Shantel/Cümbüş Cemaat – Istanbul (Essay Recordings, 2020)

La collaborazione tra il produttore tedesco Shantel e la band turca Cümbüş Cemaat amplifica le qualità psichedeliche e ammalianti del rock anatolico, donandogli una veste nuova tra modernità e la sua giovane tradizione. Un viaggio di contaminazioni che spaziano dal reggae alla disco medio orientale, che si alternano come sfondo a melodie modali tra il rebetiko e l’arabesk echeggiate dalla chitarra elettrica nelle sue ottave più alte. “Istanbul” alterna brani lenti ad altri più sostenuti, la costante è la ballabilità degli arrangiamenti. Stefan Hantel, in arte Shantel, è un produttore e DJ di Francoforte di padre greco e madre rumena di famiglia ebraica. La scoperta delle sue radici è diventata il suo marchio musicale quando comincia a mescolare beat elettronici e musica balcanica. La band Cümbüş Cemaat è invece la formazione turca che in questo album porta l’anima rock psichedelica tipica dell’Anatolia aggiungendo il saz ad una formazione più tipicamente rock. Come il rock aveva regalato vesti nuove alla musica turca, la produzione e l’elettronica contribuiscono al restyling del genere, accentuandone i caratteri più atmosferici e psichedelici. Un eccellente lavoro di batteria e basso costituisce le fondamenta del disco con accenni funk e disco. I sintetizzatori, gli archi ed il saz effettato trasportano invece dritti in medio-oriente, in un revival di sonorità che abbiamo visto quest’anno anche nel disco “Migrant Birds” dei TootArd. La scelta stilistica non sorprende: il risultato in entrambi i casi è ritmicamente trascinante, atmosfericamente evocativo e dal sound piacevolmente ammaliante. “Suda Balik” e “Kara Uzum Habbesi” esemplificano perfettamente queste qualità. Nella prima l’introduzione di un riff suadente, sintetizzatori e archi in stille anni Ottanta conferiscono un’identità più tipicamente disco-pop. L’ingresso di batteria e basso dona carattere ad un brano dalla vocalità suadente, che diventa una hit da pista da ballo. In “Kara Uzum Habbesi” spiccano invece il saz e i brevi stacchi strumentali. È la voce, tuttavia, a trascinare molti brani del disco, una voce ripetitiva ma non noiosa e scontata, la cui reiterazione ha una funzione precisa, quella di invitare l’ascoltatore a perdersi nei sapori dell’ascolto. “Atim Arap” e “Karakolda Ayna Var” si costruiscono proprio su queste cantilene vocali, accompagnate da un beat sostenuto, saz e synth bass la prima, da una batteria più pigra e sonorità atmosferiche la seconda. Un beat medio orientale fa da scheletro a “Bahcelerde Zerdali”, dove sintetizzatori e basso fanno invece l’occhiolino alla musica da ballo. La batteria si fa ibrida nel brano successivo, “Helvaci”, che mantiene molte delle caratteristiche già trovate negli altri brani con l’aggiunta di una cassa elettronica pungente. Il saz si mette sotto i riflettori in “Basindaki Yazmayi Sariya Mi Boyadin”, dove introduce il brano con il suo fare psichedelico e ipnotico. Eccellente l’incastro ritmico di batteria acustica, elettronica e basso, che spingono le dinamiche degli special tra una strofa e l’altra. In chiusura dominano i ritmi caraibici di “Ceylan” e “Cümbüş Dub”. Se il primo forse cozza con il resto dell’organico, il cui punto di forza era stato finora la coesione stilistica che non cade nella ripetitività, “Cümbüş Dub” ricolloca il saz in un contesto strumentale fresco ed intrigante. Quella tra Shantel e Cümbüş Cemaat è una collaborazione giovane e coinvolgente, che come spesso accade quando l’esperimento è fusion riesce a ricollocare uno stile consolidato in un contesto nuovo senza snaturarne le radici. Le diverse sfaccettature delle sperimentazioni degli ultimi 40 anni sicuramente aiutano nell’impresa, ciò nondimeno i due nuclei musicali giocano con generi in cui è facile esagerare in molte direzioni, ma riescono a mantenere una forte identità stilistica. L’eccellente architettura strumentale previene il potenziale tedio di due generi che ricorrono spesso alla ripetizione esasperata di un’idea, che viene invece valorizzata in quanto ripetitiva e osservata da diverse prospettive.



Edoardo Marcarini

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