Chi vuole rilassarsi e godere dei suoni delle corde potrà certamente apprezzare il nuovo album del quartetto MANdolinMAN che, come recita il titolo, è un tributo alla tradizione della bossa nova e, in generale, della musica brasiliana. L’ensemble belga sembra trovarsi a suo agio nella ricerca e nell’interpretazione di linguaggi tradizionali, come dimostra una discografia concentrata per intero su repertori folclorici e tradizioni musicali differenti. Ne abbiamo già parlato qualche tempo fa, sottolineando l’attenzione che i quattro musicisti hanno dedicato alle musiche di alcune aree delle Fiandre (con “Unfolding the Roots” del 2017 e “Old Tunes Dusted Down”, costruito sulle ricerche del foclorista Hubert Boone), e intravedendo anche la passione per le sonorità sudamericane, ben rappresentate da “Rumba de Raval”, unico brano nella scaletta di un album incentrato sulle tradizioni musicali del Brabante fiammingo. Qui, come è evidente, lo scenario è del tutto capovolto e i MANdolinMAN – composti da Maarten Decombel al mandoloncello, Peter-Jan Daems al mandolino a dieci corde, Andries Boone al mandolino e mandola, Dirk Naessens al mandolino – affrontano le arie soavi di una musicalità morbida e melanconica, ben radicata nei grandi nomi della tradizione musicale e poetica di un Brasile fuori dal tempo, epico, sempre pieno di fascino e profondità. Scorrendo i brani dell’album si incontrano, in apertura di scaletta, Antonio Carlos Jobim e Vinicius de Moraes, con la splendida “Acqua de beber”, per proseguire con una serie di soluzioni originali. Qui i musicisti - raffinati, precisi e fermi – ci avvolgono con andamenti e melodie misteriose e fascinose, perfettamente aderenti all’elasticità dei repertori di riferimento, strutturalmente permeabili al cambiamento, pur nel rispetto di un profilo netto e riconoscibile. Il resto – che in questo caso va ricondotto al carattere dell’interpretazione, al gusto che ha orientato i musicisti nella selezione e nella riproposta, al processo di riorganizzazione del repertorio – è una nuova forma poetica (se possibile), o meglio una nuova forma della poetica della bossa nova. Se l’idea stessa delle corde, con la loro presenza ritmica e melodica, richiama una sorta di primogenitura di quel genere, la modulazione dei mandolini sembra riconsiderarne quasi l’essenza, ripercorrendo soprattutto il minimalismo soffuso e delicato della sua musicalità. Cioè, non vi è più quella relazione sinuosa e poeticamente (adesso sì) irriducibile tra la chitarra e la voce, il suono e la parola, la visione e la concretezza di un messaggio tanto realistico quanto idilliaco. Vi è, piuttosto e in una forma altrettanto coinvolgente, ciò che potremmo definire il linguaggio di una memoria rinnovata, una sorta di traduzione infedele ma rispettosa del vigore di una forma musicale straordinaria e ancora piena di vita. Certo, non si può dare per scontato, perché non basta la bellezza del repertorio ad assicurare la bellezza di una sua riproposizione. Ma questi musicisti ne sono pienamente consapevoli. E, anzi, avvicinano quei brani con l’attenzione dell’analista che, dopo aver scandagliato tutte le parti, si muove a comprenderne le forme che danno all’insieme e a riconsiderarne i riflessi più plausibili. Tra i brani più interessanti citiamo “Caramel” di Susan Vega, il misto surreale “Ni bossa ni tango” (con il quale la band rende omaggio ai due grandi repertori sudamericani) e la straordinaria “Sol da manha”.
Daniele Cestellini
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