Wu Fei & Abigail Washburn – Wu Fei & Abigail Washburn (Smithsonian Folkways Recordings, 2020)

L’album omonimo di Wu Fei e Abigail Washburn ha ricevuto ottime recensioni dai media internazionali. Tra queste ve ne sono alcune il cui entusiasmo è contagioso. The Guardian UK, che lo ha eletto disco del mese, lo riconduce all’attuale contingenza, ricordandoci “how music connects us intimately, wherever we come from”. NPR, con una lunga intervista alle due artiste a cura di Lulu Garcia-Navarro, lo presenta come il risultato delle straordinarie carriere di entrambe, accomunate (oltre che dall’anno di nascita), dallo studio delle tradizioni musicali dei rispettivi paesi e dall’essere delle rappresentanti importanti di due strumenti tradizionali (il banjo e il guzheng). La Smithsonian Folkways Recordings, che pubblica l’album e lo introduce con una nota in inglese e cinese, ci dice, convincendoci prima ancora di ascoltarlo: “This album recasts 'world music’ as music of our shared world, highlighting our shared humanity and the transformative power of song”. Insomma, le premesse sono ottime e le aspettative non sono affatto deluse: il disco è bello. Ma soprattutto risponde a tutte quelle questioni che ridondano oltre il mainstream: sì, ha un suono fantastico, ha un andamento imperniato alla perfezione sulle corde dei due strumenti (suonati in modo straordinario: “Banjo Guzheng Pickin’ Girls”) e su due voci evidentemente affini (equilibrate e simili nel timbro: “Ping Tan Dance”), ha un ritmo che non si spezza mai ed è sostenuto da un equilibrio armonico e melodico che rende i dieci brani in scaletta pezzi unici (perle che luccicano) e, allo tesso tempo, pezzi perfetti di un puzzle perfetto (“The Roving Cowboy/ Avarguli”). D’altronde, come capita con i lavori ben fatti, l’album ci rivela, nel momento in cui si inizia ad ascoltarlo, alcuni passaggi fondamentali della sua costruzione. E le due musiciste, che si frequentano e si scambiano idee da molti anni, hanno lavorato soprattutto sulle affinità dei repertori selezionati, riconducendo tutto il lavoro di elaborazione all’equilibrio, alla forma ideale, alla melodia raffinata e alla selezione degli elementi più importanti (“Four Season Medley: Four Season/ Dark Ocean Waltz”). Emergono con forza dei brani “di corde” che, rimandando alla dimensione tradizionale e rievocando melodie efficaci, rappresentano un nuovo spazio del dialogo musicale, rivelato in una formula che elabora brani popolari americani (soprattutto degli Appalachi) e cinesi (regione di Xinjiang). Uno spazio all’interno del quale si misurano i suoni materici di un banjo multiforme e le melodie melliflue del guzheng, uno strumento che sembra una piccola orchestra (“Weaving Medley: Busy Weaving/ Julianne Johnson/ Open Little Hard/ Back Step Cindy”). Uno spazio che ci presenta un confronto dal quale emerge la sperimentazione pura e semplice, e che assume i significati più veri. Se, ascoltando l’album, avvertite quella sensazione di stupore pieno, che non ha nulla a che fare con la percezione di un esotismo solleticante, è perché queste due musiciste suonano la musica come si deve, interpretandone spirito e suono, senza rimandi e rimedi. Tutti i brani potrebbero essere presi ad esempio per dimostrare questo approccio “orizzontale” e il carattere fermo, “resistente” dell’album. Proprio perché sono stati elaborati dentro un’idea di organicità che sostiene il programma dall’inizio alla fine. Certamente, in alcuni di questi vi sono elementi più rappresentativi, spesso coadiuvati dalle voci (“Who Says Women Aren’t as Good as Men”), che rappresentano l’altro grande fulcro dell’album. Il primo brano in scaletta, “Water is Wide/ Wusuli Boat Song”, è uno di questi. Innanzitutto perché è, come in molti casi, un doppio che contiene due brani tradizionali (uno di origini scozzesi, “integrato” nel repertorio folk americano da secoli, e l’altro cinese, che ha una storia lunga e rimanda a minoranze etniche e culture di confine tra Russia e Cina). In secondo luogo perché racchiude e anticipa la bellezza di questo incontro, confluita dentro la compatibilità sorprendente delle liriche e delle corde. 



Daniele Cestellini

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