Se si ha voglia di musica in grado di suscitare diversi stati d’animo, di invitare al viaggio con il suo titolo suggestivo e simbolico che evoca le sue differenti ambientazioni, allora il lavoro policromo e poliglotta di Matthieu Saglio, eccellente violoncellista e compositore, è quello che ci vuole. Con i suoi collaboratori, un cast di grande caratura, suona in modo egregio ed elegante, con un livello di qualità espressiva e tecnica mantenute sempre alte.
Questa è la seconda produzione con l’etichetta ATC, dopo il progetto del trio NES (“Ahlam”, 2018 ). In questo caso il musicista francese di residenza valenciana ha composto in studio, immaginando come le sue partiture avrebbero potuto realizzarsi con l’inserimento di uno specifico musicista e invitando quelli con cui desiderava collaborare a inserirsi sulla traccia del suo violoncello, lasciandoli liberi di assecondare la loro idea creativa. Si tratta sia di artisti di precedente frequentazione sia di personalità che Saglio apprezza per averli ascoltati, tutti convergenti in un lavoro davvero compiuto quale è “El camino de los vientos”.
A questo punto - direte - fuori i nomi! Senz’altro: ci sono la cantante Isabel Julve, il percussionista iraniano-francese Bijan Chemirani, il chitarrista flamenco Ricardo Esteve e poi il canto di Abdoulaye N’Diaye, la chitarra di Nguyên Lê, la tromba di Nils Petter Molvaer, la fisarmonica di Vincent Peirani, il violino di Léo Ullmann, le percussioni di Steve Shehan, il basso elettrico di Carles Benavent. Realizzato e prodotto tra Spagna e Belgio nel 2019, l’album riproduce in copertina un’opera di Mimmo Paladino.
Apre “L’appel du muezzin” per violoncello solo, costruita su una scala araba con un bordone creato dallo stesso strumento di Saglio su cui, dopo due minuti, entra il daf di Chemirani, imprimendo un nuovo passo al brano. Il titolo “Bolero triste” dice già tutto di questo tema disegnato dalla fisarmonica in dialogo con la chitarra flamenco, mentre il violoncello, nello sviluppo compositivo, assume un profilo melodico producendosi in un bel solo. In “Metit” (che significa “sofferenza” in wolof) entrano la voce del senegalese N’Diaye e un coro, a tratti, in forma responsoriale (Teo, Marco, Gael Saglio Peréz), il violoncello rivela il suo timbro più caldo, indossando quasi i panni di un oud, Shehan lavora di fino alle percussioni e infila accordi di pianoforte ben dosati, La tromba di Molvær ci mette il suo marchio indelebile, allargando i confini e ritagliandosi lo spazio solista che gli è consono in Amanecer”, uno dei vertici del lavoro. Nella successiva “Atman” (“essenza” o “soffio vitale” in sanscrito) il bordone del violoncello e la melodia sviluppata dall’archetto alimentano un ambiente musicale indiano, mentre il canto in falsetto di Camille Saglio alterna sequenze in unisono con lo strumento del fratello e parti soliste: la tensione permane non risolvendosi mai. Si passa, quindi, a “Caravelle”, suonata in trio con il tamburo a cornice di Chemirani e la chitarra di Nguyên Lê, composizione che riprende Ravel nell’assolo di violoncello, mentre la chitarra del franco-vietnamita punteggia il motivo nel suo ben noto codice e il tamburo a cornice scandisce il tutto con destrezza. Segue “El Abrazo”, dal portamento minimale cameristico: qui il violoncello condivide la scena con il violino di Léo Ullmann, così come avviene nel valzer “Sur le chemin”, numero in cui si affacciano infarciture manouche. Isabel Julve canta in “Tiempo para soñar”, il motivo più solerte, un’infusione di allegria con la sua ispirazione flamenco-jazz. Viaggia su un registro diverso, invece, “Las Sirenas” con il violoncello e le percussioni di Shehan a percorrere di nuovo, in misura controllata, la rotta mediorientale di impianto modale. Infine, il portato classico di Saglio domina in “Les Cathédrales”, dove il violoncello trionfa in solitudine su richiami bachiani.
“El camino de los vientos” sa esprimere efficacemente la felice connessione di spiriti liberi in esplorazione senza confini.
Ciro De Rosa
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