Ode a kantigas, ninnenanne e filastrocche ebraiche
Hanno navigato in acque socialiste, sono incappate in caparbi radicalismi, in orrori inimmaginabili ad est come ad ovest e hanno portato con sรฉ nel viaggio tutto il destino della propria etnia. Quando sono state costrette dall’orrore a farlo, hanno attraversato anche l’oceano, dall’Unione Sovietica all’America, dagli shtetl al musical, al jazz e poi ovunque, fino alla contemporaneitร di John Zorn. Nemmeno l’olocausto ha fatto sparire la musica klezmer, gli emigranti ebrei negli Stati Uniti a poco a poco l’hanno tirata fuori dall’oblรฌo. E proprio uno dei dischi della sua Radical Jewish Culture/Tzadik, tra i piรน stupefacenti di musica sefardita trasfigurata, รจ quello, nel 2013, che la giovane messicana Dora Juรกrez ha saputo trarre ripercorrendo il mantra della sua migrazione familiare attraverso le generazioni. In origine “yiddish” significava lingua ebrea e in epoca piรน recente ha identificato la lingua degli ebrei dell’Europa orientale. Tra le antiche lanterne di Vilna, i canti aszkenaziti, come nei bagliori nella Spagna passionale, quelli sefarditi, la Storia ha dimostrato nei secoli che piรน qualcuno vuole cancellare e piรน le radici germogliano ovunque. La grande gomma dell’intolleranza non ha mai funzionato. Nonostante Isabella di Castiglia e Ferdinando II° d'Aragona. Nonostante i crimini del tribunale ecclesiastico dell’Inquisizione. “Se la paura fosse musica, che concerto in Spagna!” qualcuno disse. E malgrado l’editto di Alhambra che l’ultimo giorno di marzo del 1492 li cacciรฒ da quel luogo tanto amato d’averlo considerato come una Terra Promessa fin dal tempo della prima diaspora che da Eretz Israel (“Terra di Israele” o Eretz Ha-Ivrim "Terra degli Ebrei") li aveva sparpagliati attraverso l’Impero Romano. Quella terra di speranza che chiamavano Sรฉfarade in cui avevano portato le melodie liturgiche di Gerusalemme, quell’Impero del Sole che era stato multiconfessionale, multietnico e multiculturale, ora li obbligava ad andarsene o a convertirsi al Cristianesimo. I rabbini spagnoli avevano tradotto perfino la loro Torah in ladino (o djudezmo) ed รจ in questa lingua che erano stati composti i canti sefarditi. Se ne andarono da tutti i centri locali che coltivavano singole specifiche poetiche.
Il primo agosto non c’era piรน ebreo nelle terre valenciane. Erano duecentocinquantamila e vennero spogliati di tutto, le casse dello stato si intascarono circa due miliardi di maravedi d’oro, una cifra paragonabile oggi piรน o meno all’ammontare dell’intero debito pubblico italiano. In quell’anno poi Cristoforo Colombo partรฌ per “buscar el Levante por el Poniente”, l’America fu scoperta e il mondo cambiรฒ. Si puรฒ solo supporre che la musica profana ispano-giudaica medioevale assomigliasse a quella dei musulmani e dei cristiani spagnoli, non esistono certezze sulla tradizione sottostante al romancero judรฉo-espagnol. Quella poesia non possiede una voce cantata, i manoscritti recano i testi ma mancano completamente delle partiture musicali. Se ne andarono con unico bagaglio le proprie melodie ed รจ per quello che i loro canti non parlano mai d’esilio. Sono piuttosto il mosaico eterogeneo che accompagnava tutte le tappe dell’esistenza individuale e sociale e dove finalmente anche le donne potevano esprimere il proprio universo. I canti sono stati una forma di liberazione per il mondo femminile ebraico, escluso com’era dal culto pubblico delle sinagoghe. Le kantigas esplorano l’amore in tutte le sue forme e questo straordinario cancionero sarร trasmesso oralmente dalle donne di generazione in generazione, cosรฌ come il canto liturgico lo sarร dagli uomini, secondo i makams arabo-andalusi o ottomani. Il viaggio verso Istanbul e Smirne in testa porterร il sistema musicale modale turco a penetrare nel cuore del canto sinagogale, a leggere la Torah secondo la segah modificando perciรฒ il modo di cantare durante commemorazioni, cerimonie matrimoniali o funebri. L’altra direzione attraverso il Mediterraneo, li porterร invece dalla penisola iberica all’Africa del Nord. Molte sono le canzoni in cui una parola turca o italiana, una trascrizione della pronuncia tipicamente levantina, una traccia berbero-marocchina testimoniano di questo tragitto attraverso la diaspora. Un’ultima rotta ebbe direzione i Paesi-Bassi e da lรฌ verso Curaรงao. E quando la storia si ripeterร e secoli dopo, da Odessa a Salonicco e in tutto il resto dell’Europa, le cittร inizieranno a svuotarsi degli ebrei, quando perfino a Tรฉtouan, Tangeri e Orano se ne persero le ultime tracce, quando tradizioni musicali intere andarono perdute per la feroce distruzione di intere comunitร nella Shoร , le radici germogliarono nuovamente.
Nonostante Stalin e Hitler. “Mir Leben Eybik” (Vivremo per sempre) scriveva Leyb Rozental (2) nel quartiere ebraico di Vilnius. E in quello di Cracovia (Kazimierz) il mobiliere Mordechaj Gebirtig quando vide che non gli veniva consegnato dai nazisti il documento che attestava la sua “utilitร ” intuรฌ cosa sarebbe successo a breve. Capรฌ che la profezia dei “venti malvagi” contenuti nella sua canzone “Es Brent” stava per avverarsi, il grande fuoco si sarebbe abbattuto sull’intero mondo ebraico e solo il sangue l’avrebbe spento. Lucidamente consegnรฒ tutte le preziosissime canzoni che aveva creato alla figliola Lola. Il grande affresco sonoro del bardo Gebirtig รจ la poesia del riso e delle lacrime, della povertร fino alla miseria, della pena e del dolore, della penuria e dell’assenza. Del poco o niente che deve bastare, del latte di capretta mescolato alla ricchezza dell’ironia, in un’epica che non si arrende. La poesia della lattuga, il cui compito รจ di richiamare sempre alla mente il “maror”, l’erba amara mangiata in schiavitรน. Un’amarezza che attraversa i secoli come l’orizzonte angusto di un popolo che ha posseduto ad un certo punto, forse solo il privilegio dello stupore. E in mezzo a preghiere, melodie e canti liturgici, non da meno รจ il percorso di odori e sapori. Ogni cosa ha il suo particolare profumo: le stagioni, i tessuti, le piante, la pioggia, gli animali, i legni, l’infanzia. La Storia puรฒ passare anche dalla cucina.
Da mele, pere, banane, fichi secchi, datteri, quando sono tutti a bollire insieme sotto una montagna di zucchero e di succo di vite, nella pasta dolce “haroset”. A simboleggiare l’argilla che gli schiavi ebrei usavano per costruire i mattoni che avrebbero formato le piramidi dei faraoni, come i palazzi e i templi dell’antica aristocrazia egizia. Colore, sapore e ingredienti che variano di cucina in cucina, seguendo le origini geografiche della famiglia e i luoghi dove vissero nei tempi remoti. E’ assai documentato come il popolo ebraico abbia affrontato tante guerre o rischi di guerre, anche attraverso un digiuno. Lo scopo stesso del digiuno che precede le ricorrenze vale come purificazione dell'anima per mezzo della preghiera, per accrescere la propria forza d'animo e poter affrontare meglio le difficoltร . In alcune occasioni solenni, il digiuno termina con il suono dello “shofar”, un piccolo corno di montone utilizzato come strumento musicale. Proprio quello che, come riportano le Scritture, fece tremare l’intero popolo quando venne suonato dalle nuvole che ricoprivano la sommitร del Monte Sinai. Suonare questo corno trae origine dal sacrificio di Isacco e favorisce l’atmosfera di penitenza. Nell’oscuritร delle nostalgie tra colori grigi e accordi minori, si aggirano le ninnenanne sefardite, nonostante siano numericamente poche. Con le inquietudini, le preoccupazioni e la fantasia della madre come in “Duerme, duerme” o con l’evocazione della trasmissione di valori da padre in figlio.
Durante la Seconda Guerra Mondiale per i nazisti una canzone sefardita significava ebrea, parlare in ladino significava parlare ebreo. Non piรน del 5% della popolazione sefardita di Salonicco รจ sopravvissuta. Kantigas e ninnenanne conservano in vita Sรฉfarade che non รจ un punto geografico reale dove per arrivare basta un treno o un biglietto aereo ma serve piuttosto una “macchina del tempo”. Le filastrocche ebraiche fanno riferimento alle difficoltร della vita, ogni tanto anche con ottimismo, spesso con ironia. Talvolta in esse riappare ancora quella capretta bianca, simbolo dell’immaginario e del sogno. Nei ghetti vi apparvero anche uva passa e mandorle a rappresentare con la loro bontร , l’abbondanza dei giorni sereni. Queste dolcezze sono rimaste nella filastrocca “Rozhinkes Mit Mandlen” che da un angolo del Tempio di Gerusalemme in rovina รจ arrivata fin nell’operetta “Shulamis”. Forse percorrendo chissร proprio quelle strade ferrate invocate nel testo, che si raccontava coprissero metร della terra per trasportare verso la fortuna, Yidele, bambino di una giovane vedova figlia di Sion. Perchรจ, come si sa, le madri idealizzano spesso i loro pargoli cosรฌ come i poeti idealizzano l’infanzia “sotto i verdi arbusti giocano Moyshele e Shloymele appena usciti dall’uovo, cannucce di paglia, nuvolette di fumo, piume che il vento potrebbe disperdere, una brezza leggera potrebbe afferrarli e gli uccelli potrebbero sparpagliarli. Ma loro possiedono una cosa, gli occhi e questi occhi hanno delle pupille che brillano e scintillano, piene di luce e nello sguardo la meraviglia di una profezia. Pensierosi contemplano il passato e gli uccelli”.
Flavio Poltronieri
flavio.poltronieri@libero.it
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(1) L’espressione “musica klezmer” รจ recente e si deve all’interesse che ad essa hanno prestato i musicisti americani dai primi anni 70 del secolo scorso. La presa di questi suoni รจ risultata ovunque spesso irresistibile se pensiamo che, per esempio, qui in Italia perfino Iva Zanicchi (!) ad inizio carriera, dopo aver omaggiato "Mikฤซs" Theodลrakฤซs e Charles Aznavour consacrรฒ un intero LP (in seguito pubblicato anche in Spagna e Turchia) a questi canti, dal titolo “Shalom” con tanto di sillabe ebraiche in rilievo nella copertina e arrangiamenti a cura del Maestro Enrico Intra, a fronte di improbabili traduzioni di Sandro Tuminelli.
(2) La canzone fu scritta da Leyb Rozental (1916-1944) e veniva cantata nel ghetto di Vilna da una delle sue due sorelle, Chayela (1924-1979), che divenne in seguito cantante e attrice di grande successo internazionale. Leyb scrisse e pubblicรฒ molto, nei suoi scritti abbracciรฒ la filosofia socialista, lodando la lotta antifranchista e anticapitalista, la classe operaia yiddish e il proletariato internazionale. Si dedicรฒ al folclore ebraico diventando un paroliere di fama. Nel giugno del 1941 doveva partecipare al Campionato della canzone a Mosca, ma l'invasione tedesca del giorno 24, glielo impedรฌ per sempre. Tre anni dopo, Leyb sarร trucidato e il suo cadavere bruciato per rappresaglia finale assieme a quelli dei suoi 200 compagni di prigionia. Questo avvenne il 21 settembre 1944, nel campo di lavoro forzato di Klooga, in Estonia, proprio il giorno prima della liberazione. La nipote Zola Piatka, figlia minore di Chayela nata a Cape Town in Sud Africa e come essa cantante (e tastierista), prosegue il cammino delle radici.
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