni fa ha ottenuto l’accesso alle registrazioni dell’archivio radiofonico: per il primo capitolo della collana discografica “Djibouti Archives" ha scelto il Gruppo somalo 4 Mars, già presenti con la splendida “Na Daadihi” in una precedente raccolta targata Ostinato, “Sweet As Broken Dates”. Il “4 marzo” celebra la Fondazione, nel 1977, del Rassemblement populaire pour le Progrès (RPP), il partito che ha preso il potere a Gibuti dal giorno dell’indipendenza dalla Francia, il 27 giugno 1977. I 4 Mars sono stati l’orchestra del partito, un invito musicale all’unità nazionale. Su questo aspetto alcuni titoli di canzoni sono espliciti: da “Dhulka Hooyo / Motherland” a “Tilman Baa Lagu Socdaa / Follow the rules” al brano (il settimo, “Baxsanow Ismaacil”) dedicato al Presidente Ismaïl Omar Guelleh. D’altronde questa era un’orchestra di quaranta elementi che solo pochi potevano permettersi e che aveva come base il lussuoso Teatro Nazionale, oggi consumato dagli anni e sostituito da un nuovo teatro (una sala da ottocento posti) realizzato con il sostegno della cooperazione cinese, attiva anche nell’offrire ai tecnici di Gibuti un percorso formativo sulla musica e le tecnologie analogiche.
La selezione è splendida e offre stili e accenti diversi attraverso tredici brani registrati sia negli studi RTD, sia nei concerti dal vivo fra il 1982 e il 1994, testimonianza di un amalgama unico di fonti e strumenti musicali. C’è tutta la forza dei fiati che vedono in primo piano il sassofonista Mohamed Abdi Alto, protagonista anche dell’album “The Dancing Devils” con il Groupe RTD. Ma il pot-pourrì ingloba anche la “modernità” dei synth in stile turco, flauti importati dalla Mongolia e che rimandano ad un andamento mongolo o cinese, mentre le parti vocali mostrano echi di Bollywood. Per l’impostazione della forma dei brani si guarda in primo luogo al Sudan, ma anche a strutture ritmiche egiziane e yemenite e al dhaanto somalo, sovrapponibile, nei fatti, all’ariosità del reggae, evidente in “Hobalayeey Nabadu!/Hello Peace!”.
Apre le danze “Natesha / Compassion” ed i buoni sentimenti sono evocati anche da “Abaal / Gratitude”, ma i ritmi rimangono generalmente incalzanti, anche quando si esprime il dolore per le condizioni averse come ne “Daroor / The Rain Didn't Come”.
Ostinato ha rispettato il principio per cui le registrazioni storiche non debbano lasciare il luogo di origine, mentre non ha incluso nelle note che accompagnano le registrazioni informazioni specifiche sui musicisti e sui brani. Nell’ottenere accesso agli archivi e le autorizzazioni necessarie alla pubblicazione dei brani, Ostinato ha anche dotato RTD di un Technics a bobine degli anni Settanta e di software utile a RTD per proseguire la digitalizzazione dei brani. Il fatto che questo sia un volume 1 lascia ben sperare.
Alessio Surian
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