John Doyle – The Path of Stones (Compass Records , 2020)

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Di convenevoli non ha certo bisogno John Doyle, polistrumentista, songwriter e produttore dal curriculum lunghissimo e sfavillante: una carriera straordinaria sulle strade del folk. Il suo nuovo lavoro, “The Path of Stones”, terzo capitolo da solista, a nove anni di distanza dal precedente disco a suo nome e con un titolo si ispirato a una poesia di W. B. Yeats, è stato registrato tra la cittadina irlandese di Coolaney (Contea di Sligo) e quella statunitense di Asheville (North Carolina), dove il musicista dublinese risiede da poco meno di vent’anni. Sono dieci le tracce - sei canzoni e quattro strumentali: pari a 55 minuti di musica - composte da Doyle. Tuttavia, il testo dell’iniziale “The Rambler from Clare” proviene da una ballata tradizionale sul classico tema dell’emigrazione, risalente alla ribellione degli Irlandesi Uniti (1798). Qui John canta e suona (mandola, chitarra, mandolino, bodhrán e violino), accompagnato da Rick Epping (armonica) e Duncan Wickel (violino). Nel primo strumentale “Elevenses” entra Mike McGoldrick (flauto, bodhrán e percussioni), il cui flauto prima ricama in gran sintonia con il vigoro sostegno ritmo e lo stile flat-picking di John, per poi involarsi a condurre il tema danzante. La seconda canzone, la squisita “Lady Wynde”, vede Cathy Jordan (vocalist dei Dervish) unirsi a Doyle nei cori di questa song collocata nell’area di South Sligo (dove risiede la famiglia di Doyle) e legata ai ricordi giovanili di una narrazione fiabesca. Doyle mette quasi tutti gli strumenti nel successivo set di incalzanti reels (“Coolaney Reel / The Winding Sta ir / Rossa gh’s Rambles”), però, nel secondo tema arrivano pure Jordan (bodhrán) e McGoldrick (flauto) a dare una mano per spingere a fondo. Invece, nella magnifica title track Doyle è in completa solitudine, il calore della sua voce baritonale riempie la canzone, sviluppata su linee limpide di chitarra (suona 6 e 12 corde) e un finale con dentro l’harmonium a dare sostegno. Il brano intimista è di ambientazione yeatsiana con riferimenti alla poesia “He mourns for the change that has come upon him and his beloved, and longs for the end of the world”, ma ci trovate anche un frammento dell’antico poema del bardo Amergin, associato alla mitologia irlandese. 
Sul filo della chitarra è anche “Sing Merrily to Me”, dove ritorna, preziosa, l’armonica di Epping. I due jig “Naoise Nolan’s / An Slabhra Nóiníní”) sono un trionfo di plettri (mandola, chitarre, bouzouki) con l’incisivo contorno portato dall’archetto di Wickel, che ben si sposa con la densità timbrica denso della mandola, “primadonna” del profilo melodico del brano. In “Her Long Hair Flowing Down”, tema amoroso sullo sfondo dell’emigrazione irlandese ottocentesca e della volontà di riscatto “across the waters”, il violino (John McCusker) e il violoncello (Duncan Wickel) sono complici nel dare profondità alla song in cui John è alla voce, alla mandola e al bouzouki. Procede su un tempo di 6/8 la magnifica, drammatica “Teelin Harbour”, canzone dalla struttura call & response, cantata in inglese e irlandese, in cui si ricompongono di nuovo le voci di John e Cathy (anche al bodhrán), mentre l’archetto di McCusker raddoppia quello di John. Approccio da sincero storyteller quello di Doyle che - raggiunto via Messenger - spiega che le liriche riprendono la storia - raccontatagli da suo zio - di una terribile tempesta, abbattutasi sulla costa del Donegal mentre era a bordo di un curragh a pesca, che rappresentava uno degli episodi più spaventosi della sua vita. La chiusura è affidata a un medley comprendente una aria lenta, uno slip jig e una giga: si tratta di “Knock a Chroí / Beltra Fair / Aughris Head”, dove Doyle (chitarre, bouzouki, tastiere) è in solitaria esplorazione di tempi e di ambientazioni sonore. Un nome nobile come Doyle si porta addosso l’onere di chi deve dimostrare di essere all’altezza della sua fama: il che accade con puntualità in “The Path of Stones”, dove troverete la sicurezza tecnica e lo stile eccelso, gli arrangiamenti ben dosati e il garbo vocale di Doyle, che è pure in bella compagnia. 


Ciro De Rosa

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