Mauro Balma/Carlo A. Rossi, La monachella e le altre, Nota Geos Books 2020, pp.142, Euro 22,00, Libro con Cd

Ha detto Giovanna Marini che il mondo del canto tradizionale «non è perduto per niente» grazie alla “forza della musica”, alla “forma espressiva” che lo rende vivo a patto che chi canta abbia contatto intimo con quanto sta cantando (cfr. Xavier Rebut, “In viaggio con Giovanna Marini”, Nota, 2019, p. 33). Come non condividere le osservazioni dell’eterodossa ricercatrice dell’ineffabile? In tal senso, ben calzano con quanto detto poc’anzi gli ascolti preziosi racchiusi nel volume prodotto da Mauro Balma e da Carlo A. Rossi, intitolato “La monachella e le altre”, che esce per la collana Geos Books di Nota e porta come sottotitolo “Dagli Appennini alle Alpi. Incontri di voci tra le Quattro Province, la Liguria e la Valle d’Aosta”. Siamo di fronte a un viaggio comparativo nelle varianti esecutive dei più antichi e diffusi canti di tradizione orale, aperto dalle rituali presentazioni dei rappresentati istituzionali e da due interventi introduttivi di Paolo Ferrari, attivissimo etnografo dell’Associazione MUSA, che inquadrano i motivi e l’impianto e della ricerca (“Dalle Quattro Province alle ‘montagne della neve’” e “Voci di montagna”) a partire da un assunto che, come è giusto, spazza via ogni forma di reificazione e di staticità imposta alle forme culturali, che sono mutevoli e riplasmate di generazione in generazione, al contrario del sentire e della falsa percezione - che però appare psicologicamente vera -di unicità e staticità (il famigerato “noi qui abbiamo sempre fatto così”, p. 7). L’etnomusicologo Mauro Balma è notevole figura di studioso con un interesse incentrato soprattutto sul canto della sua terra ligure e del territorio appenninico interregionale conosciuto come Quattro Province. Da parte sua il coautore Carlo A. Rossi è ricercatore e giornalista, che ha realizzato numerosi documentari televisivi regionali di ambito etnoantropologico; ha condotto programmi radiofonici in francoprovenzale e collabora con AVAS, organismo che da quarant’anni in Val d’Aosta si occupa della memoria orale. Il fatto è che negli ultimi anni Balma (e non è il solo, perché sulle sue intuizioni si sono mossi studiosi della collana Menüssie de gea, prodotta dall’Associazione MUSA, e ricercatori che collaborano con il sito “Dove Comincia l’Appennino”) ha rivolto la sua indagine musicologica alle “vie dei canti”, indagando relazioni colte/popolari, comunanze e influenze tra territori, prassi esecutive e costruzione di repertori. Non è un caso, dunque, che i due studiosi ora abbiano deciso di cercare nessi, in modo documentato, tra repertori della dorsale appenninica nord-occidentale (un’area distribuita tra Liguria, Piemonte, Lombardia ed Emilia-Romagna) e alpini (Valle d’Aosta), analizzando canti di analoga origine ma interpretati con stili vocali diversi, intonati su melodie anche differenti, eppure a partire da testi relazionabili tra loro. Il titolo “La Monachella” si riferisce alla prima canzone dell’elenco, mentre “le altre” rimanda ai titoli e ai personaggi femminili le cui vicende animano in maniera preponderante il repertorio proposto. Balma ha lavorato sulla messe di registrazioni di cantori raccolte di suo pugno in tanti anni di campagne di rilevazione e su quelle depositate negli archivi valdostani. Cosicché nei tre capitoli della sezione “La ricerca: chi e dove” (“L’appennino delle ‘Tre Province’”, “L’Appennino dell’area ligure”, “La Valle d’Aosta e le Alpi”), Balma e Rossi ci conducono in questo continuo “scavallamento”, illustrando le aree di rilevazione, gli stili di canto con notizie sui singoli cantori, i gruppi vocali e strumentali sulle tradizioni canore (Valsavarenche, Saint-Nicolas, Nus, Fénis, Saint-Marcel, Pontey, Champdepraz, Challand-Saint-Anselme, Challand-Saint-Victor, Hône, Arnad a Cogne) e le raccolte catalogate. Il capitolo “I documenti sonori” presenta i cinquanta canti registrati sul campo, di cui una metà proviene dall’area appenninica, a partire dall’alessandrino e via via attraverso il pavese, il piacentino, l’imperiese, il savonese, il genovesato e lo spezzino, mentre un’altra, di ambito alpigiano, è stata registrata anch’essa sul campo o è depositata negli archivi valdostani (tutti i brani sono in formato mp3). I canti appenninici e alpini sono messi in sequenza per favorire il confronto e la comparazione. Va detto che sarebbero state utili indicazioni precise sulla classe d’età dei cantori e in qualche caso manca del tutto il riferimento agli esecutori. Ascoltando le tracce, si riscontrano modalità di canto che avevano già colpito il song-catcher Alan Lomax nel corso del suo storico viaggio in Italia (Ceriana o Cogne), artisti che seguono le vie della tradizione (Stefano Valla, Franco Guglielmetti e Daniele Scurati), la coppia di canto e di vita Renzo Negruzzo e Romana Negro, l’emozionante vocalità di Lino Rovini nel pavese, quelle di Anna e Drusiana Galli a Poggio Moresco, l’interessante repertorio delle bujasche, le voci storiche delle canterine di Gimillan, delle Canterine delle Traverse e dei Lou Tchot nella Vallée. Ma le chicche da scoprire (che rivelano anche una rete di memorie e di affetti) sono molte altre. Il volume non manca, inoltre, di un apparato fotografico (immagini della ricerca e quaderni manoscritti) e di riferimenti discografici. Abbiamo aperto citando la lezione di Giovanna Marini per mettere l’accento sulla vitalità del canto tradizionale: qui espresso da un florilegio avvincente di incontri e di repertori di canti narrativi e di stili monodici e polivocali che ricostruiscono percorsi di relazioni umane e sonore e che, ancora una volta, testimoniano la ricchezza del patrimonio musicale della Penisola. Davvero interessante e degna di lode questa inedita ricerca che colma una lacuna conoscitiva e dalla quale non potrà prescindere l’appassionato di musica tradizionale o lo studioso del canto popolare. 

Ciro De Rosa

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