Lauren MacColl – Landskein (Make Believe Records, 2020)

Con “Landskein” la violinista scozzese Lauren MacColl delinea una mappa che intreccia fonti musicali, memorie, paesaggi e, naturalmente, persone. Cresciuta a Fortrose, penisola di Black Isle (nelle Highlands), nel 2004, ancora studentessa del Royal Scottish Academy of Music and Drama di Glasgow, MacColl ha vinto il Premio “BBC Radio 2 Young Folk Musician of the Year”. A quel successo sono seguiti altri riconoscimenti, sono fioriti la sua attività concertista e l’insegnamento del violino nello stile delle “Terre Alte”, sono state realizzate quattro incisioni discografiche (“When Leaves Fall”, “Strewn with Ribbons”, “Wooden Flute and Fiddle” con Calum Stewart e “The Seer”) e si sono sviluppati molte altri progetti e collaborazioni (Rant, Salt House e Rachel Newton). Il senso del luogo permea “Landskein”, che può essere tradotto come “intreccio” o “trama” e che, secondo lo scrittore naturalista Robert MacFarlane, nelle Ebridi Esterne indicava l’intersezione delle linee dell’orizzonte che spesso si vede più chiaramente nei giorni di foschia. Per l’etnologa Mairi McFadyen, “landskein” assume metaforicamente il significato di “filo o un filato in cui le linee di vita di un paesaggio, persone, storie e memorie sono riccamente intrecciate” (cfr. www.lauremccall.co.uk) In questo scenario che è stato fonte di ispirazione per la violinista, intendiamo condurvi con il racconto di questo disco registrato nella Abriachan Hall, una piccola, storica sala comunitaria collocata sulle colline che si affacciano su Loch Ness: un edificio degli anni Venti del Novecento in legno e pietra, restaurato ad inizio del nuovo millennio, sede di regolari ceilidh e dotato di un’acustica notevole, magnificamente catturata dall’ingegnere del suono Barry Reid (già collaboratore e chitarrista di MacColl) con solo una coppia di microfoni. L’ambientazione ha favorito il calore sonoro di una session dove solo in una traccia è stato usato un riverbero non naturale. “Landskein” è un lavoro strumentale fissato in presa diretta (con limitate sovra-incisioni di viola) in cui MacColl, oltre ai suoi strumenti ad arco, usa droni realizzati con un organo a pompa e la chitarra elettrica, mentre al piano l’accompagna James Ross in quattro i brani. È un disco maturo, in cui sfilano materiali musicali sedimentati nel vasto repertorio dell’artista, provenienti da manoscritti e collezioni e poco eseguiti. Con poche eccezioni, la violinista di Black Isle privilegia le slow air; le composizioni rivelano uno sviluppo “narrativo”, accentuato da un’interpretazione che fa respirare la melodia, non esibisce ridondanze o “eccessi di velocità”. L’album è aperto magistralmente da “Air Mullach Beinn Fhuathais” (On Top of Ben Wyvis), melodia che evoca una cima non lontana dalla casa di Lauren a Black Isle. Sul bordone di organo, il violino si erge splendidamente solitario. La tune di una bellezza inaudita è uno dei tre brani che provengono dalla raccolta del Capitano Simon Fraser, pubblicata nel 1816, contenente in origine canzoni adattate per violino, di cui Lauren ha abbracciato partiture che profumano di antico ma sono rilette con afflato modernissimo. Violino e viola rileggono il successivo motivo danzante, “Put the Gown Upon the Bishop”, una melodia attribuita a una canzone satirica pubblica sul finire del ‘700 che parla di Jenny Geddes, una commerciante venuta agli onori della cronaca dell’epoca per aver tirato uno sgabello sulla testa del ministro di culto nella cattedrale di St Giles a Edimburgo in 1637, come protesta verso l’uso dello Scottish Episcopal Book of Common Prayer. Merita un ascolto profondo “Mo Chràdhghal Bochd” (Sad and Heartsore My Weeping), una canzone gaelica composta da Màiri nighean Alasdair Ruaidh (1615 – c. 1707), ma la cui austera melodia, accompagnata dal pianoforte che lascia spazio al notevole fraseggio del violino, proviene dal repertorio dalla cantante di Skye Deirdre Graham. Il tocco di Ross punteggia anche la non meno rilucente “MacGregor of Roro’s Lament” e il trionfo di armonici dell’elegante ‘Mrs McIntosh of Raigmore”. Su un bordone di chitarra elettrica (collegata a un amplificatore che sfrutta l’effetto dell’ambiente della sala) il violino di Lauren tesse trame da brividi nell’evocativo “A’ Cheapach na Fàsach” (Keppoch Desolate), un lamento commemorativo del massacro di tre fratelli in una disputa, anch’esso proveniente dalla raccolta Fraser. Il piano ritorna a dialogare con l’archetto in “‘lal, lal’, Ars’ a’ Chailleach / Bodachan a' Ghàrraidh (“Ial, Ial”, Said the Old Woman/ Old Man of the Garden), che è la rilettura di due brevi puirt-a-beul, che procedono a ritmo di reel, appresi dalle cantanti Rona Lightfoot (che è anche una piper) e Maeve Mackinnon. Di nuovo il violino solitario si propone in “Sproileag” (The Untidy Witch), che si impone come una delle tracce più sperimentali dell’album. Ritroviamo l’accoppiata violino-piano in “Iorram Iomraimh” (A Rowing Time Piece), un altro estratto dalla raccolta fraseriana “The Airs and Melodies Peculiar to the Highlands of Scotland and The Isles”. Invece la viola primeggia in “Pentland Hills”, composizione che arriva dal Caledonian Pocket Companion di James Oswald. A chiudere il lavoro è la contemplativa “Là Dhomh 's Mi Dìreadh Bealaich (One Day as I Climbed the Hill)”. Un disco che riflette appieno le qualità musicali dell’artista delle Highlands: in trentasei minuti, “Landskein” offre un distillato di emozioni, che potete trovare qui https://laurenmaccoll.bandcamp.com 


Ciro De Rosa

1 Commenti

  1. Splendido disco, fantastica recensione. Complimenti per questo rifugio dell'anima che è Blogfoolk.

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