Appunti musicali da Ungheria e dintorni

L’Ungheria è senza mare. La circondano da nord ad ovest, Slovacchia, Ucraina, Romania, Serbia, Croazia, Austria e Slovenia. In questa terra una volta c’era un altipiano che sprofondò in un braccio di mare, trasformandosi in un lago. Dopo secoli, una faglia o forse una erosione aprì le “Porte di Ferro”, il lago si prosciugò, poi il Danubio e il Tibisco l’alluvionarono. Nelle depressioni sono rimasti i laghi Balaton e Neusiedl. Quest’ultimo però oggi è in terra austriaca, l’unica acqua rimasta ferma qui è dunque quella del Balaton, ma più di tutto l’Ungheria è un paese “danubiano”. Quando giunge qui il grande fiume, tra paludi e canneti, assume l’andamento sinuoso della melodia della “brezza primaverile che inonda le acque” (Tavaszi Szél). Era nato nella Foresta Nera, attraversando nazioni ha segnato frontiere e confini, tagliato bassopiani, perdendo il suo carattere alpino diventa fiume di pianura, incrocia l’Orient Express a Giurgiu fino al suo appuntamento con il Mar Morto. A fine ‘800 tutti i passeggeri del treno dovevano scendere dai vagoni e attraversare le sue acque per raggiungere la Bulgaria, Varna e arrivare infine a Costantinopoli. L’Ungheria sarà anche senza un mare, che allontana ed unisce, ma il contrasto tra l’elemento orientale e l’elemento occidentale nella vita di queste genti è vibrante. Sedimentato nella loro essenza conscia o inconscia che sia. Anche in manifestazioni della vita politica o culturale del paese questo emerge ripetutamente e ciclicamente. Da queste parti la musica non è un modo di vivere ma è il modo in cui si vive che è musica. 
Il mondo dell’arte popolare sopravvive da moltissimo tempo senza grandi cambiamenti, con ritmi e tempi lontani da quelli occidentali e il tempo possiede sempre una forza e una influenza molto qualitative in arte. Come un bagliore che rimane in una tragedia poiché si sa che tutto ciò che va perso, diventa tragico. La storia di queste parti narra che il 1514 fu l’anno della più importante battaglia dei contadini del Medio Evo ungherese, la “Guerra dei Villici”. Sono rimaste in eredità un gran numero di leggende a riferire di quegli avvenimenti e in particolare delle gesta del suo condottiero principale, György Dózsa de Makfalva, che finì catturato, torturato e infine condannato a morte. Leggende diventate in seguito anche canti. Nella musica popolare ungherese molte di queste canzoni raccontano la sorte dei contadini poveri e con essa quella dell’epoca dei “Briganti della Grande Piana” e dei “Prigionieri della Transdanubiana del Sud”, dove lo strumento tipico è la cornamusa. “Padre e madre, mi dispiace di venir impiccato ad un albero secco nei campi della grande città...di nove solidi ferri da cavallo, ne ho rotti tre e il quarto l’ho usato bene...l’uccello si è posato sul tetto della prigione per portare gioia a molta giovane povera gente”. Il sacco della cornamusa, nel nord del paese si gonfia con la bocca, nel sud con un soffietto. E’ lo strumento favorito poiché può sostituire un’intera orchestrina, alla fine dell’esibizione chi lo suona spesso soffia improvvisando quella che chiamano “musica frammentata”. 
Anche negli antichi mercati della Transilvania i musicisti camminavano tra cibi, tessuti, libri, mobili e dipinti, suonando in mezzo a genti ungheresi, rumene, romanì, ebree e sassoni, con strumenti come la cetra. Ce ne sono di due tipi: una diatonica, accordata in modo misolidio e una cromatica. I romanì ungheresi, originariamente, non suonavano mai degli strumenti musicali ma utilizzavano utensili domestici: cucchiai, bidoni d’acqua (soprattutto per la danza), coperchi di pentola per gli effetti percussivi, dita che schioccano, piedi che battono. E le voci ad incorporare nel suono le parti orali dei bassi. Le onomatopee non fanno certo rimpiangere il contrabbasso, il ripetere continuamente le sillabe trasmette l’impressione di un suono continuo, quasi il rullare di un tamburo. Solamente dopo il 1960 sono comparsi chitarra, mandolino o altro, special modo da parte dei più giovani. In generale il cantante cigány è incapace di ripetere una melodia con le stesse parole semplicemente perché non esiste una relazione stretta dal punto di vista del contenuto tra i vari versi che si susseguono. E’ l’identità del ritmo che lega il testo, al cantante spetta questo compito secondo l’atmosfera. L’antica lotta contro le ingiustizie di molti giovani poveri come, ad esempio, Barna Péter non ha mai superato i limiti di una rivolta individuale e perciò inevitabilmente destinata a fallire. 

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