Seguendo le pieghe del canto prezioso e “appassiunato” di Brunella Selo ci si confronta con la sua carica umana, con la comunicativa e la malia di chi usa il proprio duttile strumento voce per tracciare una molto personale cartografia sonora interiore che attraversa svariati territori musicali, dal folk alla musica classica, dal jazz alle musiche del mondo. Dal suo esordio negli anni ‘80, Selo ha preso parte a numerose produzioni e progetti marcati dalla sua impronta vocale. Il suo nome è accanto a quello di Roberto De Simone, Bruno Tommaso, Antonello Paliotti, Fausto Mesolella, Daniele Sepe e molti altri. Nel teatro è stata attrice e cantante impegnata in numerosi tour mondiali. Il pubblico televisivo l’ha conosciuta quando imprimeva emozioni accanto a Nino D’Angelo in un Sanremo che flirtava con i “suoni etnici”; nel cinema suo è il canto sublime ne “L’amore molesto”, quanto interpreta la cosiddetta “Tarantella del Gargano”, rivissuta da quel filibustiere delle note che è Daniele Sepe. Il suo è un canto plurilingue intenso, sempre alla ricerca di nuovi orizzonti, come nel titolo del suo disco “Io sono Ulisse” (Polosud”), che seguito di “Appassiunata” (Rai Trade, 2005) e “Iso” (il Manifesto, 2005). Ora Brunella Selo si racconta attraverso un disco che definisce «una rinascita», dove incontra le “Terre del finimondo”, mutuando il titolo da Jorge Amado, unendo Napoli e il Brasile, due terre dalle stratificazioni profonde, terre di incontri, transiti e conquista, luoghi straripanti che condividono tragicità ed ironia, miseria e voglia di riscatto e, naturalmente, grandi musiche.
È un disco acustico che comprende riletture di gemme di autori carioca e di inediti scritti con linguaggio compositivo proprio e in collaborazione con altri musicisti partenopei; un programma ricco di ambientazioni, di elementi tematici, stilistici e timbrici con le differenti forme ricondotte con coerenza all’interno della personalità di Selo. “Terre del finimondo” è il nostro disco del mese di agosto, perché Brunella Selo è autrice e interprete, particolarissima nell’intensità, timbro possente e trasparente, raffinato e impetuoso al contempo, una voce d’eccellenza che merita ben altra visibilità mediatica. Perché “Terre di finimondo” è una produzione grafica e sonica di pregio (complimenti all’etichetta Soundfly); perché ad “assecondare” Brunella ci sono nuovi autori e musicisti di rango.
“Terre del finimondo” esce ad otto anni dal precedente, “Io sono Ulisse”: è un arco di tempo segnato da un evento tragico della tua vita…
“Io sono Ulisse” risale alla fine del 2011. Purtroppo nel 2013 è accaduto qualcosa che ha cambiato la mia vita e quella della mia famiglia per sempre: mio figlio Giacomo, talentuosissimo musicista, è scomparso, appena ventunenne, in un tragico incidente d’auto causato da un pirata della strada. I primi anni dopo la sua scomparsa sono stati paralizzanti per me: non riuscivo a cantare, a volte neanche a parlare, la mia voce mi era estranea, ma sentivo dentro di me che l’unica strada possibile per continuare a vivere e sentire mio figlio accanto a me era quella della musica. Così, procedendo a piccoli passi, ho ripreso a studiare e ad accettare qualche concerto. Poi è avvenuto l’incontro con Annalisa Madonna e sono nate le SesèMamà.
La musica e il canto sono stati la mia terapia, e ora, a distanza di otto anni da “Io sono Ulisse”, ho sentito la necessità di raccontarmi attraverso un disco che esprimesse il mio desiderio di rinascita e spero di esserci riuscita.
Dentro le “Terre del Finimondo” c’è tutto il tuo temperamento…
Credo mi somigli molto: c’è una parte di me passionale, sanguigna ma a tratti anche molto leggera e ironica, poi c’è una parte di me fortemente spirituale che riconosce nella musica - con la M maiuscola - una meravigliosa via di salvezza e di consapevolezza. Metaforicamente, le terre del finimondo di cui parlo, ovvero Napoli e il Brasile, sono esattamente così: un concentrato di bene e male, splendore e miseria, luci e ombre. Terre uniche perché nate dall’unione di tante razze, terre saccheggiate eppure sempre accoglienti e impossibili da dimenticare.
Cosa ti porta ad attraccare in un luogo della musica?
Nei miei album ho sempre amato viaggiare e approdare in territori musicali e linguistici diversi, ma non credo di aver mai seguito un preciso criterio di valutazione, piuttosto ho sempre accettato di buon grado di soffermarmi laddove sentivo risuonare in me una melodia, un ritmo, una parola, fidandomi sempre molto del mio istinto e della mia identità sonora.
La MPB: un grande mondo di poeti, musicisti eccelsi ma anche pieno di insidie per certi cliché con cui si guarda al Brasile. Come hai scelto i tuoi grandi da cantare?
Il mondo musicale brasiliano è talmente vasto e diversificato che è impossibile non incappare in alcune insidie. Personalmente ho sempre amato un certo tipo di musica brasiliana popolare che affonda le sue radici nei ritmi del samba e del maracatù e nelle forme più antiche come lo chorinho, a cui si ispirano sia “Ciccibacco”, uno dei miei brani di questo disco, che “Doce de coco”, di Jacob do Bandolim, un grande autore degli inizi del Novecento.
Gli altri due grandi autori brasiliani presenti nel disco sono in assoluto da sempre i miei preferiti: João Bosco e Chico Buarque de Hollanda.
Tra Napoli e l’universo brasiliano le modalità del canto sono diverse. Come hai lavorato sulla tua voce per interpretare queste canzoni?
La prima difficoltà naturalmente è stata la lingua portoghese. Ho preso lezioni per un anno per poter avere una pronuncia credibile, dopodiché ho dovuto lavorare sulla vocalità che è molto più pacata della nostra, oltre che giocata spesso sulla nasalità di certi suoni. Però alla fine, quando ho registrato i brani, ho scelto di amalgamare tutto, cantando i brani brasiliani con un’interpretazione un po’ più napoletana e viceversa. il tratto comune a tutti i brani è il racconto di queste due terre lontane eppure così simili, così vicine, due terre che sembrano soccombere ogni volta tra mille disagi e ogni volta trovano la forza di rinascere, ma naturalmente su ogni brano è stato fatto anche un lavoro sul testo, sulla provenienza e soprattutto sugli arrangiamenti.
Nel disco sei anche autrice: la prima delle tue composizioni è “Vesuviagem”…
Di “Vesuviagem” ho scritto il testo e la melodia su una musica di Piero De Asmundis: volevo che fosse il pezzo di apertura del disco, in napoletano, ma che avesse nel ritmo e nell’arrangiamento una forte componente brasiliana: Insomma una sorta di presentazione, di riassunto del contenuto del disco.
“Tarsila” è ispirato alla figura di una grande pittrice del modernismo brasiliano, Tarsila do Amaral, ma in realtà l’ispirazione è solo nel titolo, perché man mano che scrivevo il testo, il mio primo testo in portoghese, mi accorgevo che parlavo più in generale delle donne, e in particolare di me, del mio, del nostro portare sempre per mano le bambine che siamo state e che a tratti siamo ancora.
Da sempre ti prende cantare in più lingue: c’è una lingua in cui non hai ancora provato a cantare ma che ti piacerebbe?
Adoro cantare in tante lingue diverse, dall’inglese al portoghese, dal greco allo spagnolo, dall’israeliano all’arabo, dal gaelico al macedone, credo di non essermi fatta mancare nulla...anzi no! Non ho mai cantato in cinese o in giapponese...dovrò rimediare al più presto…
Parlavi prima di “Ciccibacco”, per questo brano hai collaborato con Alessio Sollo. Chi simboleggia questo personaggio presepiale? C’è il chorinho sposato a un impianto melodico napoletano.
Alessio è un grande poeta, estremamente prolifico e spesso usa pubblicare sui social i suoi scritti. Una sera mi sono imbattuta in una sua poesia, deliziosamente ironica, dal titolo “Ciccibacco ‘ncoppa ‘a votte” e mi sono subito affiorate alla mente certe pagine del “L’Oro di Napoli” di Marotta o del “Così parlò Bellavista” di De Crescenzo.
Nel giro di due ore avevo scritto la musica di questo chorinho, con un ritmo molto brasiliano anche nella scelta degli strumenti, ma con una melodia spiccatamente partenopea, della Napoli dei primi del Novecento.
Altro incontro con un importante compositore napoletano contemporaneo, Antonello Paliotti, ma qui il sodalizio è di vecchia data. Interpreti il suo “Nada Pra Dizer” da “Coppola Rossa”.
“Coppola rossa” è un’opera meravigliosa scritta da Antonello Paliotti, diventata poi un disco, in cui duettavamo io e Lello Giulivo, grande attore e cantante napoletano con cui ho avuto il piacere di lavorare in tante produzioni teatrali e musicali. Nel disco Paliotti ha suonato magistralmente e curato anche l’arrangiamento di un altro brano straordinario , “Sinhá” di João Bosco e Chico Buarque de Hollanda.
Un’altra collaborazione con Pasquale Fama “Mae de canto”, altra interpretazione in lingua lusitana…
Fama è un giovane compositore molto talentuoso e profondo conoscitore della musica brasiliana, che ha voluto scrivere per me questo brano estremamente evocativo e molto poetico. Credo che un artista debba mettere sempre a disposizione dei giovani talenti la propria arte e la propria competenza, per valorizzarli e lasciare spazio al nuovo.
“Lassame stà” è molto personale, con una marcata presenza di archi e di un oboe: come nasce musicalmente…
Nasce un pomeriggio d’estate su una spiaggia poco affollata del Cilento, io nuotavo e mi perdevo con lo sguardo tra l’azzurro del mare e del cielo, e ad un tratto sono nate, insieme, parole e musica, ispirate da mio figlio. Sono dovuta risalire sulla spiaggia per recuperare il cellulare e registrare una voce al volo, altrimenti c’era il rischio di dimenticare tutto... in quel momento ho benedetto la tecnologia, se fosse accaduto trenta anni fa probabilmente sarebbe andata persa, invece sono felicissima di aver realizzato questo brano che vede ospiti, tra gli altri, Maurizio Pica alla chitarra e Fabio D’Onofrio all’oboe.
“Nasco ddoje vote” così come “Vesuviagem” è in partenariato con Piero De Asmundis, il quale ha composto le musiche e ha co-prodotto il disco. Come avete lavorato per quel che riguarda la produzione?
Con Piero ormai c’è un affiatamento che dura da molti anni, tutti i miei dischi sono arrangiati e co-prodotti con lui, e io mi reputo veramente molto fortunata, perché credo che attualmente sia uno dei migliori produttori artistici in Italia. Per questo disco abbiamo fatto un lungo lavoro di pre-produzione di gran parte dei brani, eccezione fatta per “Vesuviagem”, che è nata direttamente in studio, a lavorazione già avviata, sull’onda di un’ispirazione del momento, e per “Nasco ddoje vote”, un brano di Piero di cui ho scritto il testo, che è stata la vera grande sfida vocale di tutto il disco!
Come hai scelto i musicisti delle “Terre del finimondo”?
Nel disco sono presenti i miei fidi collaboratori, musicisti che mi accompagnano da anni, in primis Dario Franco, al basso e contrabbasso, nonché mio marito da più di trenta anni, lo stesso Paliotti e ancora Daniele Sepe, Michele Signore, Pino Chillemi, ma in totale hanno suonato ben ventidue
musicisti, molti dei quali amici cari che hanno voluto fortemente accompagnarmi in questo viaggio musicale con tutto il loro entusiasmo.
Dalla tua esperienza di artista che ha partecipato a tante produzioni originatesi all’ombra del Vesuvio, dal teatro alle musiche, Napoli si conferma una fucina di talenti musicali ma…
…ma la nostra categoria continua ad essere penalizzata da una situazione caotica di economia sommersa, dalla mancanza di un albo professionale e da un clima di precarietà a cui sembriamo ormai rassegnati da tempo. Ci sono sempre più talenti ma non ci sono più le occasioni per suonare, perché la politica di questi ultimi decenni ha indebolito il settore cultura, arte e spettacolo fino allo sfinimento. E mai come in questa fase post Covid siamo un settore agonizzante. Possono sembrare parole molto dure, ma non riesco a non pensare che proprio il nostro Paese dovrebbe essere porta bandiera di cultura e arte, e invece non è più così purtroppo da decenni.
Sono tempi duri per l’arte musicale, hai in programma di portare in giro il progetto?
Brunella Selo: Mi piacerebbe, ci stiamo preparando per una serie di presentazioni live in autunno, sperando che la situazione nei teatri migliori, e per una distribuzione del disco fuori dai confini nazionali.
Brunella Selo – Terre del finimondo (Soundfly/Self, 2020)
La ricerca di affinità spinge Brunella Selo a esplorare le terre di finimondo (Napoli e il Brasile), mettendo in programma brani inediti, scritti di suo pugno o in collaborazione con autori e musicisti conterranei e, ancora, riletture di motivi d’autore carioca. È un finimondo che le risuona dentro, è un canto vibrante delle venature artistiche e d’animo della cantante partenopea. Ad otto anni da “Io sono Ulisse” e a due dall’eponimo album del quartetto SesèMamà, Selo presenta un lavoro meno world, di matrice più ricercata del precedente ma che conserva l’immediatezza; un’opera acustica che traccia una rotta linguistica e musicale con testi in napoletano e portoghese che si alimentano alla varietà di umori, sentimenti, aspettative, melodie e ritmi di queste “terre” straripanti, lontane ma prossime per temperamento e analogie storiche e culturali. Brunella attinge alle musiche popolari (chorinho, samba) come alla canzone napoletana tra ‘800 e primo ‘900; il ponte sonoro si proietta da subito con “Vesuviagem”, co-firmata con il fido Piero De Asmundis, in quintetto con la chitarra di Pino Chillemi, il mandolino di Roberto De Martino, le percussioni di Robertinho Bastos e gli svolazzi del flauto di Mimmo Maglionico. Il tratto autobiografico di “Tarsila”, cantata in portoghese (la sua pronuncia è frutto di studio lungo e attento), è sostenuto dall’essenzialità conferita dal dialogo tra il basso fretless (Dario Franco) e la chitarra acustica della stessa Selo. Su testo di Alessio Sollo, “Ciccibacco” avanza a ritmo di chorinho su un impianto melodico classico napoletano (chitarra classica, mandolino, contrabbasso e percussioni). Della toccante, splendida “Lassame sta’”, per quartetto d’archi, oboe, chitarra classica e mandolino, nelle note di presentazione del disco Selo scrive che è una «carezza, un messaggio d’amore da un’altra dimensione, la storia di un legame indissolubile e totale, che continua ad esistere oltre la separazione». La prima rivisitazione è “De Frente Pro Crime” di João Bosco, in cui siamo trasportati sulla scena di un misfatto perpetrato in un mercato brasiliano e, in un gioco di commistioni tra ritualità sacra e profana, ci sta proprio tutto il segno sonoro tracciato dalla processione per la Madonna dell’Arco. Invece, “Nada Pra Dizer” proviene dalla penna sopraffina di Antonello Paliotti (dalla cantata per quattro voci “Coppola Rossa”). Qui la cantante ritrova il canto di Lello Giulivo, altra voce eccellente che non passa inosservata, in un brano arrangiato da De Asmundis, esaltato dall’incastro di corde (tra cui il cuatro di Roberto Trenca), flauto e Rhodes. Altro motivo autobiografico è “Nasco ddoje vote” interpretato da un organico di flauto traverso (Daniele Sepe), bouzouki, basso, chitarra acustica e percussioni su un compiuto profilo melodico ideato ancora da De Asmundis. Di nuovo un salto nel chorinho di primo Novecento con “Doce de coco” del grande Jacob do Bandolim, mentre il canto è al centro di “Mãe de canto”, altro tema lusofono, nato dalla penna del napoletano Pasquale Fama. Da par suo Antonello Paliotti ha costruito la partitura “Sinhá” per archi, contrabbasso e la sua chitarra classica: si tratta della canzone musicata da João Bosco sulle liriche di Chico Buarque De Hollanda: una storia di schiavitù, che sebbene abolita in Brasile alla fine del XIX secolo in, in alcune aree del Paese si protrasse per larga parte del XX. La conclusiva “A partida” è la reprise strumentale della composizione iniziale dell’album, come per mettere l’accento sul fatto che «ogni partenza spesso coincide con un arrivo, e viceversa», dice Selo. “Appassiunata” eleganza, per riassumere in due parole la poetica di “Terre del finimondo”.