Cabit – Serenin. From the Black Sea to the Ligurian Sea (Felmay, 2020)

Cabit, il duo Edmondo Romano e Davide Baglietto, si è rivolto alla ricerca dei patrimoni musicali liguri nel primo disco “Unico Figlio” (Felmay, 2017), dedicato ai canti sacri e profani del Natale della loro regione. Negli ultimi tempi le loro officine stilistiche e artistiche, le agitazioni emotive li hanno spinti a solcare le onde del Mar Mediterraneo verso Levante. Con in mente gli antichi mercanti, viaggiatori e migranti genovesi sono approdati sul Mar Nero, nelle regioni di Rize e di Artvin confinanti con la Georgia – come  la Liguria anch’esse strisce di terra con dirimpetto le acque e di spalle le cime – a indagare comunanze organologiche, assonanze scovate nelle pieghe della storia o in immaginifiche reinvenzioni, a condividere repertori con musicisti locali, scambiandoseli per poi combinare modi e “pronunce” sonore.  Cabit si configura come un collettivo che accoglie musicisti provenienti da differenti percorsi sulla base dei progetti messi in opera. Così agli otto italiani (oltre a Romano e Baglietto ci sono Matteo Merli, Simona Fasano, Marco Fadda, Matteo Dorigo, Stefano Valla e Daniele Scurati), si sono affiancati sette eccellenti musicisti turchi guidati da Filiz Ilkay Balta, vocalist e primadonna suonatrice di tulum, la cornamusa turca, per portare a compimento il viaggio di “Serenin” (Felmay), disco registrato a Istanbul nel 2019 e rifinito in studio a Genova, che porta come sottotitolo “Dal Mar Nero al Mar Ligure”, e della cui prima live “Blogfoolk” è stato partner e testimone, rilanciando in streaming la serata concertistica che ha connesso il porto di Genova e il Corno D’Oro il 9 ottobre 2020. 
Con Davide Baglietto, Filiz Ilkay Balta ed Edmondo Romano ci inoltriamo in questa mediazione sonora intessuta tra due sponde del “mare di storie” che è il Mediterraneo.

Come nasce la collaborazione tra voi e i musicisti turchi?
Davide Baglietto - La collaborazione  è nata dall’incontro, nel 2018, tra me e Filiz Ilkay Balta. Una volta entrato in contatto con Filiz, maestra ed esperta del tulum, tra le prime donne a farsi spazio nella musica tradizionale grazie a questo strumento solitamente appannaggio di musicisti uomini, ho appreso che ci sono diverse similitudine tra la cultura ligure e quella dei turchi che abitano nel Mar Nero. Entrambe le zone sono bagnate dal mare e riparate dai monti e sono abitate sia da pescatori sia da contadini e pastori. Proprio grazie a questi ultimi che ci sono ed esistono degli strumenti di origine agro-pastorale, come la cornamusa e il piffero, in tutto simili per fattura, ma con sonorità e modalità di esecuzione completamente differenti. Nello specifico potremmo citare il tulum e la musa pastorale ligure oppure la zurna e il piffero ligure. Partendo da queste similitudini abbiamo iniziato il lavoro per “Serenin”. Un altro aspetto interessante, oltre a quello musicale, è quello coreutico, che in Liguria è fortemente presente nella zona delle Quattro Province e nello zerasco (Lunigiana), mentre nel Mar Nero è ancora fortemente presente in tutte le regioni. Nonostante le danze delle due zone geografiche (Liguria con polche, alessandrine, gighe etc. e la Turchia con l’horon) siano completamente diverse, vi è però un anello di congiunzione, portato in luce da un grande musicologo turco Mahmut Ragip Gazimihal, il quale nei suoi studi aveva rilevato influenze genovesi e francesi nella danza horon.  

Come avete costruito e lavorato sui rispettivi repertori e negli arrangiamenti. 
Edmondo Romano - L’idea è stata quella di selezionare alcuni brani della tradizione ligure e turca e scambiarci a distanza il materiale scelto. Una volta studiato, riarrangiarlo ognuno nel proprio stile per fare in modo che nelle forme definitive le canzoni presentassero le tipiche sonorità e caratteristiche dei due popoli. Poi, incontrarsi di persona tutti assieme in una seconda fase di prova e registrare in presa diretta con uno studio mobile l’intero lavoro. Questa fase si è svolta a Istanbul nel settembre 2019. Questa metodologia di lavoro è risultata molto funzionale e originale nell’approccio di produzione, perché realmente i musicisti hanno rielaborato nella fase di studio dei rispettivi repertori un linguaggio tradizionale a loro nuovo, in parte sconosciuto. L’incontro diretto fisico tra gli artisti ha dato vita ad un vero e sincero intreccio di linguaggi musicali, creando una formula sonora “unica”. Abbiamo realmente vissuto assieme per dieci giorni, lavorando incessantemente per dieci ore al giorno agli arrangiamenti, ai testi, alle improvvisazioni. Io mi sono occupato delle registrazioni in buona parte effettuate in presa diretta e ho fatto da produttore per riuscire a coordinare tutte le idee che sono emerse durante la lavorazione. Ovviamente anche il cibo, le risate, le lunghe pause passate assieme, le improvvisazioni e le feste sono stati elementi importanti nella riuscita del progetto. 
Importante è stata la fase finale di post produzione avvenuta a Genova all’Eden Studio dove ho montato, selezionato, editato e mixato tutto il materiale registrato, sempre in stretta collaborazione con Davide, il nostro produttore Beppe Greppi e in continua e piena consultazione con tutti i musicisti che hanno dato vita al progetto.

Chi sono i musicisti che hanno preso parte al lavoro e come hanno dialogato gli strumenti e le diverse anime musicali?
Davide Baglietto - Oltre a me e a Edmondo Romano, “Serenin” vede coinvolti gli artisti a nostro avviso più adatti a dar voce viva e fresca al progetto. Tutti con grande preparazione ed esperienza nel campo della tradizione ligure e del suo entroterra, con alle spalle decine di incisioni discografiche importanti e numerosi concerti internazionali. Abbiamo chiamato Matteo Merli alla voce, per la sua ricca esperienza nella tradizione genovese e la freschezza del suo approccio, Matteo Dorigo, giovane e propositivo esecutore alla “moderna” ghironda, Simona Fasano, voce femminile che si è occupata insieme a Edmondo di tutte le traduzioni ed adattamenti dei testi. Infine abbiamo completato il quadro con l’importante apporto di Stefano Valla, il “piffero” per antonomasia, detentore e ricercatore della zona delle Quattro Province che, insieme al suo fido fisarmonicista di tradizione Daniele Scurati, hanno proposto al gruppo diversi brani tradizionali ascoltati, valutati e selezionati tutti assieme. Fondamentale per la chiusura dell’album è stato il grande percussionista Marco Fadda che da molti anni collabora con noi. Unico musicista ad aver sovra-inciso le sue parti in un secondo
momento, ha fatto da collante tra le varie parti ritmiche in tutto l’album rendendo il risultato più compatto ed omogeneo.

Ci sono i suoni che ritornano di due strumenti liguri estinti…
Davide Baglietto - La ceccola polifonica e la musa pastorale ligure sono ricostruzioni fatte dai liutai e musicisti Walter Rizzo e Peter Rabanser, a partire da un’idea di Fabio Rinaudo. La prima è stata ricostruita in base al quadro “La Madonna dell’Orchestra” di Giovanni Boccati (1420-1480) ed è stata aggiunta una canna per renderla polifonica a tre voci: in questo modo riesce a fare accordi maggiori e minori ovviamente nella tonalità in cui è stato costruita. La seconda in base al quadro “I Pifferai” di Bernardo Strozzi (1581-1644). Il nome lo abbiamo trovato sui alcuni documenti dove si parlava di suonatori di musa pastorale che allietavano le cene nelle ville genovesi di quel periodo.

Ci presenti i musicisti turchi?
Davide Baglietto - Filiz Ilkay Balka, dopo l’università è diventata suonatrice professionista di tulum, la prima donna a suonare uno strumento di solito riservato agli uomini. Ha registrato un album di tulum e voce. È una musicista innovativa. Suona il modello tradizionale che porta 5 fori sui chanter e uno a sei fori, da lei ideato, che permette di suonare più note. Alparslan Kurtoğlu è una delle star musicali turche più conosciute provenienti dal Mar Nero ed oltre ad essere un noto cantautore nazionale è uno dei più grandi virtuosi del kemençe. Erhan Zaza, è uno dei più bravi suonatori di davul di Istanbul. 
Onur Ural è un giovane suonatore di zurna e duduk molto conosciuto in Turchia, che ha preso parte a moltissime registrazioni: un grande esecutore. Fahri Çelebi è uno dei percussionisti turchi della nuova generazione più inserito e bravo nel panorama musicale del paese. Gamze è sua moglie, non è una musicista professionista, ma ci ha aiutato nei cori. L’altro ospite è Akdeniz Erbas, turco per metà mongolo, molto noto in Turchia. Ha studiato canto difonico, suona la domra e anche lo scacciapensieri. Era venuto a sentirci registrare il disco e poi sentendo la sua bravura abbiamo pensato di inserirlo in un brano con il suo scacciapensieri.

Filiz, dove viene il tulum in Turchia?
Filiz Ilkay Balta - Non è mai stata fatta una ricerca scientifica approfondita sulle origini del tulum però è lo strumento che rappresenta la cultura di quella parte di turchi che abitano nelle regioni del Mar Nero. In alcune regioni come Rize rappresentava l’unico strumento tradizionale che veniva suonato. Anche ai giorni nostri il tulum viene suonato sia a Rize sia ad Artvin e anche in altre regioni della Turchia, nonostante non sia così popolare. Il tulum accompagna quasi tutte le feste, dove si danza ancora oggi sino allo sfinimento.

Quali sono sono le tue origini musicali?
Filiz Ilkay Balta - Sono nata in Rize Pazar (Atina), una cittadina che si affaccia sul Mare Nero e, quindi, ho ereditato le caratteristiche principali delle popolazioni del Mar Nero: energia, simpatia, ilarità, passione per la musica, passione per la danza, vivacità, attaccamento alle radici della propria terra: la mia zona ha una fauna e una flora molto affascinante e rigogliosa. Proprio quest’ultima caratteristica mi ha portato nel mondo musicale e danzereccio del Mar Nero: infatti fin da piccola ballavo, cantavo e suonavo al ritmo dello horon, la danza tipica del Mar Nero.

Quali sono state le motivazioni che ti hanno spinto a diventare suonatrice di tulum professionista?
Filiz Ilkay Balta -
Vivo a Istanbul da quando avevo cinque anni e mi sono laureata con un master in Economia Internazionale, ma sono sempre stata interessata e affascinata dalla musica sin dall’età di 5 anni. Quando ho iniziato a suonare il tulum, le persone hanno subito dimostrato un grosso interesse per questo strumento e così in breve tempo mi sono trovata a suonare sopra dei palchi all’interno di Festival musicali. Alla fine visto i numerosi concerti che avevo e il grande interesse per questo strumento e la cultura che c’è dietro, ho deciso di lasciare la vecchia professione e di intraprendere la carriera di musicista professionista.

Come è stato incontrare la musica e i repertori liguri?
Filiz Ilkay Balta - Anche se non c'è molta somiglianza tra la musica genovese e la nostra musica, penso che abbiamo vinto la sfida. Ci rende orgogliosi e felici poter combinare e sintetizzare due diversi stili musicali, di catturare aspetti simili dalle differenze. Lo dobbiamo a tutto il nostro team, in particolare a Edmondo e Davide. Tra gli strumenti mi piace molto il piffero e il suo stile. La ghironda, poi, è uno strumento che non c’è nel nostro paese e nella nostra cultura, ma si adatta molto bene alla nostra musica. E poi ci sono le cornamuse suonate da Davide. Pensa che nel 2016 sono andato ad Ospedaletto d’Alpinolo, non lontano da Avellino, per il festival. Ho avuto la possibilità di rimanere lì per una settimana nel periodo natalizio e di suonare lo zampogna. È uno strumento così pieno di sentimento. Mi sono sentita molto vicino a me stessa durante il mio soggiorno in Italia, braci di castagne, noccioleti e gente simpatica, abbiamo acceso fuochi e suonato musica insieme. L'Italia è piena di bei ricordi, bella musica, braci di castagne, noccioleti e gente amabile! 



Cabit – Serenin. From the Black Sea to the Ligurian Sea (Felmay, 2020)
#CONSIGLIATOBLOGFOOLK

L’essenza narrativa di “Serenin” si rivela fin dalla composizione d’apertura “Çayelinden Öteye”, una canzone d’amore proveniente da Çayeli, una città affacciata sul mare Nero, sintesi del comune sentire, con una bella composizione melodica di Matteo Merli costruita sul testo originale del canto, a fare da ponte tra le due parti del brano, principalmente imperniato sul dialogo tra oboi popolari (zurna e piffero). Le fioriture melismatiche nelle procedure polivocali di “Tri bej giuvin”, la ballata cantata ancora oggi nell’area delle Quattro Province, trovano piena rispondenza nel ritmo tsifteteli. Scivola placida tra le lingue “Gidersen Uğur Ola”, un tradizionale che arriva da un villaggio di pescatori della regione di Artvin, triste racconto di abbandono della donna amata. Il tulum apre la successiva accoppiata di danze (“Rize Ortaköy horon / Polka in A”), dove impressionano coralità e potenza di fuoco di aerofoni (piffero, musa pastorale, zurna), fisarmonica e tamburi. Scorrendo le tracce, un’altra delle delizie di questa convergenza di artisti è ascoltare i cantanti italiani cantare in turco e i cantanti turchi in italiano. Il plurilinguismo canoro trova compimento in uno dei cavalli di battaglia del duo Valla/Scurati, la canzone “Marcellina”, diffusa dall’alessandrino al ponente ligure. Attacca il tulum in “Borçka Hemşin”, seguono gli altri strumenti e le voci, che si intrecciano nella prima parte, per poi lasciare spazio a una partitura originale di Edmondo Romano composta direttamente nel corso delle sedute di registrazione. Con la superlativa “Hemşin türküleri” siamo ancora sul Mar Nero, a Hemşin, nella regione di Rize, dove d’incanto tra l’incalzare di voci, legni e pelli ecco fare il suo ingresso la ghironda di Matteo Dorigo. “Ho Nenni” è, invece, una canzone d’amore composta da Feliz Ilky a partire dal un testo tradizionale. Ancora una volta il ritmo è quello dell’horon, di cui il musicologo turco Gazimihal aveva ipotizzato influenze genovesi e francesi. Ancora una volta è un bel (con-) fondersi e adattarsi di lingue, che prosegue nel gioco di rimando e di sponda intrapreso in “La bella Laurin / Trabzon uzun havasi”, dove si combinano una canzone del repertorio dei canti da piffero, eseguita durante i matrimoni, e una canzone dell’area di Trebisonda intonata durante la transumanza estiva verso i pascoli montani e collinari; i due canti sono collegati da una nota di bordone, poi cedono la strada a uno strumentale in cui i musicisti improvvisano su un tema tradizionale. Di nuovo nell’area delle Quattro Province con “Alessandrina in Re”, la danza di gruppo, dall’incedere virtuoso e progressivo, che fa dialogare per la prima volta piffero e tulum. Intonata da Scurati, Valle e Merli dentro Santa Sofia, a Istanbul, per provare l’acustica del gioiello architettonico, la title track corale è diventata il suggestivo commiato di un’operazione orchestrale ben fondata emotivamente, ben suonata e ben prodotta: una mediazione sorprendente e credibile, del tutto priva delle forzature che tradiscono taluni esperimenti di incastro.




Ciro De Rosa

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