Fay Hield – Wrackline (Topic, 2020)

Cantante, operatrice culturale e ricercatrice di etnomusicologia all’Università di Sheffield, Fay Hield è (probabilmente insieme al marito Jon Boden, già leader di Bellowhead) la figura di spicco della scena contemporanea inglese, che non conosce momenti di stanca o annate di transizione. Il suo quarto album conferma, e se possibile supera, le buone cose dette e scritte in occasione dei lavori passati. Accompagnata dalla medesima band del disco precedente, “Old Adam”, uscito nel 2006 sempre per la storica etichetta Topic, Hield regala uno sforzo ancora maggiore: alla solita cospicua selezione di brani tradizionali, che componevano il lavoro passato (al netto di una bella cover di un classico minore di Tom Waits, “The Briar and The Rose”) e le sue prime produzioni, affianca un buon numero di brani scritti per l’occasione. “Wrack Line” è la linea di battigia che delimita il bagnato dall’asciutto, e quindi il noto dall’ignoto, il certo dall’incerto, le facoltà dell’uomo dai poteri di una Natura invincibile e a volte beffarda. È molto scura l’ambientazione di questo lavoro, fra storie soprannaturali, incantesimi, streghe, fantasmi, tempeste e classiche ballate truculente e sanguinose (“Cruel Mother”). Una tenebrosità che abbiamo imparato a conoscere dalla produzione recente di June Tabor, ma senza la solennità che la prevalenza nel sound del pianoforte conferisce a quei lavori. La cifra del disco, oltre ad una registrazione impeccabile, è la voce della Hield: intonazione infallibile, un’inflessione ancora tradizionale nell’approccio ma decisamente moderna nel piglio; e poi l’affiatamento della band, un accompagnamento elegante, mai sopra le righe e perfettamente intonato alla voce della leader, con i fidi Sam Sweeney al violino, Rob Harbron a concertina e chitarra, Ben Nicholl al contrabbasso e i cori di Ewan MacPherson. Difficile scegliere quali brani meritino la menzione, dato che in tre quarti d’ora di musica non vi sono tracce che possano essere definite meramente riempitive; le mie preferenze vanno comunque alla canzone di apertura “Hare Spell”, testo tradizionale su musica originale, alle due tracce che vedono Fay Hield imbracciare il banjo “Jenny Wren” e “Sweet William’s Ghost”, e all’eterea “Swirling Eddies”. Interessante la circolarità della tracklist, dove all’iniziale “Hare Spell” si giustappone in chiusura “When She Comes”, medesima storia però raccontata dal punto di vista delle lepre. Un bellissimo album che conquista già dal primo momento e con gli ascolti successivi cresce ulteriormente. 


Gianluca Dessì

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